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Il nuovo EP di Gregorio Sanchez fa comunicare passato, presente e futuro - Intervista

Dopo l'esordio con l’album "Dall'altra parte del mondo" (2020), il 18 novembre Gregorio Sanchez è tornato sulle scene pubblicando “Nelle parole degli altri”, primo capitolo di due EP in uscita per Garrincha Dischi.


"Nelle parole degli altri" è un breve disco fatto di quattro brani ispirati dal tema della comunicazione tra passato, presente e futuro; tra chi è qui ora, chi non c’è più e chi deve ancora nascere. Con un sound del tutto diverso dal suo primo lavoro in studio, merito anche della collaborazione con il producer Golden Years, questo EP è un viaggio metafisico che mescola leggerezza e profondità, muovendosi tra pop cantautorale, venature orchestrali, synth spaziali e groove vibranti che fanno da sfondo a testi spesso ironici, ma anche fragili e sinceri; una pluralità di dimensioni che ben rappresenta il concept che lo ha ispirato.


Abbiamo intervistato Gregorio Sanchez per andare più in profondità su questo lavoro, che pur essendo breve e dal sound leggero, è ricco di complessità.


Ciao Gregorio, bentornato su IndieVision! Come mai dopo il tuo primo LP “Dall’altra parte del mondo” hai deciso di fare uscire due EP? Sembra quasi un percorso al contrario…

La scelta nasce da un’esigenza creativa. Ne vado orgoglioso, perché l’ho fatto per coerenza artistica: mentre stavo scrivendo i pezzi del secondo disco mi sono reso conto che c’erano due filoni tematici completamente differenti, così come le sonorità, l’approccio alla produzione e alla scrittura. Volevo che questa cosa si sfogasse e si concretizzasse, per rendere giustizia a entrambi. Così, come secondo album, ho scelto la composizione di due dischi brevi, ognuno con la sua dignità e ragion d’essere slegata dall'altro.


“Nelle parole degli altri” è una piccola macchina del tempo che si muove tra passato, presente e futuro. In particolare c’è stata una frase che ne ha ispirato il tema: “Prima di nascere, esistevamo nelle parole dei nostri genitori”.

Il primo pezzo, che come il titolo dell’EP si chiama “Nelle parole degli altri”, è nato proprio da quella frase. Poi lo stesso concetto si è espanso: mi riverberava in testa l’idea di riuscire a capire quali fossero i mezzi di comunicazione, al di là di ciò che è scritto, tra chi non c’è più, chi sta esistendo in questo momento e chi non esiste ancora. Come questi tre gruppi di persone, di cui tra l’altro noi siamo l’insieme più piccolo, potessero comunicare tra di loro e in che modo mi ha scaturito diversi pensieri, e ne è nato un disco. Ognuno dei brani parla di un modo in cui queste tre macro-generazioni comunicano tra loro. Più che una macchina del tempo, sono la comunicazione e i ricordi che viaggiano nel tempo.


Ogni pezzo, quindi, rappresenta un determinato tipo di comunicazione.

Esatto. La title-track “Nelle parole degli altri” rappresenta la comunicazione classica, quella attraverso le parole; “Disperati”, la focus-track, parla invece della comunicazione tra i condizionamenti. Noi, senza nemmeno rendercene conto, viviamo la nostra vita condizionati dalle priorità e dalle convenzioni sociali di chi ci ha preceduto, ed è una cosa talmente efficace che ci fa vivere con nevrosi non nostre, ma di chi ha vissuto prima di noi. “Estate” si concentra sul concetto di morte, e su quanto sarebbe bello considerarla come parte della vita, riuscire a coesistere con lei e realizzare che, in realtà, ci si sta semplicemente aspettando da un’altra parte. L’EP si conclude con “SN 1987a”, che prende il nome da una supernova che si è spenta pochi mesi prima che io nascessi e probabilmente è diventata un buco nero. Attraverso i buchi neri alcune informazioni rimangono incastrate e possono essere passate di generazione in generazione. È come un enorme database. Chi ne sa veramente qualcosa potrebbe rabbrividire leggendo queste parole, ma io l’ho inteso così. Con il fatto che è diventata un buco nero proprio in quel momento ho pensato che forse poteva contenere qualche informazione su come era il mondo poco prima che io nascessi.


Nella tua canzone la supernova di cui parli sembra un vero e proprio personaggio al quale tu poni delle domande, chiedendole “dimmi di più”. Ti capita di sentirti nostalgico verso quelle epoche nelle quali non hai potuto vivere, o provi curiosità verso di esse?

