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8 marzo, pseudofemminismi: come riconoscerli ed evitarli

Disclaimer: sebbene IndieVision si occupi principalmente di musica e cultura indipendente, abbiamo comunque a cuore temi sociali e di attualità. Per questo oggi, 8 marzo, ci teniamo a dire la nostra riguardo una giornata di importanza cruciale per il mondo di oggi.


Mi chiamo Michela, vi scrivo da Roma e studio matematica alla Sapienza, forse la più neutrale ed egualitaria tra tutte le discipline scientifiche. Da qui probabilmente l'origine delle opinioni che spiegherò in seguito. Non pretendo di aver ragione, ma da donna libera e cittadina del mondo, nel tempo ho costruito una mia idea su diritti, femminismo e quant’altro. Proverò a spiegarvi perché ogni volta che mi vengono fatti gli auguri per l’8 marzo un po’ ci rimango male. Tutto quello che leggerete in questo articolo sono mie personalissime opinioni.


Sono nata in un paese in cui le donne in realtà qualche diritto in più rispetto a tante altre nate in altri Stati nel mondo, ce l’hanno. Ad esempio posso prendere la patente e guidare da sola, scegliere se abortire o no (più o meno), scrivere e pubblicare questo stesso articolo e studiare una materia scientifica all'università. Quindi ritengo di essere abbastanza fortunata per la vita che ho. Tuttavia vivo in un mondo afflitto dal “gender pay gap” - ovvero il divario retributivo di genere per cui le donne per gli stessi lavori degli uomini vengono pagate circa il 20% in meno, qui il Global Wage Report 2018/19 -, un mondo in cui «Ci vorrebbero sessant’anni al ritmo attuale per raggiungere la piena parità tra uomini e donne», come evidenziano gli studi dell’EIGE (l’istituto europeo per l’uguaglianza di genere), in un mondo in cui gli assorbenti sono ancora tassati come beni di lusso: che lusso perdere sangue ogni mese sopra la mia Porsche. Qui di seguito un podcast interessante che analizza al meglio la questione gender pay gap a cura di Marco Crepaldi.



La mia professoressa di lettere del liceo, una persona da cui ho imparato tantissimo nel corso del tempo e che non ho mai ringraziato per questo, era solita ripeterci un concetto semplice ma incisivo, che ho fatto mio negli anni. Ogni 8 marzo con il resto della classe le compravamo una pianta, sapevamo piacerle molto e speravamo non interrogasse quel giorno (poveri illusi) e ogni volta lei nel ringraziarci ci ripeteva che apprezzava molto quel gesto visto che ancora non si può parlare di uguaglianza tra sessi nel mondo e che sperava che un giorno non ci fosse più il bisogno di celebrare quella giornata. Una prospettiva che ho apprezzato sin da subito e che ancora porto avanti nel mio quotidiano.


Dell'8 marzo si parla molto, troppo, e spesso in modo strumentale e superficiale. Partiamo con un riferimento storico: la "Giornata internazionale dei diritti della donna" viene istituita nel 1909 negli Stati Uniti, su iniziativa del Partito socialista americano: non una festa, come ci fanno credere strategie di consumismo e marketing.


Infatti, a ben vedere, alcuni comportamenti equivoci travisano di fatto il significato di questa giornata fino a diventare dannosi alla causa, vediamo quali.


Pinkwashing

"Credo nelle donne, ma non credo nei movimenti femministi" Rita Levi Montalcini

Se lo dice una delle menti più brillanti e geniali degli ultimi secoli, un fondo di verità ci sarà.


Molto spesso battaglie pseudofemministe basate su depilazioni, ciclo, abbigliamento, mode, libertà di mostrare tette e culi che affollano i nostri dibattiti pur essendo fuorvianti e deleterie. Citando la madre di tutti i romani, la mitica Sora Lella: "Ma nun staremo a fa' na cazzata?"


Il cosiddetto Pinkwashing, da dizionario, è l’utilizzo pretestuoso dell’emancipazione femminile per fini commerciali. Soprattutto su social e pagine web negli ultimi anni sono iniziate a comparire pagine e progetti sono nati come “gruppi di sostegno e di dialogo per il mondo femminile” pubblicando contenuti generalmente in sostegno delle donne, in cui ritrovarsi e sentirsi appagate.


