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"Siamo umani, non siamo algoritmi": intervista ai Little Pieces Of Marmelade

In un bar di Milano nord abbiamo incontrato i Little PIeces Of Marmelade per parlare del loro nuovo album “Mexican Sugar Dance” uscito il 10 ottobre su tutte le piattaforme e sarà seguito da una seconda parte - “404DEI” - in uscita il 10 dicembre.


Con “Mexican Sugar Dance” i Little Pieces of Marmelade tornano a cantare in inglese, lasciandosi guidare da un approccio più istintivo e diretto. Le nuove tracce abbandonano le strutture troppo studiate per lasciar spazio a suoni grezzi e spontanei, nati dall’urgenza di comunicare un’emozione più che di costruire un esercizio di stile.


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Seduti al tavolo con un caffè, abbiamo parlato di musica, di libertà creativa e del loro modo di stare nel presente senza perdere il gusto del rischio.

 


Ciao ragazzi, benvenuti su IndieVision. Sono passati tre anni da “Ologenesi” e il 10 ottobre esce “Mexican Sugar Dance”, il nuovo album che descrivete come il lavoro più vero e più libero. Com'è nata l'idea e quando avete capito che quello che stavate scrivendo era più una necessità che solo musica? 

Nasce dall'esigenza di tornare a suonare dal vivo. Per fare più concerti serviva un nuovo disco e tanto lavoro in studio. Quella era l'esigenza principale. E noi avevamo l'esigenza di scrivere un tipo di musica che non ci lasciasse dubbi. Ci è piaciuto scrivere questo disco, e ci siamo resi conto che era la direzione giusta perché durante la composizione ci venivano i brividi. Quando ti prendono i brividi vuol dire che va bene, poi se non è nel mercato giusto perché è in inglese eccetera eccetera, è un secondo problema, che non ci poniamo.

 

Le sonorità dell'album sono, come le avete definite voi, primordiali e si contrappongono molto con il vostro essere metodici e precisi in studio. Come è stato lasciare da parte tutto l'animo preciso e dare spazio al caos?

In realtà è stato è stato proprio quello l'obiettivo del nostro lavoro, cioè di non ricamare troppo la nostra musica e di catturare la parte più immediata. Ci abbiamo anche provato a ri-registrare delle vecchie bozze ma diciamo che non era la via giusta. Ci siamo accorti subito che in realtà le prime emozioni che abbiamo catturato erano quelle più forti e abbiamo voluto proseguire con questa via che ci sembrava la migliore. Sicuramente non scartiamo l'idea di fare un disco più strutturato in studio, ci piace sempre quell'idea. Però ecco è stata un'esigenza, abbiamo voluto fare tutto questo lavoro in questo modo appositamente. Eravamo in un periodo di ricerca di noi stessi, di ricerche lavorative, volevamo lavorare di più, suonare di più insomma. Ed è uscito un disco molto ordinato, devo dire. Quindi ci è andata bene, devo dire, si è creato un flusso perfetto che ci ha agevolato.


Un caos ordinato.

Un caos ordinato, diciamo, si.

 

E riguardo sempre all'iper prodotto e al levigato, che cosa vi attrae dell'irregolare, del non finito, del sono ruvido, sporco?

Ci attrae il fatto che non sia figlio degli algoritmi. Non c’è quella voglia di dire “c’è questa wave, seguiamola così aumentiamo il feed”. No: è stato più un chiedersi “che cos’è che suona così?” e rendersi conto che era qualcosa di nuovo, qualcosa che si sentiva raramente in giro. Da lì abbiamo capito che era la direzione giusta. Era tutto chiaro, energico, molto d’impatto, e non abbiamo mai pensato che la cosa migliore fosse accostarlo a lavori o mode già esistenti - nemmeno quelle d’oltreoceano, non solo italiane. È un disco nato nella nostra comfort zone. Cosa che, in teoria, un artista non dovrebbe fare se vuole crescere. Però… mica male.

 

Il 10 dicembre uscirà quello che è il secondo capitolo, che è Errore degli Dei (404DEI): sappiamo solo che sarà in italiano. Vi siete chiesti se dividendo il progetto in due lingue state raccontando la stessa cosa da due prospettive opposte di voi stessi?

Noi siamo nati come progetto in inglese quindi è stato facile ritornare a quella parte lì. Se si può fare una distinzione tra ciò che siamo in inglese e in italiano, direi che in inglese ci sentiamo più diretti - sia a livello musicale che melodico, nel modo di cantare e di costruire la melodia. In italiano, invece, tendiamo a concentrarci di più sulla composizione, sul ricamare meglio le parole. Paradossalmente, è proprio l’inglese a farci sentire più nella comfort zone.


Più copertina di Linus. 

Sì, esatto. Ci piace portare avanti questi due mondi. Ci rappresentano entrambi non alla stessa maniera, devo essere sincero. Non sono due facce della stessa medaglia, sono due facce degli stessi autori, di noi stessi.


Il lato in italiano è legato a un disco che abbiamo scritto prima di questo in inglese: ha avuto una genesi lunghissima, con un mare di dubbi dentro. È un disco che abbiamo scritto con la paura addosso: la paura di non essere accettati, di non riuscire a proseguire il percorso che stavamo lasciando. Dopo "Ologenesi" sentivamo che ogni cosa, da lì in poi, dovevamo farla con un’istituzione intorno: un management, un booking, un ufficio stampa, dei produttori.


E per quel disco (404DEI), non ti nego che avevamo scritto un mare di provini e cercavamo produzioni, perché non sentivamo di riuscire a farlo camminare con le nostre gambe, purtroppo. È anche per questo che alla fine l’abbiamo un po’ messo da parte e ci siamo messi a scrivere quello in inglese, proprio come forma di terapia, infatti Family Therapy è un po’ quella cosa lì.


