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C'mon Tigre, "Habitat" è la loro dimensione naturale - Intervista

Con un percorso di quasi un decennio di esplorazioni sonore e ben tre album pubblicati, i C’mon Tigre tornano sulla scena con “Habitat”, uscito lo scorso 24 novembre. Nove tracce che racchiudono a pieno l’essenza del progetto, quella di un duo dal respiro internazionale in cui musica e arti visive si influenzano costantemente.

 

Il duo ci invita in un viaggio musicale che supera i confini e celebra la connessione tra diverse forme d'arte. "Habitat" fonde influenze provenienti da ogni angolo del mondo, mescolando stilemi jazz africani ed elettronici con nuove sonorità ispirate alla musica sudamericana. Il risultato è un ecosistema sonoro variegato, un luogo in cui diverse forme di vita, animali e vegetali, prosperano e convivono.


Dai ritmi avvolgenti dell'afrobeat di Seun Kuti alla voce potente di Xênia França, dalla sperimentazione di Arto Lindsay alla poesia di Giovanni Truppi, l'album è un'odissea musicale che attraversa diverse culture grazie a collaborazioni diverse tra loro ma che si trovano in un perfetto equilibrio con il lavoro del duo.


Da "Goodbye Reality", un invito a giocare con l'idea di trasformazione e di vedere il mondo da una prospettiva diversa e piena di immaginazione, in una sorta di mondo capovolto, a "The Botanist", un brano che ci consiglia di diventare i "giardinieri della propria mente" per non perdere quella genuina curiosità che sviluppiamo sin da bambini, scopriamo insieme il mondo dei C'mon Tigre, che abbiamo esplorato insieme a loro in questa intervista.



Benvenuti su IndieVision! È da poco uscito “Habitat”, il vostro nuovo disco. Qual è il vostro habitat naturale? Dove si sentono a casa i C’mon Tigre?

Grazie per averci invitato, il nostro habitat naturale pensiamo sia quello che abbiamo raccontato in questo disco, un posto dove si sta bene, dove si respira tanta energia, in movimento, un posto in cui ci sentiamo bene e ci lasciamo influenzare da quello che ci circonda. Rappresenta il nostro equilibrio, il posto che vorremmo sentire come casa nostra.


"Habitat" oltre all’unione di più lingue dal portoghese all’inglese, sembra mescolare anche sonorità sudamericane, africane ed elettroniche. Quali sfide avete affrontato nel fondere queste diverse influenze e come avete mantenuto l'identità distintiva dei C'mon Tigre in mezzo a questa diversità musicale?

Come C’mon Tigre teniamo le fila, uniamo i punti che delineano il nostro viaggio, l’idea di partenza è stata che ‘Habitat’ fosse un disco multilingue rispetto ai precedenti, o almeno che lo fosse maggiormente, che la cosa fosse più evidente. Musicalmente ci siamo mossi sempre su più territori, ci piace vedere cosa succede andando a pescare da mondi differenti secondo i nostri gusti e la nostra visione. Il continente Africano fa parte della nostra musica da sempre, ed è molto più vicino alla musica sud americana di quanto si pensi, l’elettronica ha sempre dato un certo carattere ai nostri suoni, serve a realizzare quanto ci immaginiamo di poter raggiungere. La sfida, se così si può definire, è riuscire a mescolare il tutto, a coinvolgere artisti che partecipino con noi al raggiungimento del risultato finale.


Le collaborazioni con artisti come Seun Kuti, Xenia Franca, Arto Lindsay e Giovanni Truppi aggiungono un'ulteriore dimensione al vostro suono. Come avete scelto questi collaboratori e in che modo hanno influenzato l'evoluzione del vostro sound?

