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Il ritorno all'essenza di "Chicco": così Cordio ci ricorda che la musica è un gioco bellissimo - Recensione

Quando ero bambina, ogni strada di paese era un luna park: le strisce pedonali da attraversare senza uscire dai rettangoli bianchi, la pavimentazione dei viali del centro su cui avanzare come in un’enorme scacchiera, i rami più bassi degli alberi a bordo strada da raggiungere con le dita sollevandosi sulle punte dei piedi. Ogni tragitto si trasformava così in un percorso fitto di ostacoli da superare e di piccole sfide in cui avventurarsi, guidati dalla leggerezza dell'infanzia, dall'entusiasmo spensierato di un'eterna estate e dal bruciore sottile di ginocchia sbucciate.


Durante uno dei miei primi ascolti delle canzoni che hanno anticipato l’uscita di "Chicco", qualche mese fa, passeggiavo sulla via di casa – quella che tante volte ha ospitato quei miei giochi d’infanzia, prima che le strade diventassero solo lunghi corsi grigi da attraversare – quando ad un tratto mi sono ritrovata, senza quasi rendermene conto, a camminare sul muretto che separa l’asfalto dalle distese verdi dei prati; esattamente come allora, intenta a calibrare con attenzione ogni passo, allargando le braccia per non rischiare di perdere l’equilibrio. Era come se una qualche memoria muscolare si fosse istintivamente riattivata, sospinta da chissà quale impulso, per recuperare piccoli movimenti e consuetudini che sembravano dimenticati, rimossi o semplicemente riposti in un cesto insieme ai giocattoli e alle scarpe ormai troppo piccole.


Cordio

È questa, se ci penso, l’immagine che per me meglio descrive l’ultimo album del cantautore catanese Cordio, pubblicato il 12 settembre con distribuzione ADA Music: quella di un ritorno alla purezza dell'infanzia e al fare esperienza del mondo con uno sguardo reso fresco e radioso dal filtro della fantasia; al riconnettersi con il bambino interiore che forse abbiamo trascurato ma che probabilmente continua a rappresentare la versione di noi più sincera e vera nel profondo. A suggerirlo è, in effetti, già il titolo del disco: "Chicco" è un soprannome d’infanzia nato tra le mura di casa e poi rimasto indelebile, come quei segni a matita mai cancellati che dallo stipite della porta ti osservano crescere un centimetro alla volta, testimoni silenziosi degli anni che passano; un soprannome poi diventato troppo stretto e quindi indossato con vergogna, rinnegato nel tentativo di affermare un’identità cresciuta, cambiata, diventata altro. Così, come in quel mio goffo ritrovarmi a mantenere l’equilibrio – destro, sinistro, destro… – seguendo le impronte della bambina che ero, anche in questo album si cerca di fare pace con la tenerezza e l’imbarazzo del diventare grandi, riscoprendo la gioia spensierata e leggera di un tempo in cui ancora ci concedevamo di correre e farci male, colorare fuori dai bordi, riempirci di lividi le gambe scoperte, farci trasportare dal gioco e dalla fantasia.


Eppure, le tracce dell’album – il terzo pubblicato da Cordio, dopo "Ritratti post diploma" (2020) e "Cose che si dicono" (2022) – non parlano di passato. Tutt’altro: i testi di "Chicco" sono fortemente intrisi del presente del loro autore, delle relazioni adulte, delle consapevolezze e (soprattutto) delle vulnerabilità di chi si avvicina ai trent’anni. Nel presentare il disco e la scelta del titolo, il musicista siciliano ha affermato che "l’unico modo per esorcizzare la vergogna è metterla in mostra con autoironia"; e infatti, l'atteggiamento che emerge dai brani non è quello di chi esibisce i muscoli e si fa vedere invincibile – nelle situazioni quotidiane, nell'auto-rappresentazione sui social, nella relazione con l'altro –, ma piuttosto quello di chi abbraccia la propria fragilità e la rivela con delicatezza e senza prendersi troppo sul serio. Così, "Gelsomini" racconta la nostalgia di un’assenza e la fatica nel farci i conti ("Tu telefonami anche se è tardi / ti prego chiama, non stare a pensarci / come faccio io"), "Cucciolone" la goffaggine ostinata di chi è disposto a tutto pur di farsi concedere un’altra opportunità ("Mi puoi accarezzare / mi puoi abbandonare / mi puoi fare male / torno sempre da te"), "Latte e biscotti" la voglia di abbandonarsi ad un amore senza impegno e il negare a se stessi di non esserne in grado ("Lo sai che non è niente di serio / lo so che non è niente di serio / tu credimi anche se non ci credo").


