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"Yacht Soul" è la perfetta sintesi musicale di Old Fashioned Lover Boy - Intervista

"Yacht Soul" è il nuovo viaggio musicale nel mondo di Alessandro Panzeri, in arte Old Fashioned Lover Boy, uscito lo scorso 15 aprile (PeerMusic Italy). Il percorso artistico di OLFB inizia nel 2015 con il primo ep “The Iceberg Theory” per poi farsi spazio nella scena musicale con il primo album in studio "Our Life Will Be Made Of Simple Things" che lo accompagna in un tour di più di 70 date e ad aprire palchi come quello di Paolo Nutini, Scott Matthews e degli Hurts.


Il nuovo EP è un punto di arrivo ma anche di ripartenza per il percorso musicale internazionale del cantautore. Cinque tracce ricche di sentimento in cui troviamo omaggi al vintage e agli anni 80' (come in "L.A.", ultimo singolo uscito), al puro pop (come in "Wait") ma anche suoni tipici della sua composizione come i richiami al mondo RnB e folk rock.

"Yacht Soul è la chiusura del cerchio, la sintesi perfetta di cosa oggi vuole essere il progetto OFLB", come ci racconta lo stesso autore. Un progetto caleidoscopico in cui è costante la ricerca di nuovi temi, singolarità e di nuove sfumature del suono. Nulla è lasciato al caso in Yacht Soul, ogni sonorità è diversa e concentrata ma in preciso equilibrio. Abbiamo parlato con Alessandro del suo progetto artistico, della visione della musica oltre confine e della nascita di queste cinque nuove canzoni.

Ciao Alessandro e benvenuto su IndieVision! Per iniziare, mi soddisfi una curiosità? Il tuo nome d’arte è ispirato alla Good- Old Fashioned Lover Boy dei Queen? Se sì, da dove nasce l’idea?

In realtà non c’è alcun collegamento. A suo tempo (mea culpa) non conoscevo la canzone dei Queen; non sono mai stato un loro fan accanito. L’idea era quella di avere un nome che trasmettesse una sensazione di qualcosa di romantico e delicato che si potesse racchiudere in un acronimo (OFLB)


E’ appena uscito il tuo nuovo ep “Yacht Soul”, che unisce RnB, soul, anni 80 e influenze dei sound più internazionali. C’è uno stile e quindi un brano in cui ti ritrovi di più o potremmo definirlo il “pentagono” di tutti i tuoi stili?

In questo Ep si rincorrono e intrecciano due mondi musicali, quello più contemporaneo / nu-soul di brani come “Wait”, “50” e quella più 80’s/ Yacth di “I give up” o “L.A.”.

Probabilmente questi due mondi si incontrano più evidentemente in “Falling Apart” che in questo senso forse è il brano più rappresentativo di questo lavoro.


Ho trovato “L.A.”, ultimo singolo ad anticipare l’ep, un vero e proprio tributo alla musica e allo stile di vita anni 80, con dei risvolti romantici e nostalgici. Ci racconti com’è nata?

Il pezzo è nato molto naturalmente al piano, in realtà ispirato da una fase in cui ero in fissa con Prisoner, uno dei dischi più belli di Ryan Adams. Poi – quando ho iniziato a mettere mano in modo concreto alla produzione – questa atmosfera un po' epica che quasi da sola veniva fuori mi ha fatto capire che poteva essere l’occasione giusta per portare l’arrangiamento su quel tipo di mood. Ho cercato di proporre un “tributo” che risultasse credibile. Quando fai questo tipo di operazioni il limite tra il “UAU” e il “ODDIO “ è sempre molto labile.


Come si sviluppa il tuo processo creativo? Nasce prima la musica o il testo?

Sempre prima la musica, e la linea melodica della voce che in qualche modo “chiama” gli accordi che arrivano uno dietro l’altro. Il testo nel mio processo creativo arriva sempre alla fine e in qualche modo si adatta alla melodia della voce.


