L’arte secondo Gio Evan: il tour in teatro, un nuovo romanzo e nuova musica - Intervista
- Edoardo Previti
- 30 apr
- Tempo di lettura: 11 min
A qualche mese di distanza dall’uscita di "BDSR", lo scorso 21 marzo Gio Evan ha pubblicato "Turno di Notte", il suo nuovo singolo.
“Turno di Notte” è un brano intimo e riflessivo, dedicato alla madre dell’artista, che affronta il tema della perdita come occasione di consapevolezza. Tra immagini poetiche e sonorità delicate, Gio Evan invita ad accogliere ogni sfumatura dell’esistenza, anche quelle più difficili, e a riconoscere nella fragilità una forma di forza. Il singolo si accompagna a un videoclip altrettanto evocativo, che racconta la storia di un ragazzo che trasforma oggetti di scarto in piccoli giochi di strada, regalando momenti di meraviglia ai passanti - un gesto simbolico che richiama l’idea di rinascita e di condivisione, centrale in tutta la poetica dell’artista
Ma il mese scorso non ha portato con sé solo nuova musica: è stato un mese ricco di annunci per il cantautore, scrittore, poeta e viaggiatore. Gio Evan ha anche condiviso le date del tour teatrale invernale, ha annunciato la pubblicazione del suo nuovo romanzo dal titolo "Le Chiamava Persone Medicina" e i primi ospiti che parteciperanno ad Evanland, il suo festival musicale che si terrà ad Assisi il 26 e 27 luglio.
In occasione di tutte queste novità, abbiamo avuto il piacere di fare quattro chiacchiere con Gio Evan: abbiamo parlato del nuovo singolo, del valore della partecipazione e del senso di comunità nella società contemporanea, ma anche del suo legame con il teatro e con la scrittura.
Ciao Gio, bentornato su IndieVision. Come stai e come stai vivendo queste settimane in cui hai annunciato un nuovo tour, un nuovo libro e pubblicato un singolo? Ciao! Come sto? Mi piace dire “Tutto sommato”, perché è una frase che di solito aspetta sempre un seguito, ossia, tutto sommato, bene. Io, invece, tutto sommato senza altro da aggiungere. Stiamo vivendo adesso il periodo pieno, in cui tutta la nostra arte ha messo i germogli e quindi è uscita dal semenzaglio e ora è il momento delle attenzioni.
Hai già avuto qualche riscontro di queste attenzioni? Sì, abbiamo già ricevuto riscontri positivi. Il singolo è stato accolto bene, nonostante il timore di essere sempre etichettati come poeti malinconici. Ho chiarito fin da subito che si tratta di un brano sereno, anche se spesso la serenità viene confusa con la malinconia. Spesso chi è in silenzio viene interrotto dagli amici che gli chiedono "stai bene?" Ti capita mai? Ecco, questa roba a me infastidisce molto perché vuol dire che qualcuno ci ha indotto a vedere il silenzio come il pensiero, cioè l'essere pensierosi. Invece, il silenzio è anche un momento di grande saggezza, di accoglienza, di accettazione. E questa è una canzone proprio di questa parte qui, dal lato dell'accettazione, dell'accoglienza, nasce proprio da quel tipo di serenità legata al cambiamento.
Anche chi mi segue nei teatri o alle presentazioni dei libri ha capito subito il messaggio, forse perché conosce il mio modo di pensare e comunicare. Stiamo avendo ottimi riscontri anche con il teatro, dove la gente ovviamente è felice di ritrovarci nel nostro abitato, forse più naturale.
Lo scorso 21 marzo è uscito “Turno di notte”, il tuo ultimo singolo. Questo brano, dedicato a tua madre, è un invito a celebrare sia i momenti positivi che i negativi della vita e a riuscire a convivere e accettare sia i nostri lati più luminosi che quelli più oscuri.
Volevo chiederti come è nato questo brano e quant'è importante, secondo te, riuscire a ritagliarsi dei momenti in cui guardarsi dentro per capirsi meglio? Credo sia fondamentale ritagliarsi del tempo per avvertirsi, riconoscersi, persino perdersi. È faticoso, lo so, ma almeno due ore al giorno andrebbero dedicate a questo. È un po’ come chiedersi: “quanto posso permettermi di essere distratto?” La risposta reale sarebbe: mai. Ma anche la distrazione fa parte del gioco.
Due ore in cui concentrarsi sul respiro, sulla consapevolezza. Tutto questo aiuta a riequilibrare i neurotrasmettitori, il campo ormonale. Con la respirazione gestiamo lo stress, il cortisolo. Un abbraccio, ad esempio, stimola ossitocina ed endorfine. Sono tutte risposte chimiche che vanno educate, e l’unico modo per farlo è avere padronanza di sé.