Pagine, a mio avviso, sessiste. Tralasciando i presunti milionari che li finanziano, questi progetti nascono come strumento di marketing a tutti gli effetti. Esempi tra tutti sono Freeda e Alpha Woman. Un progetto, quello di Freeda, che prevede la pubblicazione giornaliera di post e materiali dove i contenuti pseudofemministi sono usati come pretesto per attirare l'attenzione di donne nel target tra i 18 e i 35 anni, in modo poi da vendere l’enorme quantità di dati così ottenuti ad imprese che ricercano proprio quello specifico target per fini pubblicitari. I temi femministi sono, quindi, solo una trovata commerciale: esattamente la definizione di pinkwashing.


Aprendo la pagina instagram di Freeda si legge subito nella bio "Dietro ogni grande donna ci sono altre grandi donne. Sono loro che leggono i messaggi prima dell'invio." Già questo mi sembra estremamente sbagliato e sessista: l'emancipazione femminile non si ottiene con l'androginia. Dietro, accanto, vicino, a una grande donna ci possono essere sia grandi uomini che grandi donne. Se una donna raggiunge il proprio successo personale, così come per un uomo, dipende da se stessa, dalle sue capacità e dalle possibilità che ha o si conquista. Il successo è questione di intelligenza, attitudine, forza di volontà, possibilità, mentori.


Risolvere i problemi della disparità di trattamento e della conquista dei diritti, non prevede costruire muri di ideali rosa sui quali inneggiare a ipocrite libertà di autodeterminazione, ma nell'educare e nel creare una cultura basata sulle opportunità di crescita e autorealizzazione a prescindere dal sesso. L'emancipazione femminile, quella vera, ambisce alla parità dei sessi, senza replicare il metodo maschilista che condanna.


Banalizzare un tema così delicato, attraverso glitter, vestitini corti, becero umorismo da bar e presunta superiorità di genere, non è valorizzare e promuovere l’indipendenza femminile.


L’idea alla base di post come questo è che la donna rappresentata non sia più oggetto, ma soggetto sessuale. L'oggetto venduto, da un punto di vista fotografico, risulta in primo piano. La donna è stereotipata, non ha più personalità. C'è l'oggetto associato al luogo del piacere, ottenendone il dominio.


Quelle poche volte in cui un post ha oggetto il genere maschile, quest'ultimo viene relegato offensivamente a figura sottomessa e mediocre: non più emancipazione femminile, ma una cieca ripicca con gli stessi metodi maschilisti nei confronti degli uomini.


Freeda è ovviamente solo un esempio di quegli atteggiamenti pseudofemministi che rivediamo anche in altri media, dalla tv (la pupa e il secchione, il monologo di Diletta Leotta a Sanremo ecc.) a giornali (esempi qui e qui) e in tanti altri settori.


Disuguaglianze impensabili:


Ottenere l'uguaglianza tra uomo e donna passa anche attraverso la lotta a clichè e stereotipi di genere: smettiamola ad esempio di credere che la donna sia più portata per alcune cose piuttosto che altre o di pensare che alcuni lavori non facciano per lei.

Riprendiamo un caso esploso qualche anno fa, quello di un docente di fisica teorica dell’università di Pisa e del Cern (L'Organizzazione europea per la ricerca nucleare) tale Alessandro Strumia, che, come denunciò una sua collega su twitter, ha tenuto un seminario aperto affermando sostanzialmente che le donne sono meno brave nelle materie scientifiche, portando numeri e prove che vi assicuro, di scientifico non avevano nulla. Sconcertante, soprattutto perché evidentemente non hanno ancora comunicato a tale “professore” che il suo CEO e direttore generale dal 2016 è proprio una donna: Fabiola Gianotti, una delle donne a mio avviso più influenti e comunicative degli ultimi anni.


Consideriamo un altro campo, quello della musica.

"La ricerca di Nuovo Imaie, che ha analizzato 765.789 registrazioni, ha evidenziato che le parti maschili sono 2.590.938 contro le 229.60 femminili, ovvero il 91.85% di musicisti e cantanti uomini contro l'8,15% delle donne". (Fonte)

In un'intervista per Repubblica, Levante sottolinea come per le donne il mondo della musica sia sempre stato difficile, "è un problema culturale che è difficile affrontare. Quando pubblicai il video di Memo mia madre dovette difendermi su YouTube perché tanti uomini scrivevano: 'È lì solo perché è bella' oppure 'quanto ti fanno male le ginocchia' e quando ho avuto i primi successi dicevano 'è facile quando ti scopi Bloody Beetroots".

