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"DAZED" di Kety Fusco: intervista alla regina dell'arpa elettronica


Una cosa buona l’indie (quello che ora chiamiamo itpop, dico) l’ha fatta, ed è stata proporre un’alternativa alla musica decisa dalle major, che fosse accessibile a tutti, e non di nicchia, per pochi eletti.

È stato un bel passo avanti, anche perché questo piccolo cambiamento culturale ha permesso a tanti di ampliare la propria cultura e conoscenza in merito, ha reso più semplice e accattivante la scoperta di nuovi artisti e soprattutto ha abituato alla ricerca e all’ascolto di suoni diversi da quelli a cui eravamo stati abituati, ad artisti che fanno musica totalmente diversa da quella che eravamo soliti ascoltare.

Succede anche, per esempio, di sentire un po’ per caso l’esibizione di un’arpista con un progetto elettronico, e scoprire che, nonostante l’apparente distanza dal tuo mondo, ti piace.

Kety Fusco, classe ’92, pisana ma svizzera di adozione, con l’indie in realtà ha ben poco a che fare: da un anno ormai gira per l’Europa, in un tour che ha toccato varie città e Paesi, con la sua arpa elettronica, ed è tanto brava che l’hanno definita “la regina dell’arpa elettronica”.

Quello di Kety è un progetto coraggioso e autentico, che racconta il percorso di vita dell’artista e l’evoluzione del suo personale rapporto con la musica e con la sua arpa.

DAZED”, il suo disco uscito lo scorso venerdì 8 maggio per Sugar, è una confessione fatta di note e melodie, in cui Kety ci racconta di sé e della sua visione del mondo.

Noi di Indievision abbiamo voluto farle qualche domanda per conoscerla e capire qualcosa in più sul suo mondo tanto affascinante quanto criptico.

Ciao Kety! Partiamo dall’inizio. Cosa ti ha portato, da bambina, a scegliere proprio l’arpa? Cosa ti ha affascinato di questo strumento?

Ciao! Io da piccola ero molto iperattiva e dopo aver rotto per sbaglio la clavicola ad una mia amica e i denti ad un'altra (avevo 6 anni), è stato consigliato ai miei genitori di farmi fare attività artistica per sfogare la mia iperattività. Un giorno eravamo in vacanza a Coreglia Anterminelli (in provincia di Lucca) e nella piazza del paese c'era un concerto di Arpa e Voce. Io sentii soltanto la potenza e l'immensità dell'arpa. È stato un colpo di fulmine. Da piccola mi affascinava molto avere fra le mani uno strumento che pesava 4 volte me.


Com’è stato il passaggio da musicista classica, in un’orchestra, al tuo progetto attuale? Come l’hai vissuto e cosa ti ha ispirato a fare questo salto?

La musica classica mi stava stretta addosso. Anche se avevo tanto repertorio fra le mani, non mi bastava per dare sfogo alle mie emozioni, tanto più che non ero cosi libera di esprimermi. Uno spartito è già scritto e direi il più delle volte anche l'interpretazione. In orchestra stavo male, in primis perché non avevo una grande disciplina per restare ferma ore e provare la misera parte dell'arpa che, in alcuni casi, era solo una battuta. Avevo davvero bisogno di altro: ho studiato tutta la vita l'arpa e credevo di conoscerla bene, ma non era cosi. Quando frequentavo il conservatorio a Lugano ho preso parte ad un corso chiamato "improvvisazione libera": ho iniziato una sperimentazione con il mio strumento, meno tecnica ma più istintiva, e suonavo quello che volevo con che cosa volevo. Forchette, fogli, tubi di carta avevano già cambiato il mio approccio con l'arpa, e quando ho attaccato l'amplificatore con l'arpa elettrica sono entrata in un nuovo universo. Avevo iniziato un approccio più elettronico con l'arpa con l'aiuto di Giuseppe Pugliese: con lui abbiamo campionato il suono della confezione del filtro dei miei drums misto al suono del mio pugno sbattuto sul pavimento instabile della palazzina cui cui abitavo a Lugano, ed è uscita una composizione neo classico/electro dance. Mi sembrava la direzione giusta da intraprendere. Ho continuato questo percorso con Aris Bassetti, produttore del mio disco. Lui viene dal noise e dalla sperimentazione ed in questo disco abbiamo fuso le nostre origini e i nostri tormenti.


Il tuo album si intitola “DAZED”, stordita, confusa. Cos’è che ti fa sentire così e cosa invece ti aiuta a ritrovare la chiarezza?

DAZED per me ha un significato diverso. Più che stordita, mi sono sentita (e mi capita ancora di sentirmi) sotto shock. Aver vissuto tutta la vita praticamente in una bolla, mi ha fatto perdere dalla realtà. Questo perché studiavo tantissimo, non mi interessava niente di quello che succedeva nel mondo. Io volevo solo suonare l'arpa e non volevo che niente e nessuno si mettesse fra me e lei. Ero in un mondo irreale, nella mia testa succedevano battaglie, nella realtà non sapevo nemmeno il giorno della settimana. Quando due anni fa ho finito tutto il percorso di studi al conservatorio ho subito uno shock vero e proprio: ho iniziato ad avere attacchi di panico, mi girava sempre la testa, non riuscivo a camminare diritta, ero confusa ed avevo paura di tutto, delle persone, degli animali, della vita. Ci ho messo un po' ad abituarmi a questa sensazione, che non passa mai. Cosi ho iniziato a scrivere musica, per affrontarla. Scrivevo quello che vivevo nella mia testa e DAZED racconta il mio percorso: Awray è la mia sensazione di instabilità, Ultrasystole è il mio cuore che scalpita quando qualcosa non va, e così via.