Per quanto riguarda il brano, nasce da un'esperienza di perdita. Fortunatamente, ero in qualche modo allenato, perché chi viaggia da giovane impara a perdere: persone, amori, soldi, aerei... Il verbo "perdere" fa parte dello zaino di un viaggiatore. Quando è mancata mia madre, ho sentito il bisogno di consacrare quel momento. In Italia si tende a evitare il tema della morte, non se ne parla mai: né a scuola, né in chiesa. Invece, vivendo con popolazioni indigene o in India, con sciamani e stregoni, ho imparato che la morte è una tematica centrale, quotidiana. Esistono persino figure professionali che accompagnano alla dipartita. Quindi ho voluto essere un accompagnatore di mia madre, anche perché lei se n'è andata con una malattia lunga, dieci anni di sofferenza, una grande rincorsa, non è che si è spenta all'improvviso. È stato un procedimento lunghissimo, una passeggiata lentissima, è stata una bella preparazione che ha portato tutta la famiglia a essere lì presente, ad accompagnarla e perciò mi sembrava giusto e bello dedicare questa canzone. Anzi, dovremmo farlo tutti, dedicarci proprio a consacrare la perdita, perché perdita non significa assenza, non significa non avere più qualcosa.
Hai parlato dello zaino del viaggiatore che c'era dentro il perdere, quali altre cose, diciamo metaforiche, non devono mancare in questo zaino? Allora, io prima di partire faccio almeno tre giorni di grandissimi esercizi d'intuito, per agevolare proprio l'intuizione. Non si può partire senza l'intuizione, è proprio meglio restare a casa, bisogna farlo prima del check-in. Secondo me, il check-in interiore parte dall'intuizione, è fondamentale essere freschi d'intuito, di stare lontano dai device due o tre giorni prima di partire, per iniziare una preparazione allo sguardo lontano, al vedere il dettaglio e tutto, fortificarlo. E l'altro, anche se non tutti me la approvano sempre questa cosa, direi la pazienza. La pazienza è fondamentale, quindi nel mio zaino ci vanno, oltre al perdere, l’intuito e la pazienza sicuramente.
Perché tanti ti dicono che la pazienza dovresti lasciarla a casa? No, sono io che dico che, se parti senza pazienza, è meglio non partire affatto. Oggi vedo sempre più viaggiatori frettolosi, che vogliono vivere tutto a velocità doppia. È il riflesso di un mondo che accelera, e anche il viaggio rischia di diventare un’esperienza da consumare in fretta.
Tanti viaggiatori che conosco non tornano negli stessi posti perché, per loro, sembra un perdere tempo, visto che quel paesaggio l'hanno "già visto". È quasi una fame anche di divorare paesaggi. A me non piace questo, io amo anche tornare nei posti dove sono andato, quando torno in India torno sempre nei vicoli di Rishikesh che mi hanno cresciuto a 18 anni, perché anche loro cambiano; mi piace proprio il dono della pazienza. La pazienza per me è una porta, infatti si dice "porta pazienza", è una dimensione dove tu neutralizzi la fretta, neutralizzi l'aspettativa. Quando tu hai pazienza vuol dire che riesci a sedere su un posto anche per tante ore senza che succeda niente e poi avvengono in quei momenti i miracoli, incontri le persone giuste. Io sono un fan di stare in un posto, sedermi su una panchina e stare quattro ore lì invece di andare a vedere, che ne so, Cusco.
Mi hai fatto venire in mente, con questa tua immagine di te seduto su una panchina, un aneddoto riguardante Lucio Dalla. Lucio, quando andò a Berlino sul finire dei ’70, si fece portare davanti a Checkpoint Charlie, se non erro, si sedette su una panchina a fumare una sigaretta. Poco dopo, di fianco a lui, si sedette Phil Collins, visto che i Genesis stavano suonando in quei giorni a Berlino, e il cantautore bolognese, anche se tentato, non si avvicinò al componente dei Genesis, non ci scambiò nessuna parola. Da quella magica mezz’ora, Dalla scrisse il testo di “Futura”.
Oltre alla pubblicazione del nuovo singolo, sempre a fine marzo, hai annunciato anche l'uscita del tuo nuovo romanzo: “Le Chiamava Persone Medicina”. Più che un semplice libro, questo volume è un viaggio spirituale che parla dei valori inestimabili della montagna, della poesia e dell'invisibile che una nonna tramanda suo nipote. Volevo chiederti, cosa intendi per persone medicina? Per persone medicina intendo tutte le persone che incontri nel tuo percorso, che ti accorgi che sono un alimento. Per alimento, intendo proprio alimentare, cioè ti danno energia.
