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"Benevolent" di Generic Animal è la terra di mezzo tra l'infanzia e l'età adulta - Intervista

Generic Animal, pseudonimo e progetto solista del classe ‘95 Luca Galizia, nasce nel 2017 sotto l’etichetta indipendente La Tempesta Dischi, con la quale pubblica l’omonimo album d’esordio l’anno successivo. Ad oggi Luca, con l’uscita di "Benevolent" lo scorso 18 marzo, torna a mostrarci il suo mostriciattolo verde, alla scoperta di un quarto album in studio che abbandona il tocco più emo dell’esordio e la spinta trap di "Emoranger" (La Tempesta/Bomba Dischi, 2018) per dedicarsi all’introversione e la leggerezza per cui, sonorità fortemente immersive come quelle del post-rock più underground, rendono perfettamente il percorso che l’autore vuole mostrarci.

Come detto da lui stesso, “Non si può dare un nome a tutto. Soprattutto se non vuoi distruggere la semplicità o l’impulsività dei tuoi gesti. Capita di essere cattivi tentando di essere buoni, e viceversa. Capita di sembrare persone che non si è davvero. Capita di volersi bene senza mai dirselo una volta”, ed è esattamente su un gioco di binomi che gira l’intero album, dal più classico dei classici tra bene e male al più intimo dibattito tra accettazione di sé e condanna anche delle più piccole imperfezioni in grado di farci crollare nei momenti no.


"Benevolent" si presenta come un vero e proprio percorso, un modo per ricongiungersi con sé stessi e i propri mostri, di cui il primo, quello del nostro Luca, è messo immediatamente in copertina; quello che in apparenza dovrebbe essere qualcosa di spaventoso, si mostra come nient’altro che un pupazzo, un amico verde che, paradossalmente, è addirittura rassicurante, e segna la fase di rottura tra la vita adulta e l’infanzia di ognuno.


L’album si apre con "Piccolo", la cui narrazione delinea immediatamente il leitmotiv dell’album spingendoci fin da subito nell’ottica di crisi identitaria vissuta da Generic Animal; in merito a ciò, importante sottolineare il particolare periodo in cui è avvenuta la stesura dell’album: la quarantena. Quale periodo migliore in cui, rimasti soli e isolati così a lungo, poter fare i conti con sé stessi?


"Ci sono cose dentro di me che spesso non controllo Sento la colpa e non passa mai Per quanto tempo dovrò pagare il prezzo per quello che ho detto, quello che ho fatto” (da "Piccolo")

"Piccolo", assieme a "Lifevest", "Bastone" e "Paura di", forma il quartetto di brani presenti nell’omonimo EP rilasciato il 21 gennaio come anticipazione dell’album.

Quest’ultimo brano in particolar modo, affronta a mio parere uno dei temi più belli e (sempre) attuali da sviscerare in momenti così introspettivi: il tempo. La velocità con cui siamo abituati a vivere non lascia spazio, sul momento, a riflessioni che vadano oltre il vivere il presente con la sua solita frenesia. Ma i what if sono sempre dietro l’angolo e in qualche modo, prima o poi, ci si ritrova a fare i conti.

"Se ci fosse una data scritta sopra un contratto che mi dice che ho altro tempo per perdere altro tempo a parlare dei forse senza mai arrivare ad un perché" (da "Paura di")

Nell’album sono presenti anche due tracce strumentali, molto particolari, di cui abbiamo avuto modo di parlare con Luca.


"Aspetta" e "Riverchild" sono gli unici due brani prettamente strumentali dell’album, seppur molto diversi tra loro. La prima canzone in particolar modo mi ha ricordato un po' le vecchie demo de I Cani, è graffiante, disperata a tratti, mentre il secondo brano mi ha colpito per il mood un po' post-rock. Come sono nati questi due brani?

Sono due brani che hanno una chiave d’accensione simile, cioè la scrittura midi; non avevo mai provato a produrre beat sul mio computer, mentre durante la prima quarantena ho cominciato a farlo trasponendo basi di chitarra su altri strumenti. Poi un amico mi ha prestato una chitarra midi e ho iniziato a comporre musica per “spartito per pianoforte” ma suonato con un’estensione per chitarra. Ho cominciato a cercare di trasporre la mia scrittura chitarristica su altri strumenti virtuali per cercare di “sotterrarla” con suoni che creassero uno strato in più al disco. "Aspetta" è per assurdo quella più variegata, ed è anche l’unico pezzo che ho prodotto quasi interamente io, è un riff continuo, un loop, e per condirlo ho deciso di far registrare le voci a dei miei amici a cui sono molto legato. È l'unico pezzo che non ha una vera spiegazione se non che è preso dallo stesso tema di "Incubo". "Riverchild" invece è un beat svarionato, un po’ post-rock, che ho scritto durante la prima quarantena e che poi ho deciso di orchestrare facendo risuonare le batterie, passando tutti i synth e distorcendoli. Sono i miei pezzi preferiti, quelli più aperti e strumentali.


Colpiti, inoltre, dal percorso di Luca nel corso degli anni, e date le collaborazioni presenti nell’album "Presto" (2020), con Franco126, Massimo Pericolo e Nicolaj Serjotti, oltre che per la presenza in "Neverland", album di Mecna del 2019 e "Kety" di Ketama126 nello stesso anno, eravamo curiosi di sapere se avesse attualmente in attivo progetti con altri artisti, o se pensasse di farlo in futuro.

Per le collaborazioni non so, tutte quelle che ho fatto in passato erano cose molto spontanee; la collaborazione fine a sé stessa, a meno che non sia il mio idolo numero 1, non mi piace. Anche in questo disco abbiamo provato a fare collaborazioni con l’estero ma non ci siamo riusciti, e finchè non riesco a raggiungere il passo successivo, non con l’artista pop di punta ma con chi piace a me da sempre, non trovo motivo di rifarlo.”.




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