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Filippo D'Erasmo: tra realtà e immaginazione nelle sue "Canzoni Part Time" - Intervista



Abbiamo intervistato Filippo D'Erasmo in occasione dell'uscita del suo EP "Canzoni Part Time", pubblicato lo scorso 15 aprile. Questo lavoro in studio segna l'inizio del percorso da solista del cantautore piemontese, dopo diverse esperienze con alcune band e dopo aver conseguito il mater in Songwriting presso il Cpm Music Institute di Milano.

Cinque brani dove la realtà viene unita all'immaginazione, dove ci si può immergere in storie quotidiane e semplici che anche noi potremmo aver vissuto e dove possiamo scoprire invece storie come quella di Zion Shaver.

Per conoscere meglio questo artista gli abbiamo posto qualche domanda in merito al suo ultimo lavoro in studio.


Ciao Riccardo, piacere di conoscerti, anche se virtualmente! Come stai? 

Come stai affrontando questo periodo quarantena? Ciao indieVision, piacere mio. Devo dirti che la sto affrontando benone questa quarantena. La sto vivendo come un momento di riscoperta di me stesso: nella solitudine sto affrontando alcuni blocchi della mia interiorità e sto piano piano provando a scioglierli, anche grazie a qualche buon disco, buon libro e a qualche film.


Da dove nasce il tuo nome d’arte Filippo D’Erasmo e come si è sviluppato il tuo nuovo progetto da solista?

Il mio nome d’arte nasce dal mio cognome “Filippo”, ovvero una parte di me, unito a “D’Erasmo”, qualcosa di romanzato, che mi crea suggestioni particolari. Mi piace l’idea che l’arte si possa fondare su un nucleo vero e reale e che a ciò si possa aggiungere qualcosa di fantasioso ed immaginario. Vengo dal mondo delle band, ad un certo punto ho sentito che era giunto il momento di rendermi autonomo nella scrittura e nell’arrangiamento dei miei brani, così ho intrapreso la carriera solista, per poter sperimentare quanto più liberamente possibile.

Innanzitutto volevo complimentarmi per il tuo primo EP “Canzoni Part Time”. Mi è piaciuto molto. Come mai hai scelto un titolo così particolare? 

In questo periodo, la musica ti sta occupando totalmente le giornate o le dedichi solo un parte del tuo tempo?

Sono contento che il mio EP ti sia piaciuto. Il titolo l’ho scelto perché queste canzoni sono state scritte in un periodo della mia vita in cui vari aspetti erano da me vissuti “a metà”: il lavoro, la mia relazione, il mio rapporto con la musica, ad esempio. Diciamo che la sensazione di essere sempre al centro di due poli, che tirano da parti opposte, quella rimane. Però crescendo ho imparato a gestire meglio il mio tempo, dedicandomi a poche cose ma nel modo migliore possibile, e a dare a persone a cui tengo davvero, parte del mio tempo, senza disperderlo e disperdermi. Sono nella fase della mia vita in cui ho riportato la musica al centro, che per me era ed e’ qualcosa di fondamentale, ho capito quali sono le mie priorità. Questo per me rappresenta un grandissimo passo.

A livello di sonorità, ascoltando le tue canzoni si può notare una commistione di generi, dove la chitarra acustica si unisce a suoni che appartengono all’elettronica. Questa sperimentazione di diversi generi da dove nasce? Come sei riuscito a unirli in maniera armoniosa?

E’ stato in realtà un processo abbastanza naturale. Sono sempre stato affascinato da una parte dal filone cantautorale “classico” alla De André, quello della chitarra arpeggiata, dei tappeti di archi, dei suoni analogici. Dall’altra c’era invece la scuola di Battiato ad affascinarmi, quella della sperimentazione elettronica, della forma canzone pop che non fosse mai banale nei testi. Mi capitò di ascoltare il disco di esordio dei Baustelle “Sussidiario Illustrato delle Govinezza” quando uscì, e capii che forse coniugare quei due mondi era possibile. Così decisi di provarci anche io, trovando però una formula che fosse più mia.


La traccia che apre il disco è “Milano, Ilaria e la Nebbia”. Ho scoperto che hai studiato al CPM Music Institute di Milano. L’esperienza del master in Songwriting ti ha aiutato e influenzato nella scrittura di questo disco? Quanto ti ha lasciato la città di Milano?

