Jacopo Martini, "Canzoni" è un ep autentico, senza compromessi - Intervista
- Michela Ginestri
- 21 ore fa
- Tempo di lettura: 3 min
Con “CANZONI”, Jacopo Martini firma il suo nuovo EP con nome e cognome, lasciandosi alle spalle lo pseudonimo Jacopo Planet e inaugurando una nuova fase artistica all’insegna dell’autenticità. Pubblicato da Zefiro Records e Island Records, "Canzoni" è un piccolo scrigno di brani scritti, suonati e registrati in casa, con mezzi essenziali ma idee chiarissime: raccontare sé stesso senza filtri, con una scrittura sincera, calda e personale. Eleganza rétro, ironia malinconica e melodie che sembrano uscite da un vinile dimenticato in soffitta: in questa intervista ci ha raccontato com’è nato il progetto, come ha affrontato il passaggio al suo vero nome e cosa significa, oggi, fare musica “con le mani”.

Ciao Jacopo! Come è nato l'EP "CANZONI" e quali sono state le principali fonti di ispirazione per questo progetto?
Ciao ragazzi! L’EP è nato praticamente a casa, come una risposta personale a ciò che volevo davvero fare. Mi sono ritrovato da solo e ho iniziato a scrivere i brani così come li immaginavo io, con totale libertà. Ho usato solo gli strumenti che avevo a disposizione, senza preoccuparmi di andare in studio o usare attrezzature particolari. Ho cercato di ottimizzare i tempi e ridurre al minimo le interferenze esterne. Anche a livello emotivo e musicale, è nato con l’idea: “Questo ho, e questo metto nel disco”.
Da Jacopo Planet a Jacopo Martini: cosa ha significato per te questo passaggio e cosa ti ha spinto a scegliere di usare il tuo vero nome per questo EP?
È una domanda che mi sono posto in modo naturale, una volta che i brani hanno preso forma. Da tempo pensavo di cambiare nome, e credo che questa musica abbia in un certo senso anticipato quel cambiamento. Per me era ancora un disco di Jacopo Planet, ma solo dopo ho capito che era, in realtà, un disco di Jacopo Martini.
In “CANZONI” parli di un’urgenza creativa autentica. Qual è la linea di confine tra sincerità e nudità emotiva? Ti sei mai sentito troppo esposto?
Sempre! La bellezza di scrivere canzoni così intime sta proprio nel fatto che mi aiutano a scoprire cose di me che non conoscevo. È un’esperienza emotivamente forte e stimolante. La difficoltà nasce quando ti esponi così tanto: usare uno pseudonimo può essere una sorta di protezione, come se a parlare fosse qualcun altro. Ma quando ci metti la tua vera faccia, cambia tutto.
Hai menzionato una varietà di influenze musicali, da Gino Paoli a Devendra Banhart. Come hai integrato queste influenze nel tuo stile personale?
Non ho mai pensato di doverle “integrare” consapevolmente. Non è stato un processo razionale del tipo “devo inserire queste influenze”. Anzi, mi sorprendo di come siano uscite in modo naturale. Mi rendo conto che non sono influenze comuni nel panorama musicale che mi circonda, e per questo sono orgoglioso di averle tirate fuori così, senza compromessi.
Hai parlato della magia che si è creata coinvolgendo altre persone nel tuo progetto musicale. Come hai selezionato le collaborazioni per questo EP e cosa pensi che abbiano aggiunto alla tua musica?
È stato tutto molto spontaneo. All’inizio pensavo che questo EP non avrebbe avuto grande riscontro. Poi, pian piano, ho visto persone che dicevano: “Wow, ma sembri proprio tu!” e iniziavano a condividere i brani. Paradossalmente, grazie a questo passaparola ho scoperto che c’era davvero qualcuno interessato. Ora sto lavorando con Axel Pani e con la sua etichetta “Zephyro”, che ha coinvolto anche “Island” (Universal). Intorno al progetto si sta muovendo qualcosa di bello, e sto incontrando tante persone che reagiscono e si appassionano. Non so bene cosa sia, ma qualcosa sta accadendo.
La voce è uno strumento estremamente intimo. C’è un momento in una delle tracce in cui, riascoltandoti, hai pensato: “Questo sono io, nudo e senza filtri”?
Sì, in quasi tutte le tracce. Ci sono dei passaggi dove si sentono chiaramente gli errori, ma non importa. Quello che conta è che il messaggio arrivi. Se avessi voluto fare un disco “perfetto”, come si usa fare oggi, avrei riregistrato tutto in modo più pulito. Ne sarei stato capace, ma ho scelto volutamente questo approccio, più diretto e autentico.
Guardando avanti, se tra dieci anni qualcuno dovesse scoprire “CANZONI” per la prima volta, cosa speri che percepisca o comprenda di te ascoltandolo?
In realtà, è già come se fosse un disco di dieci anni fa. Quando lo immaginavo, pensavo proprio a un disco “vecchio”, uno di quelli che potresti trovare sotto il letto di tuo zio, e che ti emoziona al primo ascolto.
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