Dopo quasi un anno di tour, Galeffi salirà sul palco per i suoi ultimi tre concerti del “Belvedere Tour”. Un tour tanto desiderato, dopo l’annullamento dei live del suo precedente album “Settebello”. Con “Belvedere” il cantautore romano ha dimostrato la sua capacità e la sua volontà di andare oltre. Ascoltando i brani si percepisce una nuova maturità e a allo stesso tempo una voglia di osare sia negli arrangiamenti che nei testi, tanto da creare delle canzoni che sembrano sospese nel tempo.
Ora Galeffi è pronto a salutare i suoi fan per un ultimo grande abbraccio, prima dell'inizio di un nuovo viaggio.
Ciao Marco! Sta per finire il tuo tour estivo, in cui hai presentato al pubblico “Belvedere” il tuo ultimo disco uscito nel 2022. Come è stato tornare sul palco dopo il mancato tour del precedente album “Settebello”?
All’inizio è stato come con gli sport, dopo un po’ che non lo fai ti senti impreparato, con il fiato corto, ed effettivamente è andata così. Ci ho messo un po’ a ricalibrarmi soprattutto sulla gestione dell’adrenalina e delle emozioni. Dopo quattro anni dall’ultimo concerto le prime date le ho sofferte più del dovuto, però credo che la gente non se ne sia accorta. E’ stata più una cosa interiore pensavo di non riuscire a portarle a casa come una volta, però alla fine è come andare in bicicletta, dopo un po’ te lo ricordi come si fa.
Quando ho ascoltato per la prima volta “Belvedere” ho notato un evidente cambiamento rispetto ai dischi precedenti. Le canzoni sembrano sospese nel tempo. È stata una scelta voluta?
Sicuramente da questo disco, rispetto ai precedenti lavori, sono uscite fuori delle cose riguardanti la mia scrittura e il mio immaginario che non erano ancora emerse , o comunque non ero ancora pronto io a scrivere determinate canzoni. Di sicuro Belvedere è il disco più completo, perché è più elaborato, più suonato. Ci sta quello che dici e credo che derivi un po’ dai miei ascolti, ma anche principalmente perché il 90% di belvedere nasce dall’immediatezza della pandemia. Ho iniziato a scriverlo poco dopo la quarantena, segnato della situazione che avevamo appena vissuto tutti e dallo shock dell’annullamento del tour di “Settebello”. Probabilmente da quella sensazione di chiusura si è passati ad una volontà di evadere non solo fisicamente ma anche a livello mentale, immaginandosi un futuro migliore, questo nel disco si sente molto.
Pensi che il tempo passato in casa ti abbia aiutato in qualche modo a raggiungere quella ricercatezza così presente nel disco, senza la pressione e la velocità che caratterizza la musica attuale?
Assolutamente si. Io nello specifico non sono quel tipo d’artista che pubblica molto. Ci sono dei miei colleghi che non ce la fanno a non stare su Spotify una volta al mese. Io non sono così. La mia priorità principale è rispettare il mio corpo e quello che ho dentro. I tempi della discografica, li detto io. Se nella canzoni voglio dire qualcosa, lo dico, sennò sto zitto.
Per Belvedere ho avuto più tempo per ovvi motivi, quando c’è stato il covid molte discografiche hanno rallentato i ritmi perché non conveniva pubblicare. Io tra l’altro penso di essere stato il primo artista italiano a far uscire un disco in pandemia. Per non rivivere quel dramma abbiamo aspettato il più possibile per far uscire le cose, anche se il disco era già pronto da tempo. Il tempo non è mai stata una variabile opprimente per me. Tra i miei dischi quello che è stato fatto più in fretta e furia è stato il primo disco. E' stato fatto in un’estate, in meno di tre mesi. Gli altri due sono stati lavorati molto di più.
Rifaresti un disco con i tempi di "Scudetto"?
Ad oggi ti direi di no. Se mi avessero detto nel 2017 che avrei pubblicato altri dischi in futuro, non ci avrei creduto. C’era un’ingenuità di fondo e la situazione sembrava assurda, pensavo solo di godermi il momento, per poi ritornare alla mia vita normale.
Invece adesso è diventato il mio lavoro.
In questo disco sono molto evidenti riferimenti al cantautorato italiano, ma sono altrettanto evidenti dei riferimenti alla musica d’oltralpe. Negli ultimi anni questi due mondi musicali sono sempre più a contatto. Cosa ti ha spinto ad avvicinarti a quel mondo musicale e cosa ti affascina di più?