L'infanzia è presente, certo, ma è evocata come ricordo morbido e nostalgico, più che rappresentare l'argomento principale della narrazione: la si ritrova nel racconto sinestetico di "Maggio", dove la suggestione di momenti (e immagini, e sensazioni) passati si disperde nel vortice impalpabile del sogno; o in "Agata", commovente lettera a cuore aperto dove la flebile intimità di un chitarra e voce rivela tutta la consistenza di un rapporto fatto di piccole quotidianità condivise e sentimenti ineffabili. Sembra, insomma, che – come in una gremita scena teatrale – una luce a intermittenza intervenga a rischiarare ora questo, ora quel particolare del passato per attestarne il ruolo esercitato nella costruzione dell'identità di chi canta; come se tutti i frammenti di quotidiano rimasti impressi nella memoria ("Il pallone in salotto, le lotte nel letto [...]") avessero contribuito, alla stregua dei mattoncini colorati che risaltano sulle copertine dei singoli, a edificare la personalità e il presente di chi li ha vissuti.


"Agata, ma tu ci pensi mai? Quelle mattine in viaggio con papà; Mi manca quella noia, quella piccola allegria Quando casa tua era casa mia. E invece adesso ognuno è sulle sue, Sarà che siamo stanchi tutti e due; Ma tu chiamami ogni tanto, Quando hai nostalgia di me: Lo sai, che sono sempre Chicco" (da "Agata")

Se il recupero di una dimensione fanciullesca è solo in parte espresso a livello di contenuto, lo si ritrova invece forte nell’approccio stesso al fare musica: la percezione che si ricava dall’ascolto dei singoli brani e, ancor di più, dell’album nel suo complesso, è che la scrittura e la produzione siano state guidate da un proposito di divertimento, inteso anche nel suo significato etimologico di "volgere altrove". Già in "Cose che si dicono" – che ha sancito l’inizio della collaborazione con Lorenzo Vizzini, anche qui nella duplice veste di co-autore e produttore – era evidente l’intento di allontanarsi dalle sonorità più alla moda per perseguire un’identità musicale variegata e personale, che trovasse la sua forza nella complessità del tessuto timbrico e nella ricchezza degli elementi; che indirizzasse lo sguardo in un’altra direzione, appunto. In questo nuovo lavoro, Pierfrancesco e Lorenzo hanno perseguito la stessa visione, pur percorrendo una via alternativa: le otto tracce di "Chicco", scritte nello stesso periodo del precedente album, si differenziano però profondamente per la veste sonora che le caratterizza, più orientata verso l’essenza e la semplicità. Se nello scorso disco l’impianto sonoro era dominato dalla fastosità dei fiati e dalla stratificazione timbrica degli strumenti, qui gli arrangiamenti sono molto più modesti e casalinghi, messi in risalto da un trio d’archi che ne sottolinea l’aspetto più intimo ed emotivo.



Ciò a cui si assiste, quindi, è un tentativo di tornare ad un’essenza più autentica e fanciullesca, nella musica come nelle parole: anche quello sui testi è un lavoro di sottrazione, come a voler togliere ogni artificio o manierismo per riscoprire la forma più pura e immediata con cui esprimere ogni concetto. Senza vanificare la suggestione e la forza poetica dei versi e delle immagini, ma piuttosto ricercandole nel ritorno a una lingua e ad una forma espressiva immediate, genuine, dotate della stessa purezza che solo i disegni dei bambini – guidati dalla spontaneità del gesto e del pensiero, e non da convenzioni ed influenze esterne – sanno avere. Quello che si coglie, insomma, è l'intenzione di divertirsi giocando con i suoni, con le parole, con le produzioni; e recuperare, così, la dimensione ludica della musica e la volontà di scrivere canzoni senza prendersi troppo sul serio (del resto, in molte lingue europee, per indicare le azioni del "suonare" e del "giocare" si utilizza un verbo unico). Per quanto votati alla semplicità e alla spontaneità, i brani non risultano però né piatti né prevedibili: la genuinità ricercata della scrittura trova un contraltare perfetto nello slancio offerto da produzioni brillanti e capaci di trasportare le canzoni dalla stanza in cui sono nate fino ad una dimensione diversa, sospesa tra il presente e il passato e che a volte travalica nel terreno del sogno ("Maggio") e della fantasia ("Ritratto di lei"). In ogni episodio dell'album – persino nei più essenziali, come il voce e chitarra della closing-track – il suono appare corposo e consistente, quasi tridimensionale, e tradisce un gusto profondo per certe produzioni del passato (mentre scrivo, penso alla vivacità del suono di Lucio Battisti nel disco-capolavoro "Una donna per amico"), la cui lezione appare ben assimilata da Vizzini.


In effetti, la scrittura di Cordio nel suo complesso – negli aspetti sonori, quanto in quelli testuali – moltissimo deve al mondo del cantautorato in genere e ai grandi maestri del passato: se la delicatezza lieve e nostalgica che delinea la vocalità e il carattere musicale del nostro ricorda le frequenze sottili e lievi di Fabio Concato, le immagini surreali e visionarie che affollano le strofe di "Ritratto di lei" sono un omaggio voluto all'Enzo Carella di "Amara" e "Barbara". Se il Fabrizio De André di "Giugno ‘73" è esplicitamente citato in "Profumo" ("Ma sai che c'è / chi se ne frega se / ti perderò per colpa di nessuno / come diceva qualcun altro prima di me / meglio lasciarsi che non aver mai conosciuto qualcuno"), la volontà di raccontare l'amore partendo dai dettagli più quotidiani e banali è memore di quel (già citato) Battisti che, quasi cinquant’anni fa, descriveva lo svolgersi di un sentimento tra le corsie dei surgelati dentro ad un supermercato. Fino ad arrivare a quel volo verso l’alto che nel 1958 rendeva celebre Domenico Modugno (e le sue braccia spalancate come fossero ali) e che è immediatamente riportato alla memoria dal viaggio onirico fin dentro il blu evocato in "Maggio".


