bhadmari: dentro "hola mari", l’EP che trasforma il caos in alt‑pop emotivo -Intervista
- Michela Ginestri

- 12 ore fa
- Tempo di lettura: 5 min
Con hola mari, il nuovo EP uscito per Undamento, bhadmari spalanca una porta che di solito resta chiusa: quella della conversazione con sé stessa. hola mari non è un progetto costruito a tavolino: è un archivio emotivo che inciampa, vacilla, si rialza. Dentro ci sono beat che nascono da un impulso ruvido, chitarre registrate con l’iPhone e poi smontate, jam improvvisate che diventano canzoni, parole in spagnolo, vocali pitchati male che diventano firma. È musica che non cerca la perfezione, ma la sensazione giusta e che, soprattutto, non resta mai ferma: si sposta per guarire, per capire, per respirare. E in tutta la comunicazione fatta nel lanciare questo viaggio sonoro, compare anche Amore, una scimmietta-mascotte che vive anche online raccontando il dietro le quinte di questo mondo (@ciao.amoreeeeeee).

hola mari è un disco che parla a chi si sente solo ma non vuole sentirsi isolato. Una conversazione con sé stessi che diventa, inaspettatamente, un posto in cui ritrovarsi. Ne abbiamo parlato proprio con lei.
Ciao bhadmari e benvenuta su IndieVision :) Questo tuo nuovo progetto “hola mari” è presentato come una conversazione a porte chiuse con te stessa, tra maledizioni, piccole ribellioni e solitudine. Cosa ti ha spinta a condividerla con il mondo?
Holaaa :)
In realtà non l’ho fatto pensando troppo a chi l’avrebbe ascoltato. L’ho fatto per me, come se fosse uno scacciapensieri… o uno scacciademoni (dipende dai punti di vista). Credo che, a un certo punto, tenere tutto dentro diventasse più pesante che condividerlo. In un certo senso, pubblicarlo è stato un modo per liberarmi — magari così passo la maledizione a qualcun altro, ahah (scherzo). Però chissà, magari qualcun altro può ritrovarcisi :)
Qual è stata la parte più difficile da scrivere o produrre?
Eh, domanda tosta questa… ci credi se ti dico che questa maledizione è reale? Parlo proprio del brano che chiude l’EP, “hola mari”, che poi gli dà anche il titolo. Tutto il processo creativo è stata una vera e propria maledizione. Ci sono davvero più di 30 versioni di questo brano.
La scrittura è stata sicuramente la parte più semplice, perché è nata in modo naturale — dopo una giornata assurda, in cui tutto mi era crollato addosso. La produzione invece era nata quasi insieme al testo, però la struttura era caotica, più delle emozioni stesse. E in realtà era proprio quello che mi piaceva, ma non convinceva nessuno del mio team.
Ho provato a fare altre versioni, a lavorare con altri produttori per cercare nuove visioni e portare il brano al massimo della sua potenza… sono arrivata ad odiarlo, ma alla fine ho capito che questo pezzo era troppo mio. Solo io potevo capirlo davvero, e dovevo metterci tutta me stessa. È stata una sfida, ma anche una lezione. Ho imparato tantissimo da questo brano, soprattutto a livello tecnico e sonoro. Poi, all’ultimo minuto, ho aggiunto quell’arpeggio finale a cui sono super affezionata, perché per me rappresenta proprio la “maledizione” sonora del brano. Quindi alla fine è tutto giusto così.
Il tuo processo creativo sembra basarsi sull’istinto e sull’imperfezione. Cosa cerchi quando decidi che un suono, una voce o un errore meritano di restare nel brano?
Vado molto a istinto. Quasi sempre non so nemmeno cosa sto facendo — se un suono o una voce mi colpiscono allo stomaco, allora restano. Spesso sono proprio le cose più “sbagliate” a raccontare di più. Non cerco la perfezione, cerco la sensazione giusta.
L’ album è attraversato da un senso di movimento: fisico, emotivo, sonoro. Che rapporto hai con l’idea di “spostarsi” per guarire, per capire, per creare?
Mi piace l’idea di muovermi, anche solo mentalmente. Spostarsi per me significa cambiare prospettiva, buttare fuori i pensieri in musica per dare spazio ad altri, liberarsi. La scrittura per me è un viaggio, anche se sono solo nella mia stanza. Quando scrivo o produco da sola faccio una cosa forse un po’ strana, ma ve la dico: scorro la home su Pinterest perdendomi nelle immagini e nei colori. Mi fa immergere completamente nel suono e mi fa dissociare dal mondo reale — e mi piace. Ogni brano è una piccola tappa emotiva, un posto da cui scappare o in cui restare un po’ di più.
“lasciatemi ballare” nasce in una cameretta, mentre fuori il mondo si muove, contro la FOMO e forse anche contro l’idea di dover sempre partecipare. È una forma di protezione, di resistenza, o di libertà?
Direi che è un po’ tutte e tre le cose: protezione, resistenza e libertà. L’ho scritta un sabato sera, da sola in camera, mentre fuori tutti erano a fare serata. Mentre producevo ho iniziato a ballare da sola, come se fosse un momento catartico — il mio corpo che si ribellava all’ennesimo sabato sera da eremita. Perché è così che mi sentivo: un’eremita, un’emarginata. Forse quella sensazione non è del tutto svanita, però chi se ne frega.
Alla fine per me significa lasciarsi andare, nonostante i problemi. Lo dico chiaramente: “con tutti i problemi che ho, lasciatemi ballare”. È anche un modo per ricordarmi che se mi perdo una serata o un evento, in realtà non mi perdo niente. La FOMO non esiste, è la società che ci nutre delle sue convinzioni. Quindi mi ribello anche a questo: lasciatemi ballare, e aggiungo… lasciatemi stare.
In “VAI” c’è una significato chiave: “Non posso trovare la felicità nello stesso posto in cui l’ho persa”. Cosa significa per te?
Non posso trovare la felicità nello stesso posto in cui l’ho persa” è una frase che mi è uscita quasi senza pensarci, ma è diventata una specie di mantra.Per me significa cambiamento: un invito a muoversi, a non restare dove si è già sofferto troppo.Non puoi continuare a cercare la luce dove ormai è buio — devi spostarti, anche solo di un passo, per tornare a vedere e a vivere.
Amore, la tua mascotte-scimmietta, vive online e racconta il dietro le quinte. Come nasce questa figura e che cosa riesce a dire di te che magari la musica non dice?
“Amore” è nata per caso, come tutte le cose che poi restano. Cercavo un modo per rappresentare il progetto in modo ironico, e mi è venuta questa visione di una scimmietta in hangover. Alla fine è diventata il mio alter ego: mi fa ridere, mi fa compagnia e mi ricorda di non prendermi troppo sul serio. In un certo senso rappresenta quella leggerezza che a volte mi manca, ma che cerco sempre di ritrovare nella musica.
Per salutarci una domanda più di fantasia: se potessi scegliere un solo rumore / suono da tenere per sempre nel tuo archivio sonoro personale, quale sarebbe e perché?
Forse terrei un mio vocale pitchato male. Suona stranissimo, ma è diventato il mio marchio di fabbrica ahah










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