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La maturità dei vent'anni - Intervista a Filippo Cattaneo Ponzoni

Filippo Cattaneo Ponzoni ha vent’anni e suona da quando ne ha undici: una costanza e un talento che l’hanno ripagato nella vita, permettendogli di suonare già su palchi importantissimi e, soprattutto, di vivere della sua passione.

Qualcuno forse già lo conosceva come chitarrista di Ghemon, ma a inizio luglio Filippo ha pubblicato anche il suo secondo singolo, "La tua alternativa", tratto dall'omonimo EP: un lavoro da cui si evince chiaramente l’influenza della vasta cultura musicale e la maturità artistica (e personale) di Filippo.

Noi di Indievision siamo andati a sentirlo live proprio nella sua città natale, Bergamo, e abbiamo colto l’occasione per fargli qualche domanda riguardo il suo progetto.

Ciao Filippo! Nonostante tu sia molto giovane sei un’eccellenza della chitarra, come hai dimostrato anche live. Ma quando hai iniziato a scrivere i tuoi pezzi, testo compreso? Da cos’è nata l’esigenza di farlo?

Ciao Anna e ciao agli amici di Indievision! Ho iniziato a scrivere canzoni un anno fa, è difficile da spiegare, è un processo che è avvenuto in maniera molto naturale. Avevo passato un periodo intenso in studio con Ghemon e sicuramente questa cosa, insieme ai miei live, ha stimolato l’esigenza di scrivere e di comunicare le mie emozioni, oltre che con la musica, anche con le parole.

Potremmo dire, correggimi se sbaglio, che uno dei tuoi simboli sia la mano di Fatima, che indossi anche durante i live. Cosa rappresenta per te?

Complimenti per la tua perspicacia, sei la prima che me lo chiede.

Questa collana ha diversi significati, quello che ho fatto mio è il simbolo di libertà. Mi era stata regalata qualche anno fa e da quel momento è il mio portafortuna che mi accompagna anche sui palchi dove mi sento libero, senza filtri e senza barriere.

Oltre a portare avanti il tuo progetto personale, suoni anche con Ghemon: ci racconti com’è iniziata la vostra collaborazione?

La mia collaborazione con Ghemon è nata quasi 3 anni fa grazie ad una serie di coincidenze davvero incredibili in cui ha giocato un ruolo importante anche la fortuna. Avevo postato su Instagram un video dove improvvisavo su una canzone di Isaiah Sharkey (chitarrista di D’Angelo e di John Mayer). Qualche giorno dopo lui l’ha ripostato sul suo profilo e Fid Mella, produttore austriaco amico di Ghemon, lo ha visto e glielo ha mandato dicendo che c’era un chitarrista che poteva fare al caso suo. Ghemon mi ha poi contattato su Instagram, ho fatto un provino e sono stato preso.

Qual è la cosa più importante che hai imparato durante questo percorso?

In questi anni intensi sono tante le esperienze che ho maturato. La cosa più importante, che per me è come un mantra, è di non sentirsi mai arrivato. Credo sia la cosa più difficile, ma lavorare continuamente con umiltà, a testa bassa e con la voglia di migliorarsi ritengo sia determinante.

Le canzoni che hai inserito nell’EP sono un buon mix di vari generi, pop, soul e rock. Se dovessi elencare i tre musicisti o le tre band che più hanno influenzato il tuo lavoro, quali sarebbero?

Nella musica, come nella vita, bisogna cercare di assorbire senza preclusioni di stili e confini di generi, quindi ascolto di tutto.

I tre nomi che mi hanno influenzato in questo mio primo lavoro sono: John Mayer, Lucio Battisti e Michael Kiwanuka.


Ne “La tua alternativa” la tematica centrale è quella dell’isolamento interiore, visto in senso positivo, come mezzo per distaccarsi dalla realtà quotidiana e vederla con più oggettività, anche apprezzando quello che ha da offrirci in mezzo alle difficoltà. Parlando di difficoltà e isolamento, vorrei chiederti come hai vissuto il periodo di quarantena, quali fatiche hai incontrato e quali occasioni hai colto durante quei mesi.

Non è stato un periodo semplice, soprattutto per la città in cui vivo che è Bergamo. Nelle prime settimane a casa ho dovuto riorganizzare la mia routine per provare a riordinare i pensieri.

Dalle difficoltà nascono sempre delle opportunità e bisogna cercare di cogliere, anche se all’apparenza non sembra possibile, il lato positivo. Il lockdown mi ha consentito di guardare molti film, leggere e riflettere. Musicalmente, a livello di scrittura, non è stato un periodo produttivo, sembra strano ma è così. L’isolamento, nel mio caso, non mi ha spinto a scrivere. Allo stesso tempo avevo un EP quasi pronto, che mi rappresentava in questo momento, che ho deciso di ultimare e di cominciare a pubblicare nonostante l’impossibilità di suonare dal vivo. Per terminarlo ho lavorato a distanza con le persone che mi hanno aiutato a produrre il disco: Marco Ravelli e Fabio Brignone.

Ascoltando quello che canti faccio fatica a pensare che tu abbia solo vent’anni, sembri molto più maturo della tua età. A cos’è dovuta questa maturità? Senti mai questa differenza con i tuoi coetanei?

Siamo il risultato delle nostre esperienze di vita, probabilmente aver cominciato a girare tutta l’Italia non ancora maggiorenne confrontandomi con persone più grandi di me ha forse accelerato il mio processo di maturazione. Allo stesso tempo sono comunque consapevole di essere un ragazzo di vent’anni che si interfaccia con i propri coetanei e con le persone più adulte.

Durante il live ti abbiamo sentito suonare, oltre alle canzoni che compongono il tuo EP, anche varie cover: qual è quella che preferisci suonare, che senti più vicina a te?

Tra le canzoni non mie che propongo all’interno del mio live, cercando di dare loro una mia impronta personale, quella che sento più vicina a me è “Gli Uomini Celesti” di Lucio Battisti, tratta da uno dei miei album preferiti: Anima Latina.



Fra i live con Ghemon e quelli del tuo progetto personale, la tua vita si snoda attraverso i tour (situazione Covid-19 a parte): come vivi la “vita da tour”? Quale parte preferisci e quale invece ti pesa?

La “vita da tour” regala molte emozioni, il viaggio in furgone (a volte molto lungo perché attraversiamo l’Italia e quindi percorriamo molti km) è una delle cose che preferisco, può sembrare strano ma permette di respirare l’anima dei luoghi con cui entriamo in contatto. Stancante ma bello. La parte che mi pesa di più sono i “day-off”: arrivi in un luogo e devi aspettare il giorno dopo per suonare, quindi aspetti guardando fuori dalla finestra della tua camera di albergo. Certo è vero che questo ti permette di visitare le città in cui ti trovi, ma allo stesso tempo devi trattenere le energie che vorresti subito liberare suonando sul palco.

Hai qualche aneddoto da tour divertente da raccontarci?

Non ho aneddoti divertenti divulgabili… ;) E’ risaputo che quello che accade in tour deve restare in tour ahah.

Un artista italiano con cui ti piacerebbe collaborare?

Brunori Sas.

Da buon conoscitore di musica quale sei, consigliaci un disco a tua scelta!

Hypersonic Missiles di Sam Fender.



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