Ogni tanto mi capita, quando mi imbatto in nuovi progetti che mi colpiscono particolarmente, che mi si fissi saldamente nella memoria il momento esatto del primo innamoramento con la loro musica. Nel caso di Anna Castiglia mi trovavo su un bus Catania-Siracusa, poco più di un anno fa, mentre l’ascolto in loop di "Ju mi siddriu" faceva da colonna sonora allo scorrere veloce del paesaggio della Sicilia orientale fuori dal finestrino. Di quel brano mi attiravano – oltre, ovviamente, al suo incastrarsi in modo sfacciatamente didascalico con il mio girovagare di quei giorni tra il fascino delle chiese barocche e il vociare caotico dei mercati cittadini – il timbro chiaro e sottile della sua interprete, le immagini definite e fotografiche delle strofe, il mix così ben calibrato di grazia e sarcasmo; e, manco a dirlo, la sensazione di trovarmi di fronte ad un progetto artistico che, come magma che ribolle dentro al vulcano, si percepiva prossimo all’eruzione.
Era solo questione di tempo, e infatti: da quei giorni di settembre non ne è trascorso molto perché la lava iniziasse a scorrere e prendesse rapidamente il via quel susseguirsi di circostanze che hanno portato pubblico, stampa e addetti ai lavori ad incorniciare Anna come una promessa del nuovo cantautorato da non perdere di vista: le audizioni di X Factor 2023 e l’approdo ai live mancato per un soffio, l’inizio del lavoro fianco a fianco con la squadra di OTR Live, l’inclusione nel cast del Concertone del Primo Maggio, gli opening per i "grandi" (su tutti, Carmen Consoli e il trio Fabi-Silvestri-Gazzè), la vittoria del festival Musicultura a giugno e un fitto calendario di concerti su e giù per l’Italia.
Così, dopo mesi passati a portare le proprie canzoni da un palco all’altro, la cantautrice classe ‘98 ha finalmente annunciato la pubblicazione del suo primo album; nel farlo, si è affidata al talento e al gusto estetico del collettivo catanese Ground’s Oranges (già da tempo attivo a fianco, tra gli altri, dei conterranei Colapesce e Dimartino), che ha girato per lei un video-trailer in tre puntate, dirette da Zavvo Nicolosi e Giovanni Tomaselli. I tre corti, permeati da un’ironia dai tratti onirici – marchio di fabbrica dei due registi – vedono l’artista nei panni di una paziente seduta nell’affollata sala d’attesa di uno studio medico. Qui, la diagnosi con cui Anna viene ricevuta dal dottore è la seguente: "Cantautrice demodé convinta che basti una chitarrina o una filastrocca in rima per vincere una Targa Tenco a caso". Ed ecco che, dopo essersi sottoposta ad una scrupolosa visita da parte del medico e averne subito tutte le raccomandazioni del caso ("Canzone di protesta cantautoriale alle spalle… sarà meglio evitare canzoni d’amore!"), alla paziente viene finalmente prescritta la cura: un paio di occhiali nuovi (gli stessi che Anna indossa sulla copertina del disco) e un tuffo nel "mare discografico" a bordo di "MI PIACE", uscito il 27 settembre per OTR Live e distribuito da Ada Music.
Per il suo album d’esordio, la scelta artistica della cantautrice siciliana è stata chiara: spaziare tra le sue varie anime, giocando con i generi musicali e riunendo in un unico lavoro canzoni scritte in periodi molto diversi: "Sembra un caos" – ha detto lei stessa nel presentare il progetto – "ma è una sorta di albero genealogico che serve a presentarsi completamente al pubblico, con tutti i rami musicali, stilistici e concettuali che ho affrontato fino ad oggi". Del resto, l’ambizione di offrire un compendio variegato di una personalità artistica sfaccettata è espressa sin dalla title-track, che apre l’album ponendosi come esplicita dichiarazione d’intenti: qui Anna passa in rassegna i suoi modelli e riferimenti ("Mi piace tanto il basso alla Jamiroquai, mi piace tanto scrivere come Mogol [...]") e fissa un promemoria per chi si prepari all'ascolto ma, ancor prima, per sé stessa: incontrare il gradimento degli altri e trovare un proprio pubblico è importante, ma la premessa da cui non si deve mai prescindere è ricordarsi di piacere (in ciò che si è e in quello che si fa) innanzitutto a sé stessi.
"Perché piacere a tutti i costi? La musica è un cono a tanti gusti Qualcuno apprezzerà la mia specialità Ma prima dovrà piacere a me." (da "Mi Piace")
Così, dopo il manifesto a ritmo di samba della prima traccia, nell’album trovano spazio, via via: l’elettronica spiazzante che fa di "AAA" una richiesta d’aiuto ironica e vorticosa e che immediatamente discosta la sua interprete dall'immagine ingabbiata di "cantautrice-demodè-con-la-chitarrina" con cui la si potrebbe erroneamente etichettare vedendola arrivare sul palco; le atmosfere dal sapore gipsy e balcanico di "Le chiese sono chiuse", che rendono ballabile e brioso persino uno dei testi più pungenti e provocatori dell’album; il teatro-canzone che fa capolino nella recitazione cantata di "GHALI" e che regala uno dei picchi espressivi più intensi di tutto l’album; il sound gustosamente pop di "Whitman", colorato da sfumature R&B che la collaborazione con Ghemon (ottimo interprete del genere) rende ancor più brillanti.
