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Perdersi e ritrovarsi: "Sulle ali del cavallo bianco" di Cosmo - Recensione

Da ormai dieci anni la primissima reazione che, chi scrive, e penso molti altri, hanno avuto all'uscita dei dischi di Cosmo è sintetizzabile in: “Devo comprarmi delle casse giganti o le cuffie più potenti sul mercato”. Dal punto di vista sonoro, infatti, Cosmo ancora una volta non delude. "Sulle ali del cavallo bianco", ultima fatica del musicista e produttore eporediese (l’inspiegabile nome degli abitanti di Ivrea) uscito lo scorso 15 marzo per Columbia Records, per la prima volta in collaborazione con Not Waving, è un album tanto curato quanto variegato.


Il disco si apre con "Come un Angelo", un'ouverture percossa da un synth martellante, accarezzata dalla voce quasi sussurrata di Cosmo e addolcita dai rintocchi di un pianoforte ispirato che ci introduce, anche dal punto di vista tematico, all’album. L’idea del viaggio con la mente verso un posto lontano, un posto di "rivelazioni e epifanie", "tra l’aldilà e la società".


Segue "Gira che ti gira", un pezzo sicuramente più scanzonato e divertito che ci parla di intimità, di sesso orale e di libertà, perché: 


"Gira che ti gira qui nessuno è normale" 

Con un sound elettronico ma dal retrogusto latinoamericano e un finale che ammicca all’R&B, Cosmo costruisce un pezzo pop perfetto per i primi caldi primaverili, per sciogliere le spalle finalmente libere dai giacconi invernali.


È il turno di "Talponia", il brano più acustico del disco, in cui una chitarra pizzicata dolcemente è accompagnata da percussioni analogiche, ma anche dai fidati synth e drum machine. È un pezzo dolcissimo dedicato alla figlia, che spensierata corre sul tetto dell'arco sotterrato di Talponia, un complesso residenziale costruito a Ivrea ai tempi d’oro della Olivetti. "Talponia" celebra la libertà di una bimba e dell'essere umano che diventerà, la libertà di scegliere del proprio corpo, di essere chi si è, autenticamente. 


"Vedrai, vedrai,  il corpo è un parco giochi,  sei tu che sceglierai,  chi sei tu"

Con "E se" il mood dell'album torna ad essere squisitamente elettronico con campionamenti di ogni genere (uno su tutti "Guarda bene qui c’è Dio", uscito direttamente dalle canzoni quantomeno discutibili che si cantavano all’oratorio), synth alla Jean-Michel Jarre, cori e cowbells. Insomma, un vero caos organizzato. Il caos, l’ansia, il sudore sui palmi delle mani del momento in cui si sta per dire "Mi sono innamorato di te" a quella persona, proprio quella.


"Troppo Forte" è lo spartiacque dell’intero album, nonché il primo singolo pubblicato. Un pezzo in qualche modo classico per il genere, ma incredibilmente ben fatto; mi ha fatto muovere incontrollabilmente dal primo ascolto, continua a farmi muovere mentre ne sto scrivendo e continuerà senza dubbio a farmi muovere quando rileggerò il paragrafo (ndr confermo). "Troppo forte" parla di autenticità in un mondo, quello del clubbing (soprattutto in Italia, bisogna dirlo) piagato da stilemi e norme, dall’apparenza sopra la sostanza. 


"Trattieni il pianto? Io no Ciò che dicono di te, ciò che pensano di te Ora fidati di me, non importa Muovi il culo e i sentimenti, non pensarci troppo su" 

Ma Cosmo, per me e per tutti noi, per quelli con addosso l’odore della paura recondita che non ci facciano entrare in qualche locale perché siamo vestiti male, ha una ricetta:


"Muovi il culo e vinci sempre Il culo è Troppo forte"

"Troppo Forte" funge da spartiacque, anche perché ci permette di identificare più chiaramente il fil rouge che collega i vari brani di  "Sulle ali del cavallo bianco":  la testa che inizia a muoversi frenetica in "Come un angelo", i piedi che provano a seguire il tempo delle percussioni di "Talponia", le anche e le cosce che si scatenano in "Troppo Forte". Ci si muove. Parecchio. Certo, questo non è necessariamente un unicum nella discografia di Cosmo, ma quasi una cifra poetica: il corpo che senza freni inibitori muove il culo, balla e fa sesso è arte tanto quanto i versi dei migliori poeti laureati o un assolo di sax. 


