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"Dove sono finiti tutti?" dei The Bastard Sons Of Dioniso - Intervista

"Dove sono finiti tutti?" è l'ottavo album dei The Bastard Sons Of Dioniso, uscito lo scorso 8 aprile. Il power trio dopo cinque anni torna a farsi sentire con un lavoro che è stato anticipato dai singoli “Restiamo Umani”, “Tali e Squali” e “Ribelli altrove” che già da soli avevano dato un assaggio della complessità e della forza degli altri pezzi. Gli abbiamo chiesto di raccontarci la loro storia, il loro tour, il loro percorso ad X-Factor e delle disco-birrette.


Ciao ragazzi, dopo cinque anni è un piacere tornare a sentirvi in cuffia e a vedervi live. Il vostro ultimo album si chiama “Dove sono finiti tutti?”, una domanda che negli ultimi anni si sono posti in molti ma per voi, come musicisti, cosa significa?

“Dove sono finiti tutti?” è un passo importante nel nostro percorso musicale. Il tempo che ci ha tenuti in sospeso dall'attività live è stato concentrato nel lavoro in studio. C'è chi nel titolo intravede una nota critica, chi una nota ironica. Ma in definitiva per noi rappresenta la voglia di darci una risposta. Tornando in pista con i live abbiamo appena iniziato a risponderci.


Avete diviso il vostro album in due lati: il lato a è ambientato al mare, il lato b nell’altrove. Cosa rappresenta il mare per tre trentini?

L’altrove di cui parlate sembra fare riferimento ad un posto non tanto lontano quanto interno in cui mettersi in discussione o è riferito ad un luogo specifico?

Per i trentini maschi generalmente il mare è un posto caldo e noioso. Naturalmente ci sono delle eccezioni, ma per noi il verdetto è unanime. Nel contesto delle canzoni però tutto ciò non conta. I nostri testi si sviluppano sovente in immagini ed ambientazioni emotive, per lasciare a chi ascolta la libertà di intendere ciò che più a lui evocano musica e testo. La parte marina in questo caso rappresenta la distanza, l'isolamento, lo spazio virtuale, un DeltaT, in una visione piratesca tra tesori, squali e sirene. L'altrove per noi rappresenta un “non qui” e “non ora”, una ribellione che è indirizzata in una direzione sbagliata che oltre ad essere inutile risulta dannosa. Rappresenta l'energia sprecata che l'uomo continua a spendere, e che potrebbe invece essere la soluzione.

In “Ti piace o no?” cantate con AmbraMarie, vostra compagna di viaggio ad X Factor: dal 2009 come si è evoluto il rapporto tra voi?

Abbiamo avuto la fortuna di avere come compagni di viaggio ad X Factor tante persone incredibili. La stima tra di noi è viva e sentita. Ambra è stata brava a mantenere i contatti tra tutti noi, ed appena le abbiamo chiesto se voleva partecipare al progetto si è catapultata subito nel nostro studio. Il suo contributo è stato per noi un grandissimo regalo.


Nel brano che chiude l’album, “È l'ora”, parlate di errori che vorreste rifare, quali sono? E se alla fine poteste ricominciare, vi perdereste ancora?

“E' l'ora” è ispirata alla salita realizzata dall'alpinista Thomas Franchini sull'inviolata, fino a quel momento, parete est del Lamo She in China. Si è tramutata in una metafora della vita e del percorso che a prescindere dalle nostre scelte percorriamo. Il fine non è arrivare in cima, quella è solo la “metà”. Thomas è salito in libera (avevano preparato l'attacco in un punto sbagliato) e solitaria (il suo compagno di ventura lo aveva abbandonato per le condizioni estreme in cui si trovavano) quando uno spiraglio di sereno, dopo un mese di tempo avverso, aveva fatto intravedere la linea per arrivare alla cima. Per discendere, senza corde o altro, ha ricalcato passo passo le sue impronte scendendo da dove era salito, di notte e mentre aveva ripreso a nevicare. In tutto ci ha messo 24 ore. Quando mi ha raccontato la sua avventura vedevo le sue mani ed erano aperte.