Eppure, in questo mosaico variegato e complesso di stili, sonorità ed ispirazioni, non si ha mai l’impressione di perdere l’orientamento, e anzi sin dai primi ascolti è facile trovare gli appigli che contribuiscono a tenere agganciati tutti gli episodi e a dare senso unitario all’opera nel suo complesso. Innanzitutto gli arrangiamenti ricchissimi e il gran lavoro di produzione (a cui hanno lavorato Daniele Spatara e Simone Matteuzzi, a sua volta cantautore emergente che ha dato prova di talento nel recente esordio "Invito per colazione") - azzeccatissimi in ogni momento - che riescono a rendere interessante e inaspettato ogni pezzo, curandone sfumature e dettagli e tenendo alte la curiosità e l’attenzione dell’ascoltatore: a spiccare, negli episodi più intimi come in quelli più mossi, sono uno spirito giocoso e un’attitudine per il continuo trasformismo che imprimono slancio e personalità anche alle tracce che potrebbero risultare meno intriganti sul piano lirico e contenutistico. Lo si sente in "Gli stessi", dove la tematica è delle più tradizionali – la nostalgia di un sentimento passato – e tradizionali sono i riferimenti musicali, con atmosfere soffuse ed eleganti che pescano a piene mani dal repertorio anni ’60 e ’70: qui, a tenere l’ascoltatore dentro al pezzo sono piuttosto la morbidezza dei fiati in risposta al cantato, gli effetti sulla voce e il suo dissolversi leggiadra nel pre-chorus, il finale dominato dal crescendo degli archi e dall’effetto di eco che porta la linea vocale a disperdersi nell’atmosfera quasi frammentandosi in mille particelle.
Ma se è vero che le scelte relative ad arrangiamenti e produzione sono ciò che maggiormente dona mordente e lucentezza all’album, a costruire delle fondamenta solide e un carattere coerente e riconoscibile è lo stile di scrittura originale e mai scontato: e quindi, come accade per la musica, anche nei testi Anna gioca, volteggia e muta continuamente nei modi e nei contenuti. La sua peculiarità, mantenuta dal primo all'ultimo brano, sta nel riuscire a trovare un tono di voce personale e che sia il punto d’incontro perfetto tra ironia e leggerezza, tra responsabilità e sentimento. Così, anche dove si attraversino temi spiccatamente sociali e collettivi ("Le chiese sono chiuse", "Participio presente", "GHALI") e la cantautrice prenda posizione in modo risoluto, la rabbia e l’aperta polemica sono filtrate attraverso un codice più leggero, ironico e capace di parlare alla testa, ancor più (e ancor prima) che alla pancia. Per lo stesso principio, un argomento delicato e urgente come quello della salute mentale è proposto in "AAA" in una forma più tenue e digeribile - ma non meno potente - grazie al ricorso ad una serie di metafore incentrate sul gesto del riparare ciò che è guasto.
"Sono una lavatrice guasta Che non accetta ammorbidente […]. Portami a riparare Perché non voglio farti soffrire Portami a riparare ma non mi sostituire." (da "AAA")
E ancora, la questione delle aspettative che pesano e dei ritmi frenetici che ci vogliono sempre produttivi e operativi è introdotta a partire da una prospettiva intima e insolita: quella viscerale e interna dei nostri organi vitali, che troppo spesso rimangono inascoltati quando ci ricordano che siamo fatti non solo per seguire i precetti di una vita caotica inculcati in noi dall'esterno, ma anche per prendere respiri profondi e dedicare tempo all'amore.
"Dovrei imparare dai miei organi interni Dovrei imparare a non digerire i sentimenti A rallentare il metabolismo Che stare male per eccesso ascesso di cinismo Dovrei imparare che non ho imparato da me Che non ho ascoltato il mio corpo nemmeno Nemmeno un istante" (da "Organi interni")
In generale, quello che emerge dall’ascolto è che dietro alla scrittura dei pezzi, alle idee di produzione e alle scelte artistiche ci sia uno sguardo affilato e curioso, capace di osservare e trasmettere con uguale originalità e puntualità l’interiore e l’esteriore, i più impercettibili moti interni e gli aspetti della società che spingono a schiarirsi la voce e ad usarla per farsi sentire. E vale persino affermare, ad ascolto concluso, che per una volta possiamo concederci di infrangere la più antica delle regole e permetterci di giudicare il disco dalla copertina (l’artwork è di Letizia Spatara), che contiene dentro di sé la sintesi più fedele e riuscita dei dodici pezzi del mosaico che è "Mi piace": un collage di trame, parole e colori diversi, incollati tra loro dal talento di una cantautrice eclettica che, tenendo fede ad ogni aspettativa sul suo conto, si appresta ad indossare un paio di occhiali nuovi e a renderci partecipi di uno sguardo autentico e originale sulle cose che accadono, dentro ed intorno a lei.
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