Sicuramente, quella del CPM è stata una bellissima esperienza. Alcune di queste canzoni sono proprio state scritte in quel periodo e portate a lezione quando erano ancora sottoforma di bozze.

“Milano, Ilaria e la Nebbia” è stata proprio frutto di quelle suggestioni che mi attraversavano, mentre prima o dopo le lezioni mi ritagliavo del tempo per vagare per la città, immerso tra i miei pensieri e tra i miei ricordi.


Il brano “Zion Shaver” racconta una storia vera e profonda. Come hai scoperto questa persona e la sua vicenda? Possiamo considerare questo brano come un racconto di rivendicazione di tutte le persone emarginate a volte dalla una società?

Come spesso accade in questi casi, fu lui a trovare me. Ero in sala di attesa dal medico, quando mi cadde l’occhio su un giornale aperto, la cui foto ritraeva questo ragazzo senza le gambe, vestito da lottatore di lotta greco romana. La storia la potrete intuire ascoltando la canzone e non te la ripeterò, comunque sì, la tua chiave di lettura può essere calzante. Zion Shaver è una storia di rivalsa, di determinazione, una testimonianza di come carattere e forza di volontà possano abbattere quei limiti che molto spesso siamo noi stessi a porci.

“Monica sulla spiaggia di Follonica” è il primo brano che hai pubblicato. Nel tuo EP troviamo tre canzoni dove racconti le vicende di diverse protagoniste femminili. Come ti è capitato di scrivere canzoni in terza persona e non in prima, scegliendo proprio queste protagoniste?

I nomi sono di fantasia, per due motivi. Il primo è per proteggere le persone che stanno dietro alle canzoni. Il secondo è perché spesso, nello stesso personaggio femminile, ne confluiscono diversi: fatti reali di vari momenti del passato si mescolano a fatti che sono successi nella mia immaginazione, ad immagini che provengono da film o da romanzi. Si sfuma il confine tra la realtà e l’immaginazione, a volte mi capita di nutrire dubbi anche riguardo la veridicità dei miei ricordi.


Nel brano “Norimberga” racconti questo viaggio che hai fatto in treno. Nella volontà di mostrare la tua emotività, hai composto un brano così intimo e sincero. Com’é nata questa canzone e come mai hai scelto di posizionarlo in chiusura dell’EP?

Riguardo il pretesto, l’aneddoto è divertente. Ero appena stato truffato alla stazione di Norimberga da un pakistano, che mi aveva venduto un biglietto per Bamberga, vedendomi titubante di fronte alla macchinetta. Fiutandomi italiano mi aveva venduto il biglietto probabilmente al doppio del prezzo reale, che non conoscerò mai. Non contento di questo, mi aveva accompagnato durante tutto il viaggio in treno, sedendosi di fronte a me. Siccome iniziavo a capire che qualcosa non andava, per avere una scusa per non guardare il tipo in faccia, tirai fuori il cellulare e colsi l’occasione per scrivere di getto questo testo, per una musica a cui stavo lavorando in quei giorni. La vicenda non c’entra nulla con ciò di cui parla la canzone, ma mi ha fornito un valido pretesto per scrivere.

Il contenuto invece nasce da un’urgenza emotiva, una sorta di terapia contro i demoni che ospitiamo dentro e che ogni tanto si fanno sentire. Per quanto riguarda la posizione in chiusura, non avrei potuto immaginarne un’altra.


Quali sono gli ascolti che hanno influenzato la scrittura di “Canzoni Part Time”?

Tra i “mostri sacri” sicuramente Fabrizio De André per quanto riguarda i testi ed il modo di raccontare e Franco Battiato per la sua capacità di fondere forma canzone pop, testi mai banali e sperimentazioni elettroniche. Tra i contemporanei penso che artisti quali Brunori Sas, i Baustelle, e Le Luci della Centrale Elettrica abbiano avuto un ruolo determinante.


Come pensi che gli artisti possano provare a risollevarsi dopo questo periodo di quarantena, per valorizzare il loro lavoro?

Continuando a fare quello che è loro compito fare: scrivere canzoni sincere, che sappiano attraversare la scorza delle maschere e dei condizionamenti per arrivare al cuore delle persone.


Ringraziamo Riccardo per la disponibilità e Conza per l'opportunità.


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