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Caleidoscopico, multiforme e variopinto “Fuori Onda” è l’esordio di Lorenzo Lepore - Intervista

Lorenzo Lepore, classe '97, è uno di quei cantautori che colpiscono principalmente per la loro scrittura pungente e la loro visione del mondo a tutto tondo. "Fuori Onda" è il suo disco d'esordio, un ottimo biglietto da visita del suo immaginario interiore e di riflesso anche della sua musica. La prima cosa che ho notato ascoltando in riproduzione casuale "Futuro" e "Vent'anni", contenute nel disco, è stata l'urgenza che c'è dietro la sua scrittura, la voglia e la necessità di far uscire pensieri e consapevolezze. Non solo certezze, ma anche dubbi e incertezze, cantate in uno stile sicuramente cantautorale del tutto unico. Ogni canzone ha una sua peculiarità, ogni dettaglio è al suo posto e tra un verso e l'altro si può scorgere un ticchettio di un orologio, un coro delicato, una bottiglia che si rompe, il rumore del mare e tante altre piccole cose che fanno la differenza. Regalatevi 37 minuti di musica sincera per restare sempre e comunque dei Fuori Onda.


"Rimanere fuori onda in un mare di miseria è per me luce e mi auguro con questo disco di condividerne anche uno spiraglio con più persone possibili, a cui dedico davvero con tutto il mio cuore questa mezz’ora abbondante di musica e parole"


Ciao Lorenzo e bentornato su IndieVision! E’ in uscita il tuo album “Fuori Onda”, un'opera che già da primo ascolto risulta un lavoro molto personale e intimo. Partiamo dal titolo: il fuori onda da definizione mi dà l’idea di un momento radiofonico o televisivo non trasmesso, come fosse un momento fuori dai canoni televisivi che vengono mandati in onda. Nasce da qui l’idea? E’ un rimando a un qualcosa di volutamente fuori dal coro? Hai detto bene. Entrambe le intuizioni sono corrette e credo che questo titolo possieda anche ulteriori piani di lettura. Almeno quanti se ne riescono a percepire, poiché reputo che l’interpretazione del “significato” di un disco appartenga esclusivamente a chi ne usufruisce. L’idea di partenza nasce dal fatto che nel mio percorso artistico molti colleghi e ascoltatori mi hanno spesso definito come un cantautore fuori dai canoni musicali odierni, sia per la scelta dei temi trattati che per la maniera in cui li proponessi. Credo che il mio “Fuori onda” sia un grido di emancipazione in un mondo che ci vuole tutti uguali e arresi a un sistema alle volte opprimente. È una serie di ragionamenti interiori lontani dai microfoni accesi che permettono di far emergere con urgenza una propria verità non sempre sotto ai riflettori della società. È anche la condizione di una persona prima di decidere di affrontare i pericoli del mare e tuffarsi. Tutto il disco possiede una dinamica che si alterna fra “in onda” e “fuori onda” in cui i protagonisti dei brani non fanno altro che enunciare i propri stati d’animo.

Dalla malinconia e le varie emozioni alle riflessioni sul futuro e le guerre: ogni canzone sembra avere un suo microcosmo interno, una sua tematica delineata e uno stile/arrangiamento ben preciso. Insieme compongono un album molto equilibrato, la cui linea comune è proprio la tua scrittura. Cosa speri che le persone ricevano ascoltandoti? Il mio unico desiderio per questo primo album rimane augurarsi che le persone ci si rispecchino. Che possano coglierne una propria verità e magari anche farne tesoro. Che possano divertirsi, commuoversi, riflettere e guardarsi dentro. Credo che questo sia un album fatto per emozionarsi e ragionare sulle cose importanti. Sulla luce che prevarica il buio. Sulla pace e la natura che se assecondate e rispettate possono scardinare ogni tipo di guerra, soprattutto interiore.

C’è una frase che mi ha colpita molto di “Vent’anni” che dice “Siamo le mani strette contro la fatica di parlarci”. Sottolinea molto bene l'importanza della comunicazione e della connessione tra le persone. Da cosa deriva questa fatica secondo te e quali ritieni siano gli elementi chiave per superarla e instaurare connessioni significative? Credo che ogni giorno della vita di un essere umano sia spesso più faticoso che gratificante. Tutta la canzone è narrata dalla prospettiva di un ventenne che si affaccia alla vita adulta traendone il disincanto e il mancato sentimento di speranza. È proprio però nel momento in cui il protagonista raschia il fondo del bicchiere che avviene il miracolo. Che una mano sconosciuta lo solleva dall’abisso e la ferita si rimargina. Che ritorna la luce. Una luce che ha senso di esistere solo se condivisa. Forse la vita di tutti i giorni è proprio il tentativo di alleggerire i pesi sulle spalle alleandosi e facendosi forza. Quanto pensi sia fondamentale il ruolo della comunicazione nel tuo lavoro artistico e nella musica in generale? Credo che il ruolo della comunicazione nel mondo musicale e artistico sia fondamentale e che la maniera in cui si comunica debba essere strettamente personale. Ognuno deve raccontarsi per quello che è senza omologarsi a niente e a nessuno (per riprendere anche il tema di quest’album). Io personalmente non potrei fare a meno di comunicare a modo mio. Quando faccio qualcosa non nelle mie corde credo lo si avverta anche da fuori.


