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Le Pietre dei Giganti: il nuovo album tra foreste, neopsichedelia, esoterismo e Mark Lanegan

“Sento una bella canzone E gli chiedo chi è che canta Con la solita faccia mi risponde col suo Tono Metallico Standard E dice rassegnato «È Mark Lanegan» Poi un lampo di vita Si ridesta dai suoi pensieri troppo alti e scollegati E mi comunica deciso: «Non credo che tu lo conosca Era il cantante degli Screaming Trees» Ora capisco Il mio aspetto ordinario Gli trasmette ascolti Deplorevoli Ma io lo so chi è Mark Lanegan Arrogante bottegaio Indegno della roba che vendi qui dentro Alternativo dei miei coglioni Che quando io ascoltavo i Dead Kennedys Tu nemmeno ti facevi le pippe” (da “Tono Metallico Standard”, Offlaga Disco Pax)


“Chissà chi saranno questi Screaming Trees e questo Mark Lanegan” (i Dead Kennedys, fortunatamente, li conoscevo già) e andò a finire che grazie a questo pezzo della band di Max Collini e Enrico Fontanelli scoprii un gruppo ed una voce definibili pietre miliari di tutta la musica che ascolto. Tre giorni dopo la morte di Mark Lanegan mi metto le cuffie e ascolto questo disco consigliatomi da un amico, tre giorni dopo la morte di un artista seminale per grunge e stoner, due tra i miei generi preferiti, quasi per sbaglio, mi trovo davanti ad un album come quello di cui sto per parlare, la miglior rivisitazione possibile della wave musicale che mi ha lasciato Lanegan. Una benedizione? Un colpo di fortuna? Solo Dio (pardon, Superman) può sapere.



Mettiamo le cose in ordine: nate a Firenze nel 2015 da un piemontese (Lorenzo, voce e chitarre) e un marchigiano (Francesco, chitarre, tastiere e voce) ai quali si sono poi aggiunti Niccolò (basso) e Francesco (batteria e percussioni), Le Pietre dei Giganti esordiscono con “Abissi” nel 2019. Tuttavia, si dice che il secondo album è sempre il più difficile da partorire nel percorso artistico, e qui entrano in gioco i quattro: “Le prime note di ‘Veti e Culti’ (titolo dell’album, ndr) sono venute fuori nelle settimane immediatamente successive alle session di Abissi. Sentivamo di avere ancora ‘birra’ per continuare a comporre e andare subito avanti. Abbiamo lavorato in modo accurato sulla selezione degli strumenti, sull’aspetto armonico e sul colore che volevamo conferire alle atmosfere. Questo ci è tornato utile in fase di incisione per riuscire a mettere a fuoco il tutto”.



"Veti e Culti", uscito per Overdub Recordings, sono nove intense, intensissime canzoni, per un totale di 40 minuti: considerando anche la presenza di un intermezzo, una durata media molto lunga, alla quale, colpevolmente, non siamo quasi più abituati. I quattro si muovono agilmente in un sottobosco musicale che sarebbe estremamente sbrigativo ridurre ad “alternative rock”; basta riprodurre una traccia qualsiasi per capire quello che intendo: i cambi di ritmo, dinamica, tonalità e suoni sono il manifesto. All’ascoltatore, piacevolmente spaesato, non restano punti di riferimento e la fruizione, complice anche un arrangiamento monumentale per tutto il disco, è catartica.


Possiamo dividere l'album in due macro sezioni. La prima, composta dai primi quattro brani, viene definita dagli stessi “una trilogia fantasy dai simboli diabolici”. Così “Foresta I - Un buio mattino”, “Foresta II - La bestia”, “(tema)” e “Foresta III - L’ultimo crepuscolo” ci catapultano nell’oscurità dalla quale usciamo solo con una svolta quasi “post-funk” al termine della quarta traccia.


“L'ultimo crepuscolo, rompo il ciclo del cambiamento Mentre le stagioni ruoteranno Percorrerò il misterioso sentiero Dove si migliora senza cambiare Dove il giusto è un apriori e non un ideale Dopo il secolo del nichilismo comincia l'eone dell'assenzama Aleggio come senza peso, sapendoti vicina a me” (da “Foresta III - L'ultimo crepuscolo”)

La seconda parte è aperta dalla title track, nonché primo singolo estratto, caratterizzato dalle sonorità prettamente grunge. Quaranta secondi di pianoforte riverberatissimo chiudono e fanno da ponte verso “Ohm”, nella quale un ritmo sempre più incalzante lascia dapprima spazio ad un coro per poi portare ad una definitiva esplosione di fuzz preceduta da un breve assolo di basso.


“Ritornerà evitica l'umanità Sola a metà e arriverà Archetipo di realtà La rinascita” (da “Ohm”)

Il dualismo luce e ombra, presentato nella traccia che dà il titolo, si riflette musicalmente tra l’ambientalissima “Polvere”, arricchita dagli splendidi ottoni di Luca Benedetto e “Piombo”, poco più di due minuti e mezzo in cui si avvicendano hardcore-punk e stoner.


Introdotto da un cadenzare di catene, trascinate dal protagonista, l’ultimo brano, "Quando l'ultimo se ne andrà", è un blues dirompente, nel quale al coro iniziale vengono pian piano accostati vari strumenti (tra i quali la chitarra resofonica di Nick Mantoan) in un crescendo che porta all’ascolto ancora più energicamente il testo, riadattamento di una poesia del MeP (Movimento per l’Emancipazione della Poesia).


“La tempesta che porta via È passata di qua Quando l’ultimo se ne andrà Non resta che suonare un blues” (da “Quando l'ultimo se ne andrà”)

“Veti e Culti” si può tradurre in un tanto fantastico quanto tracotante miscuglio di tutto ciò che va “dal rock in là”: dai puliti ai distorti, dal grunge alla psichedelia, dall’heavy allo stoner. Un lavoro più che riuscito, Mark Lanegan ne sarebbe fiero!



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