Mentre il disco prendeva forma ci siamo immaginati con chi avremmo voluto condividere il nostro percorso, chi sarebbe stato più adatto a dare un’impronta necessaria alla nostra musica, e gli artisti coinvolti in ‘Habitat’ hanno portato moltissimo, cambiato il senso che i brani avevano inizialmente: questo è la cosa migliore che possa succedere quando collabori con qualcuno. Anche idealmente, il senso della loro partecipazione è stato molto forte per noi: Seun Kuti è il maggior rappresentante dell’afrobeat odierno, figlio di Fela Kuti, per C’mon Tigre, che da sempre ha un forte legame con la musica africana, è come se si fosse chiuso un cerchio. Xenia Franca è una delle migliori rappresentanti della musica brasiliana attuale, ha appena vinto un Latin Grammy e ne siamo felicissimi, ha dato moltissimo al brano ed al disco che come si può sentire ha forti influenze vicine alla musica brasiliana tradizionale e al samba. Arto Lindsay è un riferimento per noi, da sempre, un filo che unisce la musica sperimentale, che indubbiamente fa parte del nostro bagaglio culturale, con la delicatezza della canzone brasilianea, cantando in portoghese. Con Giovanni Truppi è stato un esperimento, siamo amici, lo stimiamo infinitamente come artista, e siamo molto felici che il primo brano in italiano di C’mon Tigre esca attraverso la sua voce.


Il disco è stato anticipato da alcuni singoli, tra cui “The Botanist”. Mi ha colpita molto la metafora dell’essere il "giardiniere della propria mente." Qual è la vostra personale chiave per coltivare la creatività?

Guardarsi intorno, non smettere mai di essere curiosi e lasciarsi influenzare da ciò che ci circonda. Per fare questo, e per farlo al meglio, bisogna predisporsi, coltivare e prendersi cura della propria psiche, tenerla allenata.


Il brano “Goodbye reality” sembra giocare con l'idea di trasformazione e di vedere il mondo da una prospettiva diversa e piena di immaginazione. Il testo fa riferimento a uccelli che nuotano nel mare e pesci che volano in aria. Qual è il significato simbolico di queste inversioni di ruoli nella vostra visione del mondo?

“Goodbye reality” è il primo brano del disco, e ce lo siamo immaginato come un benvenuto, come un anticamera in cui il nostro consiglio è di lasciarsi alle spalle il mondo a cui siamo abituati e farsi travolgere da questo viaggio, sparpagliare le carte, rovesciare le regole. Invertire i ruoli serve anche ad immaginarsi come le cose possono sempre cambiare, a non aspettarsi sempre il solito, a non essere rigidi nell’immaginazione.


Il protagonista di “Sento un morso dolce” descrive sogni in cui la sua ragazza si trasforma in varie entità, incluso un uomo, suo padre e una tigre. Qual è il significato di queste metamorfosi e come si collegano alle tematiche più ampie dell'album "Habitat"?

Il testo è stato scritto da Giovanni, l’idea di base è quella di un flusso di coscienza durante una seduta psicanalitica, un fiume di parole che vanno a pescare nel proprio inconscio. Bisognerebbe chiederlo a lui, per noi il tutto rientra nell’idea di un mondo, un habitat da scoprire, da decifrare in qualche modo.


"Sixty Four Seasons" parla di resilienza e della capacità di risollevarsi quando tutto sembra andare in frantumi. La frase "Just 64 seasons It took to lose our soul" suggerisce una perdita di qualcosa di significativo nel corso del tempo. Qual è la connessione tra il numero 64 e la perdita dell'anima?

Preferiamo non rispondere


Per salutarci, c’è un ricordo legato al periodo di scrittura e produzione di Habitat che porterete con voi?

Mentre con Seun Kuti abbiamo lavorato e costruito insieme le parti, quindi per noi era più prevedibile il risultato che avremmo ottenuto, ricordiamo molto bene il momento in cui abbiamo ascoltato le parti vocali che Xenia França ed Arto Lindsay ci hanno mandato dal Brasile, le abbiamo immediatamente montate e missate: sentire quello che avevano fatto sulla nostra musica, quanto l’avessero cambiata, è stata una sensazione splendida.



Annunciate le prime date del tour dei C'mon Tigre:

 

10.02.24 | Bologna - TPO

21.02.24 | Milano - Santeria Toscana 31

22.02.24 | Torino - Hiroshima Mon Amour 

07.03.24 | Roma - Monk Club

08.03.24 | Molfetta (BA) - Eremo Club

15.03.24 | Pordenone - Capitol 

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