Come "Troppo Forte" anche "L’abbraccio" è un singolo, il terzo tratto dal disco. È una traccia diversa da tutte le altre, ancora una volta. Indiscutibilmente Cosmo, certo, ma con delle vibes che richiamano un certo cantautorato italiano. Echi di Luca Carboni, soprattutto, sia dal punto di vista strettamente sonoro, sia dal punto di vista del testo: "Che cos’è l’amore?" canta Cosmo, "L’amore che cos’è" graffiava la voce di Carboni nel lontano '91. 


"Tutto un casino" è un’altro pezzo musicalmente davvero interessante, forse più debole rispetto ai precedenti, ma con sonorità a metà tra ambient e trip hop, Cosmo ci racconta come una relazione cambia, crescendo insieme. 

"Prometti che restiamo vivi, anche mentre invecchiamo Che continuiamo a far cazzate, che non ci uccideremo"

Segue "Ho un idea", il brano meno convincente dell’intero album. Sono protagoniste le linee melodiche della voce pitchata di Cosmo e una seconda parte più tosta e dal groove tribaleggiante, ma con meno ritmo dei precedenti brani. Comunque un filler di lusso, in un album che aveva fatto centro fino ad ora. Anche Cosmo è umano.


Con "Momenti", si ritorna ad un approccio più pop. E funziona. Synth che ci cullano, drum machine ipnotica. Un drop estremamente ben riuscito per un pezzo sulla necessità, a volte, di fermare la routine della vita, per abbandonarsi al momento, per goderselo appieno.


"Voglio scendere dal treno Lo voglio fermare Anzi lo faccio deragliare Lo faccio schiantare… E mi godrò ogni singolo momento Per poi lasciarlo andare e poi ricominciare"

Così arriviamo agli ultimi due brani: "Sulle ali del cavallo bianco" e "Il messaggio". Una coppia di canzoni che tessono, come trama e ordito, il nucleo narrativo dell’intero album. Un’andata e un ritorno. Perdersi e ritrovarsi. L’istinto e il controllo.

 

La penultima canzone "Sulle ali del cavallo bianco" è infatti un brano che ci parla di autocontrollo, anzi sul rigetto dell'autocontrollo. Un brano che ci parla di una sensazione. La perdita completa del controllo, la sensazione di "altrove" che si prova quando ci si abbandona completamente alla musica. Quando si balla da soli in casa, le cuffie nelle orecchie al massimo volume, con due spritz in corpo testimoni di un Tinder Date andato male. 

Quando ci si trova tra le braccia di qualcuno, rapiti da un tango in una milonga di periferia. Oppure l’esperienza singolare e collettiva di quando si chiudono gli occhi in un locale illuminato solo dalle strobo, con in bocca e nelle narici l'odore di pelle sudata di centinaia di sconosciuti che vibrano insieme a te al ritmo primitivo dei bassi di un pezzo dubstep.


Eccole, le ali del cavallo bianco. L’idea che attraverso la perdita totale di inibizioni si può giungere in un posto "oltre l'amore, oltre il dolore".


Poi, però, si aprono gli occhi. E davanti a noi c'è la vita: portare i bimbi all'asilo, fare le lavatrici, sperare che quello stronzo di responsabile al lavoro ti lasci in pace. E l'amore. Perché questo è un disco che, in fondo, parla d'amore, in tutte le sue forme: dall'innamoramento ("E se") all'invecchiare e crescere insieme ("Tutto un casino"), dall'amore più sensuale e sessuale ("Gira che ti gira"), all'amore per una figlia, per sua libertà ("Talponia").


Ma soprattutto del coraggio. Il coraggio di comunicare l'amore che vediamo intorno a noi. Questo è "Il messaggio" dell'ultima traccia dell'album, una traccia quasi spoken word, che si conclude con gli archi, i synth che densi riempiono l’aria e le urla di Cosmo:


 "Ti amo, ti amo, tutto qui, solo questo".

L'incomunicabile che diventa comprensibile solamente grazie all'abbandono e il reale più vivido quando si riaprono gli occhi. Per poi farlo di nuovo. Questo è il segreto, tutto qui, solo questo. 

Ancora una volta Cosmo non delude e ci regala un album in cui perderci e ritrovarci. Un disco che vale più di un ascolto, attraverso le casse più potenti su cui riuscite a mettere le mani. 



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