Del resto, il profondo legame di Cordio con la grande tradizione dei cantautori non è rimasto inosservato: lo dimostra il riconoscimento con cui il 4 marzo di quest'anno Fondazione Lucio Dalla ha voluto conferirgli la vittoria di CIAO Contest - La musica di domani, concorso per giovani progetti organizzato in onore dell'artista bolognese e volto a premiare le nuove realtà musicali più originali e interessanti. Non solo: la visione artistica e la personalità autorale del progetto hanno portato il cantautore catanese ad aggiudicarsi anche, pochi mesi fa, la vittoria del Contest 1MNEXT e la possibilità di esibirsi sul prestigioso palco del Concertone del Primo Maggio di Roma, portando la sua musica davanti agli oltre 100.000 spettatori di Piazza San Giovanni.


chicco cover

Pur muovendosi nel solco dei grandi, però, la scrittura di Cordio rivela un carattere distintivo che la rende originale e personale. A partire dalla spezia di malinconia e profondità che caratterizza il cantautore sin dalle prime produzioni: pur prediligendo tinte chiare e leggere, anche questo album è pervaso da una nostalgia gentile e calda, che si rivela tanto nei frequenti ricordi d’infanzia, quanto nei riferimenti fittissimi alla terra d’origine (la Sicilia) che trovano spazio tra le tracce. Ancor di più, ciò che meglio qualifica le canzoni del musicista catanese è il loro dare voce ai sentimenti intermedi e alle emozioni quotidiane: come già accadeva in "Cose che si dicono" – i due album appaiono a tutti gli effetti imprescindibili l’uno dall’altro –, la scrittura del cantautore classe ’95 è fatta di cose piccole e di momenti apparentemente trascurabili, che vengono cristallizzati con precisione nei testi di ogni brano: ogni grande tema – l'amore, ma non solo – viene svolto nelle sue pieghe nascoste, meno esibite, più umane. Così, piuttosto che concentrarsi sulle passioni dalle tinte forti, Cordio sottilmente descrive la sensazione dolceamara di chi ha lasciato la propria terra ma vorrebbe ritornare ("Le barche"), il momento rivelatorio in cui un sentimento silenziosamente prende forza ("Latte e biscotti") e quello in cui il rimpianto di una fine lascia spazio alla serena consapevolezza di ciò che è stato ("Profumo"), il dolce imbarazzo di chi ricerca con sforzo le parole per esprimere ciò che è abituato a tenere per sé ("Agata").


Registrato in camera da letto, il lavoro che ne deriva riflette quindi in tutto e per tutto l’intimità, la delicatezza e la semplice quotidianità del luogo in cui ha preso forma. Si spiega così anche l'essenziale poeticità della copertina, dove non sono esibiti né il titolo né il nome dell'artista ma solo quattro tazzine preparate e sistemate per la colazione, a suggerire la dimensione domestica e familiare di una domenica mattina qualsiasi, con i raggi del sole che filtrano dalle persiane mentre il profumo del caffè pervade la stanza. Ecco che, così come per i singoli che ne hanno anticipato l'uscita, "Chicco" mantiene una forte coesione e coerenza, negli aspetti musicali come nella sua dimensione visiva: tutto ciò che concorre a costruire il progetto è pensato e realizzato con cura per i particolari e attenzione per il potenziale narrativo di ogni elemento.


"La delicatezza in questo disco è una scelta politica: di fronte alla prevaricazione e alla forza come strumento di potere, penso che mostrare la vulnerabilità sia l’unico modo per costruire una società più empatica e meno violenta." (dal Comunicato Stampa)

Ma il ritorno all'essenza che caratterizza "Chicco" coincide – oltre che con un recupero della dimensione giocosa e con uno sguardo rivolto alla tradizione – anche con una sorta di ritorno alle origini: dopo la collaborazione pluriennale con Mescal, che aveva portato Cordio ad esibirsi in apertura ai concerti di Ermal Meta (tra gli altri), a produrre due album e a partecipare a Sanremo Giovani (era il 2018 e il brano in gara era "La nostra vita"), il cantautore siciliano ha poi intrapreso un percorso artistico totalmente indipendente. Il risultato è, in conclusione, un album totalmente auto-prodotto e profondamente personale e sincero; figlio, in tutto e per tutto, di un progetto che ha saputo crescere e costruire radici robuste, senza sgomitare e senza la smania di chi vuole solo arrivare in cima, ma che continuamente si muove alla ricerca di una coerenza e sincerità – nel suono, nelle parole, nel percorso – che riflettano con trasparenza una visione artistica solilda e limpida.



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