"Finalmente a Casa" nasce dalla tua personale esperienza con l'associazione "Casa Africa". Puoi raccontarci di più su come questa esperienza ti abbia ispirato e come hai deciso di tradurla in musica? Il 23 dicembre 2021 decido di andare a fare volontariato alla stazione Termini a Roma con “Casa Africa”. È stata forse la volta in cui mi sono sentito più utile a qualcuno nella mia vita. Stare a contatto con i senzatetto ti insegna moltissimo. Specie il fatto che i tuoi problemi a confronto di quelli di chi muore di freddo in mezzo a una strada diventano minuscoli a confronto. Non ho potuto far altro che scrivere una canzone per sensibilizzare questo tema. Una canzone che mi ha permesso di vincere il “Premio Amnesty - Voci per la libertà” e che vorrei che in futuro con i giusti mezzi diventasse l’inno di un progetto che possa restituire dignità a molti senzatetto.

“Arthur Rimbaud” affronta un tema molto attuale specialmente in questi giorni in cui il racconto di guerre, odio e simili tendono a non lasciare molto spazio ad ottimismo e pensieri in grande. Siamo una società distratta e frenetica che lascia poco spazio alle “cose che restano”. La frase “Non fiorisce più una rosa in me” l’ho letta come un “non riesco più a provare emozioni forti davanti alle tante paure che provo in questa frenesia generale”: qual è la tua personale sveglia da tutto questo? La mia personale sveglia da tutto ciò risiede sempre nel guardarsi dentro. Riprendere contatto con il proprio corpo e con la propria anima. Comunicare tra di noi. Scrivere il proprio stato d’animo su carta in un mondo che è schiavo di uno schermo che abitua alla frenesia. Una rosa è risulta difficile da far fiorire. Con pazienza e cura nei dettagli però si erge una meraviglia imparagonabile a fiori artificiali. Imparare una poesia a memoria è faticoso ma quello che poi ci lascia è un senso profondo. Un senso che purtroppo rimane all’ombra in una società come la nostra.

"Ci avete rotto" rappresenta una protesta contro la guerra e la violenza. Riprende anche un po’ il filo intrapreso con “Vietnam”. Da dove nasce l’idea di affrontar questo tema e come hai deciso di coinvolgere Alessio Bonomo in questa collaborazione? È vero, “Vietnam” e “Ci avete rotto” sono due facce della stessa medaglia. La prima ironizza sulla “guerra interiore” di ognuno di noi in un mondo consumistico. La seconda mostra le vere conseguenze interiori ed ambientali delle scelte sbagliate dell’essere umano nei confronti del prossimo. La scelta di trattare questo tema così come quello degli altri brani rimane sempre spontanea e nata per esigenza, caratteristica fondante della mia musica. Rimane spontanea anche la scelta di Alessio Bonomo per l’unico featuring di questo disco poiché egli è di certo uno dei cantautori più “fuori onda” che conosca e che a parer mio ci sono in Italia. La sua è una penna sincera. Dice quello che pensa e non strizza l’occhio a nessun capo di moda. Mi sono innamorato della sua musica grazie a “La croce” a Sanremo nel 2000 e pensare che uno dei miei più grandi punti di riferimento musicali abbia accettato di cantare un mio brano mi commuove e mi gratifica per i tanti sforzi. Quando ho scritto questo brano ho da subito pensato a lui e quando ha cantato le mie parole ha restituito al brano la sua forma ideale mettendo a confronto due generazioni molto diverse ma comunque messe in croce dall’odio e dal potere. Cuori di certo non incapaci di rianimarsi e continuare a battere.

Al contrario “Luna Park” rappresenta un momento d’amore, di gioia e divertimento in mezzo alla monotonia. Come hai cercato di catturare l'atmosfera di quella notte nel testo e nella musica? Da dove nasce?

Luna-park è forse l’unica vera canzone d’amore presente nel disco. Un amore idealizzato che in cui alla vista di una ragazza spiata di nascosto in un bar, fa sentire il protagonista della canzone come dentro ad un Luna Park. Il resto è musica e parole che fanno sognare ed innamorare in una parentesi allegra e spensierata ma comunque importante dell’album che dona agli ascoltatori un po’ di leggerezza. “Niente di che” chiude lo show, il disco, il cerchio. Per te la musica è una sfida, un modo di mettersi a nudo? La musica è una sfida a tutti gli effetti così come lo è la vita. Anzi credo che la musica sia un mezzo per enfatizzare ed esorcizzare i dolori come ho fatto in “Niente di che”. Con questo brano nonostante già dal titolo sembra che voglia sminuire il ruolo del cantautore e dell’artista, in realtà desidero solo di riportarlo ad una condizione più umana. Ricordare che chi si trova su un palco non è un eroe contemporaneo che vive esclusivamente divertendosi come spesso si crede. Per molte persone scegliere cantare su un palco è spesso il frutto di problemi e ansie. Il brano si chiude con la frase “Chiedo scusa ma non sono niente più di me, di te, di noi…” che sta a significare il fatto che in fin dei conti ognuno è fatto a modo proprio e che la musica non può essere una gara (come spesso è). Piuttosto una maniera per condividere e unirsi in un mondo che è bello quando ogni tanto si lasciano da parte le paure e ci si godono i bei momenti.

“Siete tutti soddisfatti, tranne me”, secondo me un po’ di soddisfazione da un disco fuori onda di questo livello può esserci invece, buona fortuna e speriamo di sentirlo presto live! :) C’è eccome! Continuerò ad essere maledetto ed auto critico fino alla morte ma non posso dire di non sentirmi entusiasta del fatto che questo disco ora appartenga ai veri protagonisti di questo assurdo gioco: Le persone. Che questo album possa donarvi cose meravigliose. Io rimango “Fuori onda” e chissà se magari è la volta buona che mi tuffo in mare diverso…



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