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Le chitarre di Bartolini tornano a suonare con "Tilt" - Intervista

Fiorito nel periodo d'oro della musica indipendente italiana, Bartolini non si è mai spostato da quell'angolino di cuore in cui tengo la musica che ha segnato interi periodi della mia vita.



Il suo "BRT, Vol.1" mi aveva fatto volare altissimo l'estate immediatamente successiva alla sua uscita, nel 2019. Da allora le sue chitarre non hanno mai smesso di suonare e la sua coscienza di risuonare nelle mie cuffie fino ad arrivare all'uscita di "Tilt" (Carosello Records) che segna il suo ritorno dopo un periodo di grandi riflessioni e temperamento ad opera del tempo e della vita adulta.


È un Bartolini afflitto da domande esistenziali e personalissime che ci troviamo ad ascoltare in "Tilt", che trova il coraggio di esporsi su temi finora lasciati in penombra e su moti d'animo che ha finalmente avuto la forza di affrontare, prima di tutto con se stesso. Dalla scomparsa del padre alla sua musica fino al rapporto con Roma e i fantasmi del passato, nell'intervista a seguire potrete scoprire un Bartolini a cuore aperto tutto per voi. Buona lettura!


 

Ciao Barto e bentornato su IndieVision. Sempre un piacere risentirti, come va?


Grazie mille, direi bene ancora al computer, lavorando, facendo un sacco di cose, molto contento dell'uscita, molto contento dei feedback, insomma: felice in generale.


Molto bene. Prima di tuffarci nel disco sfrutto questo assist per farti una domanda che avevo poi in canna per dopo: fare musica – in senso lato – si è rivelato poi come pensavi sarebbe stato inizialmente?


No, sinceramente no, non avevo considerato ad esempio tutta la questione relativa ai social. Io poi ho un rapporto particolare con Instagram, TikTok, eccetera. Quindi mi sono dovuto anche un po’ adattare a questa cosa perché di base sono una persona molto timida. Mi piace tanto stare a casa e pensavo inizialmente di poter fare musica “nascosto” nel mio, nella mia tana. Ovviamente non è così. E poi soprattutto negli ultimi anni è cambiato tutto, è tutto più fast, è tutto più veloce. La mia idea romantica era impossibile. Inizialmente – ti parlo del 2017, quando ero ancora solo un fruitore – pensavo che si riducesse tutto al solo suonare, droppare dischi e basta. Ma va bene così. Mi piace, sto scoprendo anche tanti altri aspetti della mia personalità e mi sto liberando anche di tante ansie grazie a questo. Quindi va bene così, insomma.


Mi riaggancio a questa domanda e a questo tema per chiederti anche del titolo dell'album, “Tilt” che inizialmente mi ha fatto pensare al tilt del Flipper, quando lo sbatti troppo e si incazza.


In realtà è un riferimento anche quello: mi è piaciuto tanto questo titolo, anche soprattutto per il flipper per cui sto parecchio in fissa. E poi sì, appunto, ho scelto questo titolo perché secondo me racchiude al meglio il concetto di paura, ansia ed esaurimento, tutto quello che ho passato nell'ultimo anno e mezzo, quindi tanti dubbi, tante rinunce, tante paure, tanta solitudine, problemi relazionali, amicizie che ho perso e ritrovato, reality check insomma della vita adulta.


Inizi a sentire un po’ di fatica, potrebbe essere questo in generale?


Forse ho sentito più fatica tra il primo e il secondo disco, proprio tra il lockdown e “Bart Forever”. C'è stato proprio un momento di totale blocco. Ho avuto una sorta di trauma dopo il primo disco perché appunto è uscito durante il lockdown, tante date annullate, non mi riconoscevo più in quello che stavo facendo quindi sicuramente il secondo lavoro è stato più faticoso. Però allo stesso tempo ho avuto modo di affrontarla questa ansia attraverso i concerti, la musica. Che è ritornata prepotentemente nella mia quotidianità, nel senso che ho ricominciato anche a stare più tempo al computer, a produrre, a scrivere. La fatica c’è sempre però sto cercando di trovare il modo per incanalarla e trasformarla in energia. Il processo creativo di quest'ultimo disco è stato proprio questo.


Nel disco si espone ad un certo punto il concetto del tempo che invecchia: ti spaventa questa cosa?


Mi spaventa, mi spaventa as fuck. Perché poi sono nostalgico, sono molto legato al passato, quindi vedere che il tempo vola è stato uno dei temi di questo reality check di cui ti parlavo prima. Tra l'altro quella poi è una cit a a Dylan Dog che ho letto tantissimo. Sia per Bart Forever sia per questo disco i riferimenti a Dylan Dog sono frequenti.


Un'altra roba che mi ha fatto pensare è il verso “Più divento grande, più divento un po' mia madre”. È un bene o un male?


È un bene nel senso che ho grandissima stima per mia madre. Un male, nel senso che comunque sto diventando più grande, quindi capisco quelle responsabilità che magari prima non capivo o che capivo, ma non fino in fondo. Mi rendo conto anche di quante difficoltà ha avuto e abbiamo avuto in generale, quindi è anche un omaggio a quello che abbiamo vissuto insieme. Nella mia storia, nella mia vita, mia madre mi ha letteralmente cresciuto da sola quando ero piccolo. E quindi si è ritrovata in questa sorta di tunnel di responsabilità enormi che non capivo. Adesso mi è più chiara la situazione e per questo è uno statement di cui sono molto felice di aver inserito. Mi serviva, mi è servito. Questo disco è stato molto terapeutico per me.


