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Scaramuzza e il nuovo ep "Amevox" per esplorare le proprie crepe - Intervista

Aggiornamento: 17 giu

Scaramuzza con l'ep "AMEVOX", pubblicato il 30 maggio, esplora le crepe del suo mondo interiore. Secondo l'artista le crepe raccontano molto di più della superficie, al loro interno si possono mirare le domande, le paure ma anche la luce che riesce ad oltrepassare questi spazi imperfetti, ma essenziali per capire veramente chi si è.

La voce all'interno dell'ep viene utilizzata come uno strumento ed è la chiave per far si che testo e musica possano raggiungere la massima espressione e la massima autenticità.

Non si ricerca una vocalità perfetta, ma il mondo migliore e sincero di raccontare questi piccoli fotogrammi di vita.


Cover "AMEVOX"
Cover "AMEVOX"

L’intero EP sembra abitare “le crepe” più che cercare di ripararle. Cosa ti attrae di questi spazi imperfetti e perché hai scelto di esplorarli invece che evitarli?

Le crepe raccontano più della superficie: lì dentro ci sono le domande, le paure, ma anche la luce che entra. Mi interessa ciò che è imperfetto perché è vivo, autentico. Evitarle sarebbe mentire a me stessə. Esplorarle è il modo in cui provo a capire e accettare chi sono. AMEVOX nasce proprio da quelle fessure emotive.


La tua voce è il centro del progetto, trattata quasi come uno strumento nudo e fragile. Come lavori sulla vocalità per mantenere questa tensione tra delicatezza e presenza?

Cerco di non forzare mai la voce, ma di ascoltarla. Lascio spazio al respiro, ai tremolii, persino alle imperfezioni. Lavoro molto sull’intenzione, più che sulla tecnica: ogni parola deve essere vissuta. Voglio che la voce arrivi senza armature. Fragile, sì, ma vera. Poi ovviamente sto ricercando anche attraverso lo studio, sento la voce come strumento in movimento.


In particolare in “HO VOCE ANCORA” si raccoglie tutto: i frammenti, il silenzio, le crepe. È un atto di presenza, nonostante tutto. La voce qui si fa protagonista assoluta, anche nelle sue imperfezioni. Cosa ti ha guidato nella scelta di lasciare la voce così nuda, così esposta?

Ho scelto di lasciare la voce nuda perché è lì che si sente la verità più autentica. Le imperfezioni sono il riflesso delle emozioni reali, non filtrate. Volevo che la canzone fosse un atto di coraggio, un invito a mostrarsi senza maschere. In “HO VOCE ANCORA” la vulnerabilità diventa forza. È la mia presenza più sincera.


In “VIPERA” l’ansia prende il volto di una creatura viva che stringe ma non vince. In questo brano la produzione è essenziale, ipnotica, e dialoga con una voce frastagliata. Come hai lavorato con Mon Aduna su questo equilibrio tra presenza fisica e instabilità emotiva?

Con Mon Aduna abbiamo voluto creare uno spazio sonoro che fosse quasi un respiro, dove la tensione resta palpabile ma controllata. La produzione essenziale lascia alla voce frastagliata il ruolo di protagonista, come un dialogo tra corpo e mente. “VIPERA” è il primo brano che ho prodotto interamente io, e le voci sono state registrate in prima take proprio per catturarne l’immediatezza. Abbiamo lavorato per mantenere quell’equilibrio fragile, dove l’ansia è presente ma non domina. Così “VIPERA” diventa un racconto intimo e universale.


“ALBA” affronta con dolcezza il momento in cui si capisce che l’amore, a volte, non basta. Cosa ti ha permesso di raccontare questa consapevolezza con tenerezza e non con amarezza?

La tenerezza nasce dall’accettazione, non dal rifiuto. Ho voluto raccontare “ALBA” come un abbraccio, un momento di pace dopo la tempesta. L’amore che non basta resta comunque prezioso, fa parte del percorso. Raccontare con dolcezza significa riconoscere il valore anche nella fine, senza rimpianti. È un modo per restare umani e gentili con se stessi.


Il tuo percorso artistico nasce nel teatro sperimentale. In che modo questa esperienza influisce oggi sulla tua scrittura musicale e sul modo in cui concepisci un brano?

Il teatro sperimentale mi ha insegnato a esplorare le emozioni in modo profondo e non lineare. Nella scrittura musicale cerco di creare atmosfere che coinvolgano, come una scena da vivere. Ogni brano diventa un piccolo racconto, fatto di pause, tensioni e silenzi. Quell’esperienza mi ha aiutato a mettere al centro la narrazione emotiva, più che la forma tradizionale.


Il concetto di “resistenza” ricorre spesso, ma è una resistenza non aggressiva, silenziosa, quasi contemplativa. Che tipo di forza c’è secondo te nella vulnerabilità? E quanto è stato difficile decidere di mostrarla così apertamente in musica?

La forza nella vulnerabilità sta nella sincerità e nel coraggio di mostrarsi senza filtri. È una resistenza che non urla, ma persiste con delicatezza. Mostrarsi così apertamente non è mai facile: significa esporsi al giudizio e alla paura. Ma è anche l’unico modo per creare un legame vero con chi ascolta. In “AMEVOX” ho scelto questa fragilità come forma di forza.


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