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Immagine del redattoreMartina Strada

Matteo Costanzo, il nuovo album “Come un’unica voce” è un dialogo a tu per tu con la propria interiorità - Intervista

Abbiamo intervistato Matteo Costanzo, producer, compositore e cantante romano, che venerdì 8 novembre ha pubblicato il suo nuovo album intitolato "Come Un’Unica Voce" (Etichetta T-Recs Music/Distribuzione Artist First) e dallo stesso giorno è in rotazione radiofonica il singolo "Va tutto bene".


"Come Un’Unica Voce" è un album che fonde con maestrie elementi di rock, elettronica e folk. Ogni traccia ha un'identità e un'anima propria fino ad arrivare all'ultimo brano che crea un momento di catarsi che richiama un rito collettivo, un’esperienza condivisa che celebra l’essere e la connessione profonda tra chi ascolta e - quasi - l'autore.

"È un percorso che, attraverso parole e suoni, penetra nella mia sfera personale e si apre a ricordi vivi, come quelli di una festa in piazza, dove ci si abbandona alla musica e si vive il momento senza filtri."

Ciao Matteo e benvenuto su Indievision! Nel tuo album “Come un’ultima voce” ci sono delle fortissime influenze a band inglesi come i Massive Attack, gli U2 e i Coldplay. Come mai hai scelto di farti ispirare da questi gruppi inglesi?

Ciao Indievision! Sicuramente perché queste sono le sonorità con cui sono cresciuto. Trovo che certi sound abbiano la timbrica ideale per esprimere determinate emozioni.


Elemento principale della tua produzione per questo disco è la socialità e la condivisione di esperienze. Nell’antichità davanti ad un falò, ora nei club e nei locali a ballare. Come credi che queste due attività, nonostante siano passati secoli, si possano accomunare?

Credo che queste situazioni di socialità, che si tratti di ritrovarsi intorno a un falò, giocare, ballare o suonare insieme, abbiano un'energia intrinsecamente curativa. Creano una connessione profonda, sia con noi stessi che con gli altri, ed è un qualcosa di universale e profondamente umano. È come se in quei momenti ci liberassimo delle sovrastrutture, trovando un equilibrio che ci rigenera. Non importa quanto la società cambi: questa esigenza di condivisione e connessione è qualcosa che continuerà a tramandarsi, perché fa parte della nostra essenza.


Parli della tecnologia e la sua applicazione nel mondo odierno. In “Sexsexsex” e “Una nota d’ombra in una melodia” ne fai riferimento, nel primo caso come qualcosa che distorce dei tabù e nel secondo come una fonte di incertezza. Credi quindi che possa essere solo negativa la presenza della tecnologia nella vita quotidiana o c’è anche del positivo?

Penso che la tecnologia, di per sé, non sia né positiva né negativa: tutto dipende dal modo in cui la utilizziamo. Credo però che sia ancora presto per comprenderne pienamente l’impatto, soprattutto alla luce delle grandi domande che ci attendono nel futuro. L’intelligenza artificiale, ad esempio, promette di aiutarci in molti aspetti della quotidianità, ma cosa accadrà quando la maggior parte dei lavori diventerà superflua? O quando la vita si allungherà di altri 50 o 100 anni? Sono interrogativi che mi hanno ispirato molto, anche grazie alla lettura di Homo Deus di Yuval Noah Harari.

Personalmente, ho una visione piuttosto critica, perché ritengo che tutto ciò che ci allontana dal ritmo “naturale” che ci circonda – come la digestione, le stagioni o il movimento degli astri – possa, in qualche modo, danneggiarci. Certo, sarebbe importante interrogarsi su cosa consideriamo davvero naturale. Ma oggi vediamo già le conseguenze di questo distacco, come la percezione alterata del tempo quando restiamo ore immobili davanti a uno schermo, o l’annichilimento della socialità. È un tema complesso, che richiederebbe una riflessione molto più ampia per coglierne tutte le implicazioni.


In altri due brani – “Va tutto bene” e “Parlami” – parli dell’amicizia come qualcosa che forma la persona. Il sapere che c’è qualcuno che può essere supporto e appoggio con cui condividere esperienze nel bene e nel male è ciò che unisce le persone. Quanto l’amicizia ti ha insegnato e segnato sia come persona che dal punto di vista lavorativo?

Tantissimo. Credo che la persona che sono oggi sia il risultato dello scambio che ho avuto con gli altri. L’amicizia non è solo una rete di supporto, ma anche uno spazio di crescita e trasformazione reciproca. Me ne accorgo, ad esempio, quando suono: nelle mie mani ci sono tracce dello stile delle persone con cui ho suonato. È come se una parte di loro fosse entrata nel mio modo di esprimermi musicalmente.

Lo stesso vale per il modo di pensare. Le conversazioni, i confronti e persino i conflitti con gli amici hanno plasmato la mia visione del mondo e mi hanno aiutato a scoprire aspetti di me che non avrei mai visto da solo. Anche dal punto di vista lavorativo, la condivisione con chi ti sta accanto può fare la differenza: impari nuovi approcci, nuove idee, e spesso sono proprio le relazioni che ti spingono oltre i tuoi limiti.


La tua ragazza è una presenza costante nei tuoi brani: quanto la sua presenza è fonte di ispirazione nel tuo essere autore e produttore?

Non lo è sempre, perché nelle mie canzoni parlo raramente d’amore in senso diretto. Tuttavia, in questo album la sua presenza è stata una fonte di ispirazione fondamentale. Questo disco parla molto della mia vita negli ultimi anni, e lei è stata una colonna portante in quel periodo. È come se fosse presente in modo sottile ma profondo.


Nid” è un brano di improvvisazione e sperimentazione elettronica: come mai hai deciso di mettere un pezzo così particolare all’interno del tuo disco?

La sperimentazione elettronica è un aspetto che mi caratterizza molto, tanto che ho in mente di realizzare un intero album con questa impronta. Inserire Nid nel disco è stata una scelta voluta, per creare un momento di “stacco” e dare spazio a un lato del mio percorso artistico che, essendo più legato all’improvvisazione e meno strutturato come una canzone tradizionale, rischierebbe altrimenti di non trovare posto.


In conclusione a quest’album c’è “Pacechimica” che chiude il cerchio rendendo l’album un’opera circolare. Questo significa che la pace mentale non sarà mai un viaggio con una destinazione finale ma una ricerca costante ed eterna?

Sì, assolutamente. La pace mentale non sarà mai un viaggio con una destinazione finale, ma una ricerca costante. È un percorso che dobbiamo intraprendere per dare la giusta importanza alla salute mentale, che oggi è una delle grandi malattie del nostro periodo storico. Ed è soprattutto un percorso che va fatto giorno per giorno, senza aspettarsi che ci sia una fine definitiva, ma vivendo il cammino come parte della nostra crescita continua.



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