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30 minuti di cinismo, fuzz e "Fame Nera": ascolta in anteprima il nuovo album di Battista



Qua e là sui social negli ultimi periodi ho visto rimbalzare varie dichiarazioni “scappate” a imprenditori, perlopiù provenienti dal mondo della ristorazione, sulla poca voglia di lavorare dei giovani. L’ultima rappresentante di questa scia di illuminati è arrivata a dichiarare che, e da qui in poi riporto un virgolettato di un’intervista al Corriere, “si debba in qualche modo generare fame. Sì ad aiuti statali alle donne e agli over 40. No agli under 35.”, per poi concludere “Il lavoro c’è, bisogna solo avere fame.”.


“La fame nera” (Artist First, Costello's), nuovo album dell’abruzzese (Pierpaolo) Battista, che ospitiamo in anteprima oggi, parla esattamente di questo. O meglio, è esattamente quello di cui hai bisogno in cuffia per evitare azioni sconsiderevoli quando leggi parole come queste.


Un buon 75% dei miei ascolti fa dell’essere “sinceramente grezzo” (che detto così mi ricorda tanto il “dignitosamente brillo” di Alberto Biggiogero) il proprio manifesto, naturale che, nella melma della musica glitterata che passa quotidianamente nelle mie cuffiette, alle prime 3 note della prima canzone di “Battista” mi si sia accesa la lampadina. Se poi la produzione è curata da Marco “Diniz” Di Nardo (Management), vale anche solo per questo la pena di dare un ascolto, ça va sans dire.


Eppure in questo album c’è quel “qualcosa” che ti fa dire “ma io che sto sentendo?”, un’attitudine (e non me ne voglia Pierpaolo, al quale giuro che, anche se non sembra, è un complimento dal mio punto di vista) quasi trap, beat e chitarre quasi rumorose, con Diniz che gioca a fare il Thurston Moore. Una combo, sulla carta, agghiacciante, che però va a tradursi in un ghiaccio positivo, tipo quello che ti tiene fresco il gin lemon o il drink di fiducia, e basta mettere in play per capire cosa intendo.



“Tossico”, primo singolo, nonché canzone che mi ha fatto scattare gli occhi a cuoricino, racchiude esattamente tutto quello che ho appena detto.

“T’ho chiesto amore Tu m’hai dato rose Come il Papa che si piega all’audience”

Tra falsetti, drum machine e fuzz (e già questo dovrebbe suscitare una discreta curiosità), “M’innamoro”, secondo singolo estratto, ti squarcia utilizzando poco più di 60 parole.

“Fallire ti dona come un re Piccolo come sei Morirai tra le ombre dei tuoi voodoo”

Il terzo ed ultimo estratto è un gioiellino pop, uno di quei ritornelli che non ti schiodi più dalla testa, “Mangiala” (immagino possa essere chiaro il complemento oggetto anche prima di sentire il cantato) riporta in alto il groove e non può non coinvolgere.

“Guarda proprio ieri hanno ammazzato un negro Gridava forte la sua mamma Proprio ieri hanno sepolto mio fratello Ma tutto ciò non mi riguarda”

In “La colla nella pancia” a farla da padrona è la chitarra acustica accompagnata da una drum machine più profonda, sulle quali un intreccio di vibrati che fa l'occhiolino al surf si sposa molto bene con la voce di Battista, a tratti urlata in una dissonanza armoniosa che qua e là ritornerà nel disco, con risultati ottimi.

“Amico mio ti voglio bene Mi raccomando non giudicare Io mi curo con le canzoni Non saprei cos'altro fare”

I ritmi ritornano da ballata, in un desolante brano d’amore: poco altro da dire su “Indaco”, che parla da sé.

“Siamo veri come quei cieli lì E le stelle ci guidano”


La duttilità del cantautore abruzzese è qualcosa di pazzesco, lo si nota da come riesca agilmente a passare dall’atmosfera del pezzo precedente a “Sarebbe Bello”, senza perdere smalto, senza copiare nulla e senza snaturarsi: il cambio di tempo sul ritornello al primo ascolto ti fa restare un po’ lì, mentre dal secondo in poi lo senti e dici “wow!”.

“Sarebbe bello credere in una via migliore Sarebbe bello fare figli per una ragione Ma non lo fanno, dimenticano chi sei Poi ti dicono «Che cazzo vuoi? È la vita, che t'aspetti?»”

La situazione si fa “Ferrettiana” in “Piango”, la linea e l’atmosfera mi riportano lì, ai CCCP, e ci sto davvero bene, gongolo quasi.

“Ho cucito gli occhi per tacere Ed ho perso la realtà”

L’altro pezzo che mi ha colpito immediatamente è “Venderò”, un grido di ribellione che vorremmo tutti urlare ogni volta che, entrando in un sito web, clicchiamo “Accetta tutto” senza leggere nemmeno cosa ci esce. Vincentissimo, 10 su 10.

“Getto Dio nella plastica Stalin, Hitler, Gandhi, Mao Vendo solide povertà Dalla croce ho tolto Cristo Ed ho messo i dollari”

Su un beat cadenzato, un intreccio di chitarre piuttosto acide accompagna “Controllati”, prima di chiuderla con un assolo.

“Ti droghi per emulazione Perché lo fanno pure le star”

Pierpaolo ci saluta con “Schiavo” che, tra un’allusione sessuale e l’altra, e tra una strummata e l’altra fugge via in poco più di un paio di minuti.

“Ed io coglione perché voglio soffrire Ed il suo schiaffo mi fa innamorare”

“La fame nera” non è un disco delicato, non è nemmeno un disco per tutti, e per fortuna, oserei dire. 30 minuti di nichilismo e acidità in quello che possiamo definire un post-cantautorato grezzissimo che non deluderà, provare per credere.




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