Poi, da tutte quelle ricerche e da quella voglia di evadere dal nostro dubbio, abbiamo trovato la forza di dirci: “Sai cosa? La cosa migliore è manifestarlo così com’è, questo disco in italiano.” C’era paura, c’era imperfezione, c’era anche una certa leggerezza. Rappresentiamoci così. Non sarà pieno di hit, forse non sarà capito, ma rappresentiamoci per quello che siamo.


Perché un musicista, un artista, vive anche di questo. In tante interviste ci dicono “sono due anni che siete scomparsi”: ma uno non scompare, uno si chiude in studio e lavora. Un artista non scompare: anche la domenica, secondo me, è lì. Abbiamo riflettuto tanto su quel disco e deciso di farlo uscire così, puro. E forse si è data precedenza a quello in inglese come uscita, anche se è stato scritto dopo, perché ci faceva stare più col sorriso. E allora meglio presentarsi prima col sorriso, e poi…

 

Avete fatto il giro largo per il disco in italiano.

Il giro largo, esatto.


È come dire, siamo stati anche questo, non si può essere solo zone di luce.

Eh no, anche perché in giro non vediamo troppi esempi di artisti con l'intenzione di allontanarsi da quello che è diventato l'algoritmo, la moda di fare il pezzo perfetto, il fatto di voler stare nei feed di Instagram, il fatto di voler stare in hype. Tutti vogliono quello, non ci prendiamo per il culo, pure noi lo vogliamo, l'abbiamo voluto. Però crediamo che quello che tutti noi facciamo come mestiere non venga più davvero valorizzato, continuando su questa strada. C’è bisogno di ricominciare da qualche parte, e secondo noi la cosa migliore è ripartire da ciò che uno è, senza il filtro di Instagram, senza l’autotune correttivo in studio, senza la batteria messa perfettamente a tempo… perché oggi si ascolta tanto questo, ecco.

Non vogliamo fare i nostalgici: è una forma di nuovo punk, o se vuoi, un nuovo rock’n’roll.


Willy Peyote, che ha detto in un mondo che ti vuole perfetto, fare schifo è la rivoluzione, io abbraccio questa cosa, proprio io personalmente.

Esatto, ma forse il fatto di accettarsi anche che non si può essere sempre belli, non può essere che ti esce sempre “Yesterday”, no? E quindi bisogna riportare chi va ai concerti, chi compra i dischi, chi ama il nostro mondo a capire che siamo umani, non siamo algoritmi che ogni venerdì facciamo uscire il pezzo da hit. L'arte è questo e per noi bisogna dare quel valore all'arte.

 

Quale è stato il processo creativo per l’artwork disegnato da Frankie e diresti che ci sono degli easter eggs dei brani, intesi come degli indizi che rimandano ad un determinato brano?

Quella copertina lì è pensata per la fruibilità. Oggi chi stampa? Poche persone. Se vedi il vinile lo vedi nei merch nei banchetti. La persona X non è che cammina nella sua vita si trova le copertine dei vinili da comprare, no? Te le trovi su dei minuscoli schermi digitalizzate. E allora dico: bisogna bucare anche lì. Come buchi? Con i colori, con il caos messo in un certo modo e con l'incomprensibilità pure, secondo me. Quindi si cercava un po' l'impatto visivo da quel punto di vista lì. La copertina cerca solo di rappresentare quello che è il disco, cioè un'esplosività energica e basta. Nessun easter egg, se non quello di catturare al volo l'interesse.


Capisco, perché la guardavo prima mentre stavo riascoltando l’album e mi dicevo "c'è un asino in alto, perché ci sono tutti questi occhi?"

Se proprio vuoi, c'è una buccia di banana che diventa giraffa. Si è un po' persa questa cosa, perché c'è l'arte, c'è la musica, ci sono mille cose bellissime, come le copertine o gli strumenti. Tipo la chitarra di Lucio Corsi: ragazzi noi stiamo a suonare con le Squire ancora! Si stanno perdendo un sacco di cose fighissime che non stanno su Instagram, non stanno su TikTok, non rientrano nella fruibilità usa e getta. Abbiamo anche provato a farci vestire da stilisti… ma che senso aveva?

Speriamo allora di essere d’ispirazione per altre persone che vogliono raccontarsi attraverso quello che fanno, senza dover credere per forza che devi fare un talent, vendere dischi, stare in classifica o avere i numeri. Perché altrimenti oggi, purtroppo, non inizi nemmeno.

 

Per concludere, nei prossimi mesi, diverse date in giro per l'Italia, cosa non vedete l'ora di fare sul palco e come sperate che sia la risposta del pubblico al nuovo lavoro?

Innanzitutto speriamo che ci sia tanta gente, che sotto il palco ci sia davvero un bel pubblico: quella è la prima cosa che vorrei, che vorremmo. Vorrei anche che le persone iniziassero ad apprezzare un po’ di più questo genere musicale, che secondo me può essere valorizzato solo dal vivo. Non so bene cosa aspettarmi da questi live, sono sincero. È da un po’ che non ripartiamo con un booking, con una macchina che ci segue. Siamo stati un anno più di un anno a girare da soli, quindi ritornare ora in pista così ci carica e siamo curiosi di vedere come va.

 

L'ultimissima per salutarci: se doveste condensare tutto questo disco in un'unica immagine, suono, colore o gesto quale sarebbe? colore e gesto? 

Hai presente la foto di Bello Figo con la Mussolini? Quello, quel gesto lì, quell'immagine lì, quella roba lì. Quello. Quel taglio dei capelli, quella che urla lì, perfetto. Il dissenso, l'estro e il punk. Mi viene questa adesso. Nel senso che vorremmo essere così da grandi.

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