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Che fine del mondo sarebbe senza Colapesce & Dimartino? "I mortali" - Recensione

Dove sono gli ascoltatori di una volta? È questa la vera domanda, posta in “Il prossimo semestre” tra una strumentale e un ritornello, che dovremmo farci quando ci interroghiamo sulla maniacale ricerca della hit messa in campo sempre più spesso da chiunque decida di fare musica oggigiorno. Un cambio di prospettiva perfettamente calibrato, che sposta l’attenzione dal produttore di musica al consumatore. Del resto nel mercato è la domanda che determina l’offerta. Se c’è una tale offerta di prodotti mediocri è perché, evidentemente, quei prodotti mediocri un pubblico lo trovano e tanto basta per definirlo un prodotto che funziona.

“Solo come un cantautore” (da "Il prossimo semestre")

La legge del mercato non sempre è meritocratica e come detto spesso finisce per premiare prodotti che meriterebbero di non uscire mai dall'hard disk del suo creatore, eppure il fenomeno Colapesce ha da sempre ricevuto un buon seguito e numerosi riconoscimenti per la passione e il pathos che è in grado di incidere nei suoi lavori. Quando poi abbiamo saputo della sua collaborazione con Antonio Dimartino, un’altra anima di rilievo del cantautorato siculo, abbiamo da subito intuito il potenziale esplosivo che una collaborazione simile avrebbe potuto presentare. Non ci eravamo sbagliati.

“Che fine del mondo sarebbe senza di te?” (da "L'ultimo giorno")

Succede che l’incalzante alternarsi delle dieci tracce che costituiscono l’album non ci lasciano soli neanche per un secondo: non sono semplici canzoni, sono spaccati di vite che sebbene non abbiamo vissuto ci appartengono già dalla prima nota. È la magia tipica di Colapesce a cui Dimartino funge da ottima spalla in una prosa così tenera e rassicurante, e al contempo così brutalmente schietta. “Noia mortale” o anche “Adolescenza nera” sono due concentrati di denunce e amore per la musica vera.


Ci sono brani invece, come “Majorana” o “L’ultimo giorno”, che ci deliziano con un arrangiamento delicatamente folgorante, la cui base strumentale trova ampi spazi per stupire in alcune variazioni elettroniche o altre soluzioni sonoramente interessanti ed originali. Il merito del duo Colapesce&Dimartino sta proprio in questo: proporre uno stile musicale tradizionale nella scrittura e nella nobiltà di spirito pur riuscendo ad essere sul pezzo per funzionare nel mercato musicale di oggi. È un merito enorme, non da tutti.

“Paese che vai, stronzi che trovi” (da "Cicale")

I due artisti uniti in questa avventura isolana non ci hanno affatto delusi e anzi, ben vengano altri lavori di questa statura in futuro. Ciò che invece mi ha lasciato in dubbio è il fatto che la voce struggente e beffarda di Colapesce, insieme al suo timbro stilistico riconoscibilissimo, finiscono in ultima analisi per risultare preponderanti rispetto alla poetica musicale di Dimartino, della quale si lasciano solo intuire le intenzioni. È un peccato, un miglior bilanciamento avrebbe forse reso un lavoro già splendido ancora più prezioso, ma ci rendiamo conto che conciliare due personalità artistiche così complesse senza dover rinunciare a qualche aspetto dell’uno o dell’altro è un lavoro molto difficile.


Ciò che resta di indubbio è il calore dato dalla musica fatta col cuore, che parla di tutto: dall’adolescenza con i suoi controversi risvolti sulla vita adulta, alla soleggiata e maledetta bellezza siciliana, all’amore nella sua intrinseca difficoltà di coesistenza in un mondo così complicato. Già a partire dal titolo ci rendiamo conto della portata così ampia e raffinata di questo lavoro. Una meravigliosa ascesa nella mente di due tra le più valide personalità artistiche che l’Italia ci abbia regalato.

“Le parole d’amore una noia mortale” (da "Noia mortale")

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