A proposito di genitori, è anche la prima volta in cui parli un po’ più esplicitamente di tuo padre.


Si. Ne ho sempre parlato, però non in maniera così esplicita. Quella frase è un riferimento ad un pezzo di Kid Kudi, “Soundtrack to my life”, pezzo gigante per me, disco con cui sono cresciuto e l'ho ripreso in questi anni e ho sempre voluto trovare la forza e il coraggio per dire una frase così in una canzone. Finalmente sono riuscito a liberarmi di questo mostro. Spero di non doverne parlare più e di passare a cose un po’ più allegre, positive. Però era giusto parlarne perché insomma sono stati anni molto, molto complicati. E avevo bisogno di lasciarmi questa cosa alle spalle.


Se non sono troppo indiscreto, posso chiederti qual è il ricordo più profondo che hai di tuo padre?


Sono tantissimi. Ho sempre vissuto questa doppia vita tra mio padre e mia madre che appunto non stavano insieme. Quindi questa doppia vita da quando ero bambino con mia madre nella campana di vetro e con mio padre in anarchia totale, la riassumo così. Quindi ricordi ne ho tanti. Purtroppo il tempo è stato poco però è stato condensato grazie alla musica, lui mi ha proprio introdotto ad alcuni dischi che per me sono stati fondamentali, come i Cure, gli Oasis, eccetera, per non andare troppo lungo. Con lui ho iniziato a suonare la chitarra, con lui mi sono messo lì d'estate, a 12 anni, a cercare di capire come si scriveva una canzone, anche se lui non era un musicista e faceva tutt'altro, anzi, era anche in disaccordo con questa mia decisione di fare musica. Però forse il ricordo più profondo che ho è quella volta in cui era appena uscita “Penelope”, sei anni fa forse, e l'ultima volta in cui ci siamo visti – e di questa cosa forse non ho mai parlato in nessuna intervista – lui mi chiese proprio di cantargli “Penelope” e poi il giorno dopo sono partito per una data a Bologna mi pare e non ci siamo più visti. L'ultimo scambio che ho avuto con mio padre è stato suonare Penelope, quindi puoi immaginare quanto possa essere legato a quella canzone. Lì c'è stato proprio il Turning Point per me, cioè tipo “adesso non posso più tornare indietro”. È stato anche il modo per condividere con lui quel tempo, quel poco tempo che abbiamo avuto per stare insieme.


Intanto ti ringrazio di aver condiviso con noi questo ricordo bellissimo. A proposito poi di pilastri della tua vita, volevo anche chiederti cosa ti avesse lasciato Roma invece.


Un rapporto di amore e odio. Anche un rapporto tossico con Roma perché non riesco a lasciarla. So che stare qui in qualche modo mi fa male perché ci sto da 10 anni e io quando sto per troppo tempo in un posto poi inizio ad esserne saturo. Ho provato a lasciarla quando sono andato a Manchester, non ce l'ho fatta. Mi sveglio tutti i giorni con l'ansia, con la fomo pensando che potrei essere ovunque invece resto ancora qui, nella stessa casa da dieci anni. Poi in realtà ne sono anche mega innamorato, ma è un momento un po’ difficile, non ci sono tantissimi eventi e sono spariti quei locali di riferimento in cui magari avevo suonato per la prima volta, che erano punti di ritrovo per tutti e che mi hanno ispirato tanto, soprattutto durante i primi anni, dal 2017 al 2019, durante i quali c’era un bel fermento. Quindi sento tanto la mancanza di quegli anni lì, però sono anche convinto che possano ritornare più forti di prima. Quindi resto qui perché sento questa cosa e voglio esserne partecipe. Voglio esserci quando e se succederà, perché poi non è detto che avvenga. Roma per me è il è casa, è il compromesso giusto. Anche perché poi è non è troppo lontana da casa mia, dalla mia famiglia e allo stesso tempo mi consente di stare per i fatti miei, di vivere la mia vita in tranquillità. E poi ho tutti gli affetti qui ho tutte le persone che mi stanno vicino e mi ispirano tanto. E soprattutto mi sopportano più che supportano.


Ci avviamo alla conclusione e volevo chiederti anche un'altra piccolissima cosa che citi in “non eri tu” dove si coglie l'idea che tutte le persone che incontriamo nella vita, anche le peggiori, in un modo o nell’altro ci fanno diventare persone migliori: c’è mai stata una eccezione?


Ma guarda, no, alla fine no, è stato tutto necessario, rifarei tutto, anzi vorrei fare più cose. Conoscere più gente, mettermi di più alla prova. Trovarmi in situazioni più scomode.


Per chiudere volevo chiederti qual è stato il ricordo più bello del tour dell'anno scorso con Lil Kvneki?


Sicuramente ti dico MIAMI dello scorso anno. Perché per la prima volta l'ho vissuto non da artista principale, quindi questo mi ha permesso di viverlo per la prima volta senza quell'ansia di dover cantare per 40 minuti. Poi ho cantato anche lì, perché abbiamo fatto “non piove”, facevo tutti i cori, facevo le strofe degli ospiti, quindi ho cantato, che ne so, la strofa di Villa Banks. Poi in generale tutto il tour per me è stato veramente bello, è stato fantastico e mi ha fatto crescere tanto. Mi ha insegnato tanto, mi ha dato tutto. Poi Alessio anche come persona mi è stato tanto vicino quest'anno nel processo creativo del disco, abbiamo praticamente vissuto insieme tutti i giorni, anche nei momenti più bui.




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