“Siamo nati rubando un nome e siamo rinati conquistandocelo e dandogli un senso che fosse nostro, di cui siamo sorprendentemente orgogliosi. Una volta deciso questo, abbiamo scritto dieci canzoni.”
Ad una settimana dall’uscita dell’ultimo singolo “Non sono capace”, il trio bresciano ha pubblicato un manifesto nel quale ha spiegato il motivo del passaggio da “Gli Endrigo” a “Le Endrigo”, e, successivamente, ha annunciato l’imminente pubblicazione del nuovo album omonimo.
Dopo “Ossa rotte, Occhi rossi” (2017), “Giovani Leoni” (2018) e una valanga di palchi in tutto il bel paese, è quindi il turno di “Le Endrigo”, attesissimo nuovo disco targato Garrincha Dischi e Manita Dischi del terzetto composto dai fratelli Gabriele (voce, chitarra) e Matteo Tura (voce, basso, piano “e tutto quello che serve”) e Ludovico Gandellini (batteria).
Mi appresto ad ascoltare la prima volta il tutto con una curiosità non indifferente, nonostante 5 pezzi su 10 siano già usciti come singoli. Noto immediatamente, e questa impressione si confermerà per tutto il disco, che a fianco dei suoni che differiscono dalle chitarre graffianti degli album passati, troviamo la solita attitudine incendiaria in una dimensione più intima e sincera.
“D'altronde noi siamo sempre stati un po’ rompicoglioni: se ci dicono che dobbiamo salvare le chitarre elettriche, immediatamente ci viene voglia di pianoforte. Ma alla fine torniamo sempre a fare rumore. A modo nostro.”
Basta premere play per capire cosa intendono: in “Non Sono Capace”, che è forse la canzone che dimostra meglio il cambiamento dei tre bresciani, un pianoforte e gli archi spingono in cielo la voce per urlare un testo fantastico:
“Sono un tossico qualunque, voglio la mamma e il mio papà”
Dopo “Cose più grandi di te”, uno dei pezzi che ho preferito, spazio a tre brani già usciti: “Anni verdi”, uno sguardo ai tempi passati, “Stare Soli”, un inno alla debolezza in amore e non solo e “Smettere di fumare”, una fantastica cavalcata (uscita nell'ottavo mixtape di Garrincha) con la chitarra più bella di queste dieci tracce.
Siamo al giro di boa, “Un lunghissimo errore”, con il suo ritmo forsennato e la sua durata di 40 secondi, potrà lasciare perplessi molti ascoltatori, ma non è il mio caso, anzi, ho apprezzato parecchio. È ora il momento di "Infernino", uno dei tanti gioielli del disco: chitarra e voce di Gabriele unite dallo splendido violino di Nicola Manzan (Bologna Violenta) in uno di quei lenti di cui non ti stancheresti mai. Neanche il tempo di riprendere fiato e “Standard rock per chi ci ascoltava prima ed ora è deluso” ti arriva in faccia un po’ come il meme di Ralph dei Simpson che sfonda la finestra, hai presente? Devo ammettere che quando ho visto la tracklist di “Le Endrigo” e ho letto questo titolo ho temuto molto: mi è capitato davvero troppe volte di rimanere deluso dopo le nuove uscite di una mia band del cuore, nel mio caso, tuttavia, non si è mai trattato di generi musicali o dell’arcinota “mancanza di chitarre”, bensì di una carenza effettiva di anima, di sincerità nei pezzi che, invece, non sembra affatto mancare in questo lavoro, anzi.
Siamo quasi arrivati in fondo, ma le sorprese non sono ancora finite: “Il cazzo enorme di chi suona” musicalmente è una di quelle canzoni che ti confondono, che devi ascoltare qualche volta prima di capire fino in fondo, e così è stato; il testo invece è chiaro fin da subito e va a colpire potentissimo (volendo va anche ad incrociarsi con i temi di “Cose più grandi di te”, e in generale del nuovo manifesto del terzetto bresciano, di cui abbiamo già parlato in precedenza). “Korale” è la degna conclusione di questo lavoro, anche in questo caso nessuno più di loro può raccontare meglio l'immensità di questa canzone:
“Le Endrigo” evidenzia la maturazione dei tre sotto ogni punto di vista: dieci brani sanguinosi ma allo stesso tempo intimi, con meno chitarre ma allo stesso tempo più rumorosi, scanzonati ma allo stesso tempo con una carica emotiva gigantesca, insomma, l'essenza di quello che è un loro concerto.
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