Il 15 ottobre 2021, La Gabbia ha suonato sul palco del Teatro Comunale Luca Ronconi di Gubbio. Il concerto, con il duo Eterocromie in apertura, è stato organizzato dall’Informagiovani del Comune di Gubbio e dall’associazione culturale Arche’.
Non ero del tutto convinta che un luogo apparentemente delicato come un teatro avrebbe potuto contenere l’energia spacca-tutto di questa band, ma ho dovuto felicemente ricredermi. Perché è vero, le sonorità de La Gabbia sono prevalentemente rock e noise, fatte di voce graffiante e riff energetici, ma riflettono puramente anche ciò che loro sono: un insieme equilibrato di contrasti. Contrasti che nascono in primo luogo dal carattere del gruppo, che sa unire chitarre elettriche a testi cantautorali di alto livello, rigorosamente in italiano (un connubio sempre più raro). Contrasti che troviamo nel loro primo album, “Madre Nostra” (You Can’t Records), uscito nel 2019 e bloccato dalla pandemia, che ora si sta riprendendo gradualmente i palchi che meritava attraverso il “Remake” Tour e che vuole cantare “la natura umana in tutta la sua complessità”. Ecco, questo è il loro spirito fatto di sani opposti, questa è la loro musica, e questo è anche il loro live, che ha saputo alternare sapientemente ballad intense a pezzi da headbanging, per cui i presenti (me compresa) hanno fatto fatica a rimanere seduti. Il tutto incorniciato da una scenografia un po’ bohémienne, quella del teatro, che smentendo i miei dubbi iniziali si è rivelata perfetta.
Dopo il live, abbiamo fatto una bella chiacchierata con Michele Menichetti, il frontman della band, che ci ha anche svelato qualcosa sui loro prossimi progetti…
Un anno e mezzo costellato da concerti rimandati o del tutto cancellati. Com’è stato tornare sul palco, e quanto è importante per voi la dimensione del live?
Quando pensammo per la prima volta al significato del nome della nostra band "La Gabbia", la connessione con l’immagine di una comunicazione negata e di un contatto negato fu una delle prime ad apparire nella mente. Per noi l’atto comunicativo (anche fisico) è qualcosa di sacro, di insostituibile: il live è il fulcro indiscusso di questo progetto e vive uno stato di continua evoluzione (perché ci evolviamo noi per primi, continuamente). Abbiamo ricominciato a suonare a giugno 2021 dopo un anno di stop forzato che ha quasi cancellato tutto il lavoro e gli investimenti fatti fino a quel momento. Bisogna ammettere che non è stato facile tenerci stretti in un momento così assurdo, ma ci siamo fatti forza affrontando la separazione. L’anno che abbiamo passato ha colpito tutti in profondità e ha rivelato in qualche modo l’insufficienza della connessione effimera che ci è permessa dalla rete. Tornare sul palco insieme ci ha ricordato che quello che facciamo è in qualche modo importante e incredibilmente liberatorio. Non solo per noi.
Gubbio è la tua città natale. Com’è per te esibirti qui? Noti qualche differenza rispetto agli altri palchi dove hai suonato in questi anni?
Hai colpito nel centro. Gubbio è il mio orgoglio ma anche la mia croce. Chiariamoci, eh… Una croce che porto con gioia. Per me è una sfida continua da ingaggiare sempre, senza sosta, perché la tua comunità è sempre il tuo primo metro di giudizio, il più importante vaglio da passare. A volte ci vuole anche una vita e nemmeno ci riesci (o pensi di non esserci riuscito). Amo la mia città e le persone che si sforzano per renderla così dinamica e speciale ma ogni volta per me suonare qui è la più grande prova di coraggio, perché porta inevitabilmente con sé un diluvio di insicurezze alle quali non sono generalmente abituato quando suono altrove. Soprattutto negli ultimi tre anni (e grazie a questo progetto) ho maturato un bel rapporto con il palco, con l’esprimere le mie emozioni davanti agli altri in maniera sempre più efficace. Girando l’Italia, per quel poco che ho potuto (maledetto 2020), ho constatato che niente è come suonare nella tua città, nel tuo teatro. Immagina… Hai davanti a te tutte le persone che fanno parte della tua vita da sempre, molte di quelle che ne hanno fatto parte rimanendo però presenze costanti anche se ai margini (perché l’amore degli amici anche se le strade si dividono, rimane) e poi c’è quella schiera di volti giovani, nuovi (ma che sembrano già visti) che sono là a decidere se puoi rappresentare qualcosa per loro oppure no. Queste persone sanno già tutto di te ma vogliono comunque che lo spieghi un’altra volta. C’è fame di emozione e di conoscenza nell’andare a sentire un concerto. E che bello che è!
Facciamo un passo indietro: La Gabbia nasce nel 2016, a Bologna. Il videoclip di “Lasciami, respiro”, che ha segnato il vostro ingresso nella scena musicale, ha da poco compiuto quattro anni. Come si è evoluta la band da allora?
Per questa domanda avrei bisogno dello spazio di un libro ma cercherò di farla breve. La formazione ha subito dei cambi importanti nel corso del tempo perché, come sappiamo, la musica è vita ma la vita è fatta di tantissime cose e sta stretta in un solo contenitore. Arriva il momento di salutarsi quando le priorità e i bisogni cambiano e a volte fa anche male. Un po’ come quando finiscono le storie d’amore. Però la nostra band, il nostro progetto artistico, almeno a mio avviso, ha reagito bene alle scosse e ha conservato la stratificazione di ogni evoluzione con cura. In linguistica esiste un concetto che mi piace molto: il “sostrato”.