Sono quelle persone che quando le incontri senti di non disperderti, che aiutano sempre a ritrovare un pezzo di te, oppure a consolidare la serenità all'annullamento del timore, della paranoia, della paura. Sono quelle persone che annullano il tempo. Sono queste persone qua che quando le incontriamo, frequentiamo ci ristabilizzano anche interiormente, che ti fanno pensare anche un po' a te. Un po' come l'amore che dici. Ci sono anche persone che portano a farti bello interiormente. Ecco, queste qua sono le persone medicina.
Quanto è importante per te riuscire a far confluire il tuo genio artistico anche in un ambito come quello della letteratura? A me piace. La mia vocazione è il pensiero. A me piace pensare. Io farei tutto solo con il pensiero. Il mio sogno più grande, ovviamente, è la telepatia, cioè fare tutto in un mantello di silenzio e condividere il pensiero. Non essendo possibile, la cosa più vicina a questo è la scrittura. La scrittura è il mio vero primo mestiere, perché poi la musica viene tantissimo dopo. Se sono al quarto disco, sono comunque al quattordicesimo libro. Ecco, è dieci opere avanti. La penna, la scrittura è la più irrefrenabile, è incoercibile, perché non può essere frenata.
Possiamo dire che, a differenza della musica, la scrittura, non essendo accompagnata da una base musicale, quindi è ancora più libera. Esatto. Perché è incoercibile, perché non deve rispettare un tempo, perché dentro la scrittura c'è il tempo, è più completa.
Che poi non è un tempo uguale per tutti, perché c'è chi, davanti ad un libro, ci mette più o meno tempo a leggerlo. È un tempo non fissato, tempo libero, fuori dagli schemi. Esatto. Tu puoi leggere un libro a 100 bpm, io posso leggere lo stesso libro a 30 bpm. Posso leggere lo stesso libro in tre mesi, tu in un giorno. Questa è la bellezza della scrittura. Infatti, quando ci dice che la poesia è senza tempo, è esattamente per questo, perché non c'è un metronomo. Sei tu che ne scegli il battito.
Nelle scorse settimane hai anche annunciato un tour teatrale dal titolo “L’Affine del Mondo”, tournée che ti vedrà calcare diversi palcoscenici teatrali della penisola. Cos'è per te il teatro? Il teatro è lo scudo più bello che io abbia incontrato nella mia vita, perché è il posto dove fa sentire al sicuro la tua cosa più bella. L'arte è di una fragilità pazzesca. Basterebbe uno spazzolino da denti per rovinare una Gioconda, per sempre. Quindi, se non ci prendiamo cura dell'arte, se non allontaniamo le mani dalla Gioconda, potremmo distruggerla. Così con tutte le opere, dai dipinti ai libri. Quanto ci vuole rompere un libro? Quanto ci vuole dar fuoco a una casa editrice? Niente. Proprio perché è così fragile, l’arte chiede cura. Se te ne prendi cura, può diventare immortale. Il teatro, in questo senso, è il luogo più sacro. Ha una storia antichissima, ed è uno spazio che impone rispetto: chi entra in teatro sa di dover rispettare il silenzio, gli altri, il tempo. Non è un club, non si salta, non si spinge. Il corpo è fermo, ma lo spirito è attivissimo. Lo spirito è assorbente e quindi mi piace questo del teatro, che è un luogo chiaramente sacro. È il tempio dove si può svolgere l'eucaristia artistica, dove ovviamente l'artista può andare e fare i suoi pensieri.

Qual è il tuo primo ricordo legato al teatro? Il primo in assoluto era uno spettacolo, ma io ero minuscolo. Mi ricordo solo aggiungi un posto a tavola, sai quelle recite? Chiedo scusa a tutti coloro che interpretano questi eventi. Erano gli spettacoli quelli un po' molto locali. Era uno spettacolo locale, c'era mia cugina, erano queste compagnie bellissime locali e che io, tutt’ora, amo e frequento. Quando ci sono gli spettacoli delle compagnie di quartiere io impazzisco, sono tra le mie preferite. Da lì poi è andato sempre a crescere. Era un po' più grande, e ho visto “Aspettando Godot” di Beckett, capolavoro, poi ho continuato a vedere altri spettacoli; l'ultimo che ho visto è stato pochissimo tempo fa di Antonio Rezza.
Sempre riguardante “L’Affine del Mondo”, in che modo cercherai di raccontare la storia dell'inizio del mondo nel tuo spettacolo? Allora, qui partendo proprio dalla parola affine, che è bella, mi è piaciuto e mi ha fatto anche sorridere il fatto che l'affine del mondo sembra un gioco di parole con la fine, no? Però invece l'affine, cioè l'affinità, è proprio l'inizio del mondo. Perché, se io e te siamo in questa terra da soli, come si può iniziare a tessere il primo passo verso il mondo con l'affinità? Se io e te troviamo un accordo, troviamo una compatibilità e così iniziamo a costruire insieme qualcosa, visione, progetto, idea. Ecco, questa qua è l'affinità.