Il caso, l'errore, le scelte portano ad un ignoto che dobbiamo affrontare. Il percorso è duro più in discesa che in salita ed alla fine tutto ciò che ci a portati fino ad ora, compresi gli errori, sono ciò che siamo. Quindi: bisogna perdersi, altrimenti non ci si troverà mai.


“Dove sono finiti tutti?”, come “Cambogia”, sarà accompagnato da una birra: si chiamerà come l’album? Dove potremo trovare le bottiglie?

Certamente! Non potevamo esimerci dal fare la nuova birra. Come in “Cambogia”, l'etichetta è la copertina del disco. Questa volta sul retro c'è anche il QR code dove potere ascoltare direttamente l'album. Le bottiglie saranno disponibili direttamente dal birrificio che le produce, in alcuni locali, e negozi. Naturalmente ne avremo con noi una scorta personale per i concerti.


Come band siete da poco maggiorenni ma il grande pubblico vi ha conosciuti con X Factor: avete ancora la stessa fame e sfacciataggine di quegli anni o la maggiore età vi ha portato saggezza?

Noi ci sentiamo sempre gli stessi, ed ogni album è stato realizzato come se fosse il primo ed anche l'ultimo. Purtroppo credo che siamo più sfacciati di un tempo. L'esperienza ha indurito i nostri calli e limato le inibizioni.


Siete appena stati in tour con Caterina Cropelli (X Factor 10) e sul palco l’avete accompagnata in alcuni suoi brani. Nonostante facciate stili diversi, durante le esibizioni sembravate una cosa sola: cosa vi ha unito oltre l’essere tutti trentini?

Caterina è stata una felice scoperta per noi. Ci siamo conosciuti durante le registrazioni del suo primo album. Ci è piaciuto subito il modo in cui scrive. In più i suoi brani sono suonati ed arrangiati da artisti incredibili. A noi le sfide piacciono e poter condividere il palco con lei in queste prime date è stato un vero piacere.


Chiudete i vostri concerti con dei brani in acustico e altri in inglese: come mai questa scelta? Perché lasciate questi brani in chiusura anziché “mischiarli” nella scaletta?

Tendenzialmente, dopo la chiusura delle registrazioni del disco, lo sforzo si concentra sul Live, quindi abbiamo provato diverse scalette. Avendo il disco nuovo lo si suona tutto, passando anche attraverso i nostri album precedenti e cover che ci piacciono con le canzoni che abbiamo ritenuto più belle da suonare. In queste prime date, visto che c'era anche Caterina, abbiamo deciso di concludere in acustico. Questo è un lato del nostro modo di fare musica che è sempre stato presente ed in più così abbiamo potuto concludere il concerto facendo tornare Caterina a suonare con noi.


Avete raccontato di aver scritto “Ease my pain” una sera da ubriachi, in macchina, rimasti bloccati in una tempesta di neve. Scrivete ancora le canzoni in momenti o posti non convenzionali?

Prima di mettersi seduti ad un tavolo e fare una canzone deve succedere qualche cosa che faccia scattare l'idea, una idea che spicchi tra tutte quelle che ti circondano e che, come un tarlo, si scavi uno spazio di esistenza fino a concretizzarsi.


Avete registrato una canzone del 1400 (“Io non compro più speranza”), un brano di Monteverdi (“Mi par che per adesso”): possiamo aspettarci rimaneggiamenti ad altri brani della storia della musica? E come riuscite da incorporare l’italiano aulico (penso ad un “buggerato dalla mia baldanza” de “L’amor Carnale”) nel linguaggio odierno?

Ci sono sempre ispirazioni che arrivano da vari fronti. Sicuramente, come ci sono state, ci sono tutt'ora ispirazioni che giungono da tutta la musica che abbiamo incontrato e che ci ha colpito. Con il linguaggio continuiamo a cercare parole che possano essere adatte allo scopo ed evitiamo troppi neologismi. Naturalmente l'etimologia è necessaria per approfondire i significati, per capire come siamo e perché e così indirizzare il messaggio. Non crediamo l'aggettivo giusto delle parole che intendi sia aulico, un linguaggio per elevarsi nell'aula, solenne, rituale, ma piuttosto l'aggettivo sia vetusto o meglio vintage. Ci sono così tante parole in disuso ed è un peccato lasciarle li a marcire.



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