Ho sempre ascoltato la musica francese. Io ascolto e seguo artisti che in ogni disco, provano ad alzare l’asticella, andando oltre. Io vorrei assomigliare alle persone che stimo. Oltre alla musica francese c’è questa voglia di sperimentare, senza pensare ai numeri o a quanti dischi vendi, perché tutto ciò intacca la musica.
Una cosa ancora più evidente nel disco è il tuo voler sperimentare. In questo periodo nel mercato musicale quando si trova la carta vincente, è difficile che venga messa da parte per creare qualcosa di nuovo. Secondo te c’è una mancanza di coraggio nella musica attuale?
Ognuno è libero di fare le scelte che vuole nella propria carriera. Quando sei nel mondo della musica, sai il perché ne fai parte. Si è liberi di fare ciò che ci fa stare bene. Se ad un’artista gli fa stare bene fare un ritornello che funziona ma che poi viene dimenticato dopo un’estate, è libero di farlo. Chiaramente io scelgo di appartenere ad un altro tipo di filosofia, ma non è detto che la mia sia meglio di quell’altra.
Una cosa che ho notato ascoltando la tua musica è la presenza di immagini. Tanto che delle volte l’ascoltatore si trova davanti dei veri e propri scenari. È una casualità o durante il processo di scrittura ti capita di immaginarti una possibile fotografia che possa rappresentare quello che stai cantando?
Io credo che la musica già comunichi qualcosa a prescindere dalle parole. Aggiungendo la parola giusta alla musica, crea un’immagine che rende più facile sviluppare l’immaginazione nell’ascoltatore. Aiuti il suo cervello a creare delle emozioni. A me esce spontaneo creare tutto ciò, la fantasia non mi manca per fortuna. Non ti dico che mi eccito, ma provo piacere nello scegliere le immagini più poetiche e delicate possibili
In “San Francisco” canti: “Siamo solo dei pirati in cerca della terra ferma”. Artisticamente c’è un un obiettivo che vorresti raggiungere e che può essere paragonato “alla terra ferma” di cui parli nella canzone?
Il mio obiettivo è consolidare quello che ho fatto. A me piacerebbe fare questo mestiere finché ho voglia di farlo, fino a che reputo di essere credibile. Non è un lavoro facile come molta gente pensa. E’ un’ambiente difficile, iper-competitivo e adesso durare già cinque anni nella discografia attuale, è come all’epoca durarne dodici-quindici. Ora è tutto usa e getta, è una missione impossibile. Il fatto di essere durati e di aver fatto un tour così bello dopo quattro anni di assenza, è già un risultato mostruoso. E’ quasi un miracolo. Il tempo è galantuomo. Il cavallo vince alla fine della corsa e noi stiamo ancora all'inizio.
L’altro giorno su instagram hai chiesto ai tuoi fan le canzoni che non possono mancare nei tuoi ultimi concerti. Quali sono le canzoni del tuo repertorio che possono riassumere il tuo percorso artistico fino ad oggi?
“Occhiaie” è stata la canzone che ha fatto la differenza, anche se a posteriori “tazza di te” è diventata ancora più grossa di occhiaie. “Settebello” lo considero un disco di passaggio, o comunque lo vedo così, senza averlo vissuto con un tour e tutto. Inconsciamente lo raggruppo a Belvedere, come se fosse il suo lato A. “Belvedere” secondo me è il disco più bello che ho fatto tra i tre e credo che “Un sogno”, “In questa casa” e “Appassire”, sono canzoni che non si scrivono tutti i giorni.
Queste canzoni sono anche le tue preferite durante i live?
Dipende perché poi durante i live, certe volte devi suonare lo strumento, sei più concentrato su una cosa, piuttosto che su un’altra. Però “Appassire” è tra le mie preferite. E’ una delle poche canzoni in cui suono la chitarra, calcolando che di base sono un pianista, mi diverto a fare la rockstar con la chitarra.
Mancano ormai solo tre date alla fine di questo tour, ci saranno delle sorprese che puoi anticiparci?
Stiamo decidendo in questi giorni. La mia idea e anche quella della mia equipe è quella di goderci queste tre date, senza ospiti e stronzate, ma con la voglia di prendersi l’ultimo abbraccio delle persone, perché poi bisogna iniziare a lavorare al nuovo disco e minimo ci passa un anno.
La mia volontà è quella di godermi questi concerti e prendermi l’abbraccio del pubblico e basta.
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