Tra tutte le inedite probabilmente “Wait”, traccia di apertura dell’ep, è quella che più mi ha colpita, sia per il suo stile musicale e per la tua voce con cui si sposa con precisione che per le sue parole. Ci racconti qualcosa di lei?

Credo che sia il brano più “vecchio” in termini di composizione. Una canzone su cui ho avuto le idee molto chiare fin dal principio. Ho cercato di conservarne la sua immediatezza e la sua vena pop senza cadere nei classici stereotipi della ballad RnB; grazie all’aiuto di Marco Maiole che ha prodotto questo brano, credo che siamo riusciti nell’intento. Adesso è un brano godibile anche dal punto di vista strettamente musicale / di sound.


I tuoi lavori in studio sono rivolti principalmente all’estero, sia per la scelta di cantare in inglese sia per la natura stessa delle tue canzoni. Questo credo ti abbia aperto a molte più occasioni e iniziative fuori dall’Italia, con il tuo primo disco “Our life will be made of simple things” hai aperto concerti importanti, da quello di Paolo Nutini a Scott Matthews e agli Hurts. Pensi ci sia una differenza nel modo in cui all’estero ascoltino e percepiscano la musica rispetto all’ascoltatore italiano?

Credo che la questione sia cambiata in modo radicale negli ultimi 3 o 4 anni. Quando ho cominciato con OFLB, anche in Italia c’era molta curiosità per chi scriveva in inglese, soprattutto nella scena indipendente. Poi negli ultimi anni la gente ha iniziato a concentrarsi di più sulle parole e sul poter cantare quelle parole, e un po' meno sul sound. Forse all’estero è un po' meno così, o comunque in generale la musica cantata in inglese non è vista come una discriminante nel legarsi affettivamente ed emotivamente ad un artista.


E della cultura in generale? Penso che in questo periodo soprattutto in Italia non tutti abbiano una concezione così forte dell’arte e della cultura come in altri paesi a noi vicino, non che fuori siano tutti bravi ed esemplari ovviamente. Penso ad esempio alla situazione critica dei lavoratori del mondo dello spettacolo e dei live club.

Su questo potremmo dilungarci per ore e ore senza trovare delle risposte concrete. Sono sincero, non sono uno di quegli artisti che si schiera perché credo sempre che chi debba prendere delle decisioni difficili si trovi sempre in condizioni realmente complesse.. soprattutto in questa fase così assurda. Mi sembra, però, effettivamente assurdo che non siano stati dati degli aiuti economici concreti più che agli artisti top che in qualche modo con la distribuzione digitale e le radio qualcosa riescono a fare sempre, a tutti. Gli operatori della musica e gli artisti minori che vivono quasi esclusivamente solo di musica dal vivo.


Ma torniamo a te. Una cosa molto bella del tuo percorso musicale è la continua ricerca, dal tuo primo ep “The iceberg Theory” al tuo ultimo album “Bright” fino ad arrivare al nuovo “Yacht Soul”. Quel cambiamento buono, a mio avviso, che vede un artista rinnovarsi e sperimentare pur rimanendo comunque fedele alla sua poetica. Nei nuovi singoli c’è un retrogusto vintage, in altri un chiaro riferimento al mondo dell’RnB e altri ancora una tendenza più rock/folk-rock. Cosa spinge questa tua continua ricerca?

Sostanzialmente la voglia di imparare e di crescere, sia come musicista che come cantante. Per me la musica è prima di tutto un gioco, e di conseguenza ho voglia di divertirmi. La mia posizione di “outsider” mi mette nelle condizioni di non dover scendere a compromessi discografici e di fare sempre passi istintivi.

Adesso per esempio non so se tra 3 mesi mi vedo completamente e definitivamente fermo su questo progetto o per assurdo chiuso in camera a fare un best of completamente unplugged.


Per salutarci, ci dici quali sono i tuoi 3 album “della vita”? Quelli che per te sicuramente non dovrebbero mancare in una collezione di dischi per essere definita tale.

Vado su 3 grandi classici :

- Definitley Maybe – OASIS

- Purple Rain – PRINCE

- Blonde – Frank Ocean



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