Nonostante questo, la contraddizione più grande sta nel notare che in realtà, da un punto di vista economico, la musica femminile incontra i gusti del mercato più di quella maschile, con un' efficacia superiore anche nelle stesse performance del music business, (sempre dalla ricerca del Nuovo Imaie; da un solo 7,44% di ruoli primari interpretati da donne il valore economico generato è più che doppio, pari al 16,78%). Quindi viene da chiedersi: perchè?

Qui il terzo report annuale “Inclusion in the Recording Studio?” realizzato dall’Annenberg Inclusion Initiative dell’University of Southern California:


Vediamo ora cosa invece mi fa tornare la fiducia nel genere umano e come combattere a mio avviso certi stereotipi di genere: la cultura e il vero femminismo.


Cultura Libera


Quando da piccoli ci ripetevano che studiare è bello ed è importante storcevamo un po’ il naso, perché di fare quei compiti proprio non ci andava. Col tempo capisci invece che tutto quello che studi è un dono, è il mezzo che ti permette di aprire gli occhi sul mondo, di avere un tuo pensiero critico su tutto ciò che ti circonda e di ragionare, la più bella dote che abbiamo mai avuto.


Una cultura libera e spassionata porta, a mio avviso, anche a rivedere stereotipi e ignoranze di genere, ecco perché c’è bisogno di più cultura dell'informazione in Italia. Sogno di vedere più pagine e giornali di vera informazione su argomenti come diritti (vediHuffpost donne), gender equality e donne. Sogno anche un mondo in cui certi argomenti vengano trattati a scuola, vengano insegnati. C’è bisogno di educazione alle diversità, educazione sessuale, educazione al rispetto per educare le generazioni future e sensibilizzarle su certi argomenti.


Esistono già esempi di cultura indipendente libera e che agisce in questo senso. Pensiamo all’educazione sessuale di MySecretCase o Valiziosa ("Testo səx toys e abbatto i tabù del səsso con malizia e ironia", niente di più efficace).


C’è bisogno di dire basta ai grembiulini rosa per le femmine e blu per i maschi, c’è bisogno di dire basta al “ma un figlio quando lo fai?” e al “dovresti vestirti più femminile”, e la cultura e l’informazione sono le nostre principali vie di fuga a tutto questo. Io ci credo ancora.


Lotta attiva alle disuguaglianze


Lo scorso anno è stata diffusa un'iniziativa che spiega benissimo cosa intendo per lotta attiva alle disuguaglianze:



Altra iniziativa interessante quella di shesaid.so e TikTok che lo scorso anno hanno dato il via ad una nuova partnership dedicando l’intero mese di marzo alle donne con una serie di Live Q&A e Mentor Moments con artiste, talenti e professioniste dell’industria musicale.


Anche attraverso l'arte e la scrittura si può e si deve dare il giusto appiglio di discussione riguardo l'emancipazione femminile, femminismo, gender gap e galassie intorno. Prendiamo il libro Fatma, della scrittrice saudita Raja Alem che prende la storia di una ragazza abitante alla Mecca costretta dalla famiglia ad un matrimonio combinato. Una storia che sembra lontana anni luce dalla nostra piccola realtà limitrofa ma che in realtà è dietro l'angolo. La protagonista, spinta all'esasperazione, si ribellerà al suo stato civile e il romanzo la accompagnerà in un racconto fantastico-immaginario di libertà. Qui un articolo del Fatto Quotidiano per scoprire meglio tutta la storia.


Tutti questi sono esempi positivi di lotta ai diritti per le donne. Parlare soltanto, come al solito, non basta. Servono movimenti veri, servono leggi che regolamentino l’aborto, servono leggi che tolgano l'iva agli assorbenti, serve lottare contro le mutilazioni genitali femminili e i matrimoni combinati come fa ad esempio Jaha Dukureh - ambasciatrice Onu in Africa - serve regolamentare gli stipendi non in base al proprio sesso, serve partecipazione attiva delle donne nella politica. C’è bisogno di sentire e conoscere i propri diritti.


Quest'anno però questo 8 marzo assume un valore particolarmente amaro ma ancor più significativo per la situazione mondiale che vede coinvolto il mondo intero. Sono tante le donne coinvolte in tante guerre, ultime le donne ucraine che per questa giornata si vedono costrette ad imbracciare armi e non fiori. In questa giornata di riflessione sui diritti diventa ancor più toccante il messaggio che lanciano via social per difendere non più la parità di genere ma il diritto alla vita e alla libertà: la follia della guerra. "L'8 marzo non ci serve, le donne ucraine ora sono in prima fila per paese".



Viva sempre chi non vede differenze ma opportunità.

Viva l’uguaglianza.



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