È una di quelle domande sulle quali si passano le serate al bar… perlomeno le serate che vengono bene. Sì, l’istinto principale sarebbe quello di dire mi sarebbe piaciuto nascere nel 1945 con la fame di rinascita del dopoguerra, l’esplosione culturale degli anni '60 e le possibilità degli anni '70… però da solo mi zittisco nel testo parlando delle gravi problematiche di cui la versione romanzata degli anni ‘70 spesso non tiene contro. C'è questa illusione che il passato sia meglio del presente, quando invece anche lui ha le sue tragedie. Si ricollega al concept dietro l’EP perché parla, appunto, di come la comunicazione del passato venga edulcorata nel presente. A volte è anche bello accoccolarsi in questo passato raccontato con un filtro seppia e immaginare… ma possiamo trovare la serenità solo se smettiamo di sperare in un passato migliore.


In “Disperati” canti: “Taglio con l’accetta le parole / Le tengo in bocca per ore / Fino a sentirne il sapore”. È una metafora del tuo processo di scrittura?

In realtà quel pezzo è una grande invettiva contro Milano; più in generale contro la società capitalista e consumista in cui viviamo. Le priorità che ci sono state imposte dalle generazioni passate a Milano trovano sono ben rappresentate, perché lì la vita lenta e i piccoli piaceri sono quasi inesistenti, mentre la società iper-produttiva trova la sua massima espressione. Non c’è spazio per emotività e sensibilità. Questo è frutto di un condizionamento transgenerazionale che arriva da lontano. Dalla fame di denaro, di scalata sociale e rinascita economica dei nostri genitori o nonni… Mostrarsi per ciò che si è viene interpretato come una debolezza, ed è per questo che taglio le parole: nel senso che le doso, mi mordo la lingua, aspetto il momento giusto per dirle… tento di dare l’impressione meno vulnerabile possibile di me, perché lì non sento di poterlo essere; non è quello che quel tipo di società vuole da noi. Significa che concedo una versione frustrata e censurata di me.


Il tuo EP è stato interamente prodotto da Golden Years (Pietro Paroletti). Ha avuto un’influenza sul sound del disco, molto diverso da quello precedente?

Assolutamente sì. Tranne per la title-track, che ho prodotto interamente io, negli altri pezzi c’era bisogno del tocco di Pietro perché funzionassero. È un passaggio di sound che abbiamo deciso insieme. È stato bello collaborare con lui perché per ogni pezzo ha trovato il vestito giusto. Dai tempi della collaborazione al mio primo disco ci siamo sempre tenuti in contatto, perché fa dell’ottima musica e in più abbiamo gli stessi gusti musicali. Ogni volta che ci mandiamo una reference è la stessa. Appena ho scritto i nuovi pezzi ho voluto farli sentire a lui, soprattutto quelli su cui ero più titubante. Pietro è molto efficace; sapevo che mi avrebbe scosso e portato a fare dei passi che da solo avrei avuto timore di compiere.


Rimanendo sulle collaborazioni, parliamo dell’artwork di “Nelle parole degli altri”, curato da Fat Gomez (Carlo Schievano). Raffigura un crononauta circondato da porte che lo conducono in diverse dimensioni. Come mai hai scelto proprio lui per la copertina del tuo EP?

Con Fat Gomez è andata come dovrebbe sempre andare, secondo me. L’ho scovato, mi è piaciuto, gli ho dato qualche reference concettuale di fantascienza anni ‘50 e ‘60, perché è di per sé mi piaceva l’idea di parlare di futuro visto dal futuro. Gli ho spiegato il senso dell’album e dei testi, cosa c’era dentro. Lui ha portato tre bozze e ne abbiamo scelta una, su cui poi ha lavorato, creando una copertina fatta su misura per il disco. Fat Gomez si occuperà anche di quella del secondo EP.


Ci hai spiegato che “Nelle parole degli altri” non ha a che fare con che cosa gli altri pensano di noi. Eppure… le parole degli altri hanno un’importanza per te?

Conosco delle persone che dicono di fregarsene di ciò che gli altri pensano di loro, ma non credo sia vero, e io non posso dire di farlo senza essere mandato giustamente a quel paese. Esistiamo in funzione degli altri, e se gli altri non ci guardano non esistiamo. Però devo dire che più gli anni passano e meno mi importa. Vorrei diventare un giorno abbastanza antipatico da fregarmene completamente. Ci sto lavorando.


Ultima domanda: un sentimento di cui parli spesso è l’ansia. La tua musica è un modo di affrontarla? Hai per caso un consiglio per chi come te la vive? Chiedo per un’amica…

La mia musica è sicuramente un modo di conviverci: ho un tipo di ansia che consiste nel dover sempre prendere velocemente delle decisioni, e nelle musica che faccio c’è molto di questo. Non c’è mai tempo per qualcosa di sospeso o etereo: c’è una costante presa di posizione, soprattutto nella quantità di accordi che ci sono nei miei pezzi. Sono uno specchio del mio stato d’ansia. Per quanto riguarda il consiglio… chiaramente di ascoltare consigli da persone che gliene possono dare! Conosco gente che non ha ansia, quindi un altro presente è possibile… ma l’ansia che ho, come in “Disperati”, non credo sia tutta mia. Viene da un contesto… è l’ansia di qualcun altro. E non ce la meritiamo.



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