Per me i linguaggi di ogni membro della band (passata e presente) rimangono sottoterra, scalfiti nella roccia, e fanno da base per l’amalgama di tutto quello che verrà.
Per quanto riguarda l’evoluzione artistica non saprei… Mi ci sento troppo immerso ad ora per avere uno sguardo lucido e oggettivo sul percorso. Stiamo lavorando al secondo disco, su nuove sonorità e con un nuovo chitarrista e questo la dice lunga sull’entità del cambiamento. Una cosa la so per certo: questi anni di palchi e autoproduzione (sotto ogni punto di vista immaginabile) ci hanno reso una band consapevole di quello che vuole fare.
P.s. "Lasciami, respiro” è invecchiata benissimo e la amiamo ancora come il primo giorno.
Parliamo del vostro processo creativo: raccontami come nascono le vostre canzoni.
Questa è una cosa importante. Noi lo facciamo alla vecchia: nella saletta, tutti insieme, suonando. Anche per questo il 2020 è stato pesante. Non poterci riunire in un’unica stanza è stata la prova più tangibile di una normalità ormai svanita.
Allo stesso tempo però le cose possono prendere moltissime direzioni e partire da svariati input; quindi, il modo di lavorare lo abbiamo trovato lo stesso. Spesso io arrivo in sala prove con un’idea di canzone piano e voce che viene poi arrangiata e ampliata in saletta coralmente (un esempio è “Memorie di una prostituta”). Altrettante volte si parte da un riff di chitarra molto convincente e ci si costruisce intorno il pezzo (vedi “Violenza”). Magari provo ad inserirci una linea melodica e, appurato che l’incastro funziona, ci sviluppo sopra un testo (della parte testuale me ne occupo quasi esclusivamente io, sottoponendo però ovviamente le mie parole al giudizio degli altri). La terza modalità, che ci piace molto e da cui ha preso forma, ad esempio “La luna e i falò”, è quella dell’improvvisazione in sala come punto di partenza. Quando quel pomeriggio del 2016 sono entrato in sala i ragazzi stavano già suonando e un bellissimo brano strumentale stava prendendo spontaneamente forma. Io stavo leggendo Cesare Pavese e iniziai a selezionare delle frasi che mi erano rimaste impresse improvvisando una sorta di linea melodica sopra la musica. In quelle due ore nacque l’embrione del brano, anche se poi il suo sviluppo ci tolse il sonno per quasi tre anni e questa è ancora un’altra storia…
“Madre Nostra”, uscito il 29 novembre 2019, voleva rappresentare la natura umana, tutta, con le sue complessità e contraddizioni, anche spaventose. Nel disco non mancano infatti i temi sociali. Insomma, non avete paura di trattare anche le questioni più scomode…
Non ci siamo mai imposti di farlo ma sinceramente ci angoscia chi riesce a non farlo. Il “sociale”, in quanto animali sociali, è parte integrante del nostro essere. Viviamo nella relazione. C’è sempre questa discussione, assai spiacevole, in cui si dice che gli artisti non dovrebbero fare politica, che devono parlare solo di sentimenti (che poi cosa vuol dire?). Sarebbe ora di fare chiarezza su cosa significa “fare politica”. L’uomo è immerso nella politica ogni giorno della sua vita, affronta problemi sociali costantemente quasi al punto da esserne assuefatto e da non notarli più, è vittima e carnefice a giorni alterni in un gioco di ruolo spaventoso che non è altro che l’esistenza umana. La nostra musica cerca di farsi megafono di tutte le luci e le ombre che percepiamo. Tutti abbiamo degli argomenti “scomodi”, semplicemente non ci piace parlarne e soprattutto sentirne parlare. Ecco, gli artisti dovrebbero cercare di farlo, dovrebbero parlare, dovrebbero parlarne: mai a tavolino, mai in maniera programmata, ma sempre quando le cose sgorgano fuori dal petto. E se questa cosa non vi succede mai… Be’, spiegateci dove vivete che veniamo anche noi.
Quali sono i vostri progetti per il futuro? Potete svelarci qualche segreto?
Vogliamo particolarmente bene ad IndieVision quindi faremo un piccolo strappo alla regola.
Il futuro imminente (quindi fine 2021/inizio 2022) lo passeremo a cercare di suonare il più possibile in giro. “Madre Nostra” è un disco a cui siamo molto affezionati e che meritava di essere suonato molto di più (come tanti altri sfortunati dischi usciti alla vigilia di questa pandemia o proprio nel 2020). Alcune date le trovate già fuori pubblicate sui nostri social e altre ne arriveranno presto.
Nel mentre però ovviamente siamo al lavoro sul nuovo materiale. Abbiamo sempre più canzoni nuove e sta prendendo forma un progetto che sembra possa avere come filo conduttore il tema del “tempo”. Stiamo pensando ad un concept album che forse da grande diventerà un vinile… Chi lo sa? Vediamo se la scrittura continua a seguire questa direzione!
Grazie per le belle domande Maria e grazie IndieVision per l’opportunità. Ci si vede al prossimo live!
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