Hai raccontato di aver sviluppato una forma di autismo durante i tuoi anni in conservatorio. Che conseguenze ha avuto questo fatto sul tuo modo di vivere e sul tuo rapporto con la musica? Cosa ti ha spinto a tornare a relazionarti con l’esterno?

Durante i miei anni in conservatorio stavo troppo bene, perché avevo avuto tutto il tempo per costruirmi una bolla perfetta e indistruttibile: avevo delle relazioni e delle amicizie che incastravo come volevo nella mia realtà. Ero felice perché nessuno mi ostacolava, suonavo e vivevo senza pensare che la vita fosse altro. La musica per me era lo sfogo della mia esistenza, poteva succedermi qualsiasi cosa, ma io non sentivo niente, suonavo l'arpa che mi faceva da scudo. Ad un certo punto qualcosa è andato storto: finito il conservatorio, mi sono resa conto che non stavo più vivendo per suonare l'arpa, ma stavo suonando l'arpa per vivere. Questo mi ha destabilizzata. Ho iniziato a lavorare moltissimo per dare spazio a questa nuova sensazione, la mia voglia di vivere e scrivevo più di 100 mail al giorno, facevo moltissime chiamate. Ho cosi organizzato un tour Europeo dove ho potuto testare le mie nuove composizioni live. I rapporti con gli altri? In effetti, non riesco ad avere grandi rapporti con le persone. La cosa con cui faccio sempre i conti è che non riesco praticamente mai a farmi capire: mi sembra sempre e comunque di vivere una realtà diversa dagli altri ed è per questo che spesso mi chiedo se sono pazza o fuori luogo io o se forse lo sono tutti gli altri con cui ho a che fare :-)


Pensando a quello che dici sull’isolarti con la musica e la difficoltà nel rapportarti con il mondo reale, vorrei chiederti come hai gestito questo periodo particolare, di lontananza dalla vita di tutti i giorni.

Il periodo di lontananza dalla vita di tutti i giorni l'ho vissuta molto bene: uscire fuori di casa e non vedere auto né sentire i rumori della quotidianità mi tranquillizzava. È stata la sensazione migliore per me. Sono preoccupata adesso che si torna alla vita reale.


Tornando all’album, ho notato che è completamente strumentale, a differenza di altri progetti elettronici che inseriscono nei loro pezzi un cantato, forse anche per ampliare il pubblico di ascoltatori. Qual è il pubblico a cui ti rivolgi tu con questo lavoro? Chi pensi che si appassionerà al tuo progetto?

Sinceramente non so dirti Il tipo di pubblico che potrebbe interessarsi alla mia musica. Per come la vivo io, credo che la mia musica sia versatile: può darti la carica anche se ascolti punk o rock.


Ho assistito al tuo live durante la scorsa edizione di Linecheck; ho notato che usi una loop station, ed effettivamente ascoltandoti ho avuto la sensazione che le tue canzoni fossero una sorta di mantra, mi hanno ricordato per certi versi la musica meditativa orientale. È la strumentazione che avevi a disposizione ad averti ispirato a fare questo tipo di musica oppure è stata la ricerca di questa particolare atmosfera a portarti a scegliere gli strumenti che ho visto dal vivo?

Questo tipo di musica è nato in primis dalla voglia di far suonare l'arpa come una voce. Aris Bassetti, produttore e co-compositore del disco ha reso possibile questo; ed è stato un perfetto connubio fra la mia intuitività, i miei arpeggi senza fine e la mia tecnica con la sua attitudine punk, la sua immediatezza melodica e il suo approccio rozzo. Abbiamo fuso due mondi in apparenza distanti. Cosi è nato DAZED.


In che contesto credi sia più facile apprezzare la tua arte? Club, teatri, festival..?

Avendo passato un intero anno in tour, credo che la mia arte sia apprezzabile in molte situazioni. Dai teatri, ai festival e ai club più alternativi.


Sei italo-svizzera, e ti sei esibita sia qua in Italia che a vari festival all'estero, quindi conosci diverse realtà. Cosa potrebbe imparare l’Italia dall’estero e cosa invece ha da offrire secondo te?

Non mi sento di giudicare la mia nazione. L'Italia è senza dubbio un paese ricco di grandi possibilità culturali. Sicuramente i musicisti in Italia potrebbero avere molto più valore e riconoscimento, ricevendo più retribuzione per i concerti. In Svizzera vivere di musica è forse meno complicato. Vorrei che i miei colleghi musicisti in Italia potessero vivere di musica senza dover pensare a come sopravvivere con essa.


Quali sono i tuoi ascolti nel tempo libero? C’è qualche musicista contemporaneo che apprezzi particolarmente e ci vuoi consigliare?

Mi piacerebbe consigliarvi alcuni dei brani che hanno ispirato il mio album:

- Ma bea khire di Nas El Hal (Ammar 808 Remix)

- Jewel di Flume

- Barcarolle di Lubmyr Melnyk

E la mia ultima scoperta che sta illuminando le mie giornate: Caterina Barbieri.




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