Se io e te siamo affini, possiamo iniziare. Se io e te non siamo affini, non faremo una società e un mondo, faremo due individui. Questo mi piace visto che siamo in un'epoca dove non facciamo altro che produrre distruzione e fini del mondo, andare verso la fine del mondo, mi piaceva invece proporre l'inizio, ma non di come nacque, ma di come può nascere un nuovo mondo, un nuovo inizio. Iniziando a non dimenticare di scendere dai nostri giardini, uscire fuori dai nostri cancelli e riproporre agli altri l'affinità, le compatibilità, le armonie, gli accordi, visto che siamo tutti incazzati l'un con l'altro, mi sembrava una buona idea.
Prima di questi appuntamenti teatrali, quest'estate hai deciso di organizzare la quarta edizione di Evanland, un festival di due giorni che si terrà il 26-27 luglio ad Assisi, Perugia. Quanto è importante per te riuscire ad instaurare un contatto pure ed autentico con i tuoi fan durante i tuoi spettacoli? Se non faccio questo, per me, non vale sprecare energia per essere lontano dall'uomo, dall'umanità, dalle persone. Se la vita ha scelto questo mestiere per me, è perché deve esserci un grandissimo contatto, visto che sono le basi della vita. Per me è la cosa più faticosa in assoluto perché quando diventi conosciuto, purtroppo succede che non sei tu che cambi, ma sono gli altri che iniziano a cambiarti. Io passeggio, abbraccio e bacio, però se tu mi chiedi una foto, una dedica, un video per i diciott'anni di compleanno, allora tu mi stai vedendo non più per come sono davvero, mi stai vedendo come un personaggio. Questa cosa qua, piano piano, può distruggere e modellare l'artista se ha un ego forte. La vita spirituale è sempre solo depressione; quindi, rimanere sempre lì schiacciato a terra, collaborare con il mio pubblico o con chi ci segue, stare a terra con loro, parlare umanamente con loro, ci ricorda continuamente che siamo un movimento e non un artista con del seguito. A me non interessa, io non voglio essere seguito da qualcuno, io voglio passeggiare con, mi interessa passeggiare con… Ecco, Evanland è stato proprio questo progetto qui, quello di iniziare proprio a stare con le persone, a parlare, a vedere di quante altri fuori sono molto più interessanti di me o di Bruce o del mio batterista e quindi dare spazi di voce, che sono questi cerchi di condivisione continua.
Durante Evanland avrai anche alcuni ospiti; come sei riuscito a coinvolgerli e come hanno reagito quando gli hai chiesto di partecipare al tuo festival? Io invito persone che ovviamente stimo e seguo e, diciamo che, ogni anno è più facile perché Evanland, riesce ad avere una sua nomea, un background, una storia dietro, c'è un passato dietro. Dunque, anche chi è invitato vede che comunque c'è una struttura seria, c'è un progetto serio ed è più facilitato e invogliato a venire. Erano due o tre anni, ossia dall'inizio, che ci tenevo a invitare Erri De Luca, che per me era la priorità più grande perché mi sento affine a livello di passioni e di lavorazione, sia per la scrittura, sia perché entrambi facciamo arrampicata. Io vedo queste bontà d'animo, invito queste figure e loro accettano. Ad esempio, Vito Mancuso c’era l'anno scorso e ritorna anche quest'anno. Gli ospiti sono persone con cui si condivide, non per forza, lo stesso pensiero, ma lo stesso percorso e quindi è bello partecipare. Tutti noi sappiamo che, in un mondo che ti spinge continuamente a separare e a dividere, non c'è cosa più forte di cinque o sei artisti che si riuniscono con altrettanto pubblico che vibra sulla stessa frequenza.
Concordo, la partecipazione in un mondo che punta sempre più alla divisione è fondamentale per riuscire ad andare avanti e non perdersi, assolutamente.
Siamo arrivati all'ultima domanda; in attesa di Evanland e il tour “L’Affine del Mondo” in questi mesi pubblicherai nuova musica, un nuovo album o qualche altro appuntamento estivo? Allora no, ma tutto è possibile. Dopo che uscirà il romanzo, sicuramente, pubblicherò prima di Evanland un'altra canzone, anche perché, ormai, abbiamo tutto il concept del disco maturo, pronto, ci mancano veramente pochi dettagli. Visto questo, penso che, verso la fine dell’estate potremmo anche uscire con il disco. Forse, per quest’estate, abbiamo degli inviti per qualche per qualche data, non premeditata, perché volevo dedicarmi alla parte dei monologhi teatrali affinare, raffinare tutto. In conclusione, penso che uscirà il libro, un'altra canzone prima di Evanland, forse due o tre date estive, poi il disco e poi il tour teatrale. Penso che andrà così, ma non c’è niente di certo in tutto quello che ti ho detto!
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