Tommaso Di Giulio ha da poco pubblicato un album dal titolo Dinosauri, uscito lo scorso 27 settembre per Flamingo Management, ed è un progetto che colpisce dal primo ascolto per il mix di riflessioni intime e suoni vibranti, capace di farci sentire parte di un viaggio condiviso.
Un album nato da un profondo momento di introspezione, in cui ha cercato di raccontare la sua visione del mondo attuale, spesso frenetico e superficiale, ma sempre capace di sorprendere. Non mancano contrasti affascinanti nel suo stile: gioca con i contrasti tra malinconia e positività, portando alla luce tante delle nevrosi contemporanee che ci colpiscono. Con Dinosauri, non vuole dare risposte o lanciare messaggi, ma far sì che chi ascolta si emozioni, e magari trovi nelle sue parole qualcosa di personale, come ci racconta "Le emozioni sono molto più potenti dei “messaggi”, che spesso in musica si trasformano in slogan presuntuosi e sterili".
Ciao Tommaso e benvenuto su IndieVision! Nel tuo nuovo album "Dinosauri" parli, tra i vari temi, di cambiamento e resistenza. In che modo scrivere l’album ti ha aiutato a esplorare queste tematiche e a far emergere questa tua nuova prospettiva?
Da sempre scrivo canzoni per capire chi sono e dove sto andando, per fotografare un momento, per fissare un punto.
Lo stesso vale per “Dinosauri”, nato nel segno di tanti cambiamenti e prese di coscienza spesso dettate dall’età che avanza (ma non sempre porta a una maturazione).
Lavorare sui brani mi aiuta a capire cosa sto pensando per cercare di mettere a fuoco l’orizzonte di possibilità che ho davanti a me. In tutto questo, rendendo pubbliche queste mie elucubrazioni, spero che quello di cui racconto possa risuonare con più corde possibili.
Molte delle tue canzoni sembrano giocare sui contrasti, come tra malinconia nei testi e positività nelle melodie. Cosa ti attrae di questa dualità e come riesci a bilanciarla nel tuo processo creativo?
Sono convinto che dire due volte la stessa cosa sia poco interessante. E se la musica e il testo sottolineano insieme lo stesso concetto si rischia, o almeno la vedo così, di depotenziare la possibilità di interpretare significati nascosti o differenti che magari nemmeno io stesso avevo pensato fossero celati tra le pieghe di una data canzone.
In "Borghesi" parli di "schiavitù ricoperta di caramello salato". Quali sono le nevrosi contemporanee che ti colpiscono di più e come pensi che la musica possa affrontarle o anche solo metterle in luce?
Attualmente, e so di passare per boomer, una delle cose che mi terrorizza di più è la pigrizia devastante con cui ci stiamo affidando ad algoritmi e intelligenze artificiali assortite.
Con la musica temi del genere si possono affrontare in modo relativo, ma rifletterci su e, possibilmente, ironizzare e provare a fare un po’ di resistenza, si, credo che sia ancora possibile.
In "Anche Basta", parli di una relazione tossica da cui il protagonista non riesce a liberarsi completamente. Pensi che, nella tua musica, il dolore e la speranza abbiano qualche tipo di legame?
La speranza, per citare Monicelli, è una trappola. Mentre il dolore è un concetto molto più complesso, pieno di sfumature,
No, non credo che dolore e speranza abbiano alcun tipo di legame nella mia musica. A meno che non lo veda chi ascolta.
"Non fa una piega" mescola elementi di elettronica e orchestrazioni anni '60. Quanto è importante per te sperimentare a livello sonoro e come trovi l’equilibrio tra la sperimentazione e il mantenimento di una tua identità musicale?
La sperimentazione è un’esigenza profonda e sostanzialmente spontanea ma sempre subordinata ad un risultato che vorrei fosse sempre accessibile e non autoreferenziale. Non mi interessa essere criptico o “strano” per partito preso; è per questo che proprio la ricerca dell’equilibrio tra queste due dimensioni credo (e spero) sia percepito alla base della mia identità musicale.
La musica oggi sembra muoversi a velocità incredibili, spesso con il rischio di perdersi nella superficialità. Come pensi che il tuo approccio musicale, più riflessivo e basato sull'emotività, possa inserirsi in questo contesto sempre più veloce?
Come le proprie proposte vengano recepite dagli altri è sempre un mistero. Però credo anche nei corti circuiti virtuosi e nelle belle sorprese. Chi sa… Vedremo.
Cosa speri che il pubblico porti via dopo aver ascoltato "Dinosauri"? C'è un messaggio o una riflessione che desideri rimanga con chi ti ascolta?
Spero solo che si emozionino. Tanto, possibilmente. Le emozioni sono molto più potenti dei “messaggi”, che spesso in musica si trasformano in slogan presuntuosi e sterili.
Per salutarci ti chiedo: qual è la frase o il pensiero espresso nell’album a cui sei più legato?
Domanda cattivissima in stile “vuoi bene più a mamma o a papà?”…Ma ti rispondo con una frase del ritornello di “Borghesi”: Ci piace attraversare gli altri senza farci male.
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