Perdersi di vista, come quelle domande che da adolescenti affollano nella testa ma a cui non riusciamo a trovare risposta o soluzione. 43.Nove, come le coordinate del posto dove si sono incontrati Cristiano, Elia (che ha poi abbandonato il progetto), Francesco e Filippo, decidendo di dare un profondo significato a quel momento, unendo le forze in un progetto indie-pop-folk con sfumature hip hop e blues, che gli è valso l'apertura dei concerti di Blanco e Chiello.
Un percorso, quello del gruppo versiliese, partito poco dopo la riapertura del lockdown, che li ha portati a fare riflessioni tutt'altro che superficiali, ad avere più domande che risposte. Ma alla fine una risposta l'hanno trovata, è il primo album, "Ho perso di vista me", uscito il 14 aprile per Teide Dischi - Ada Music. Il progetto è il tentativo di tre ragazzi, poco più che ventenni, di osservare un territorio sconosciuto: quello delle emozioni.
Attraverso 9 tracce prodotte sotto la guida di Bonnot, produttore noto per aver collaborato con Assalti Frontali, Colle Der Fomento e Inoki, i 43.Nove intraprendono un viaggio verso sé stessi, cercando di capire quello di cui hanno veramente bisogno, il senso profondo dell' "Essere umani", come la traccia che conclude il disco: "Essere umani, pensate davvero di essere umani, se quando ti parlo poi ti tocco la mano e tu la ritrai, nessun contatto ma davvero siamo esseri umani?" Vi lascio all'intervista!
Ciao ragazzi, parlatemi un po’ di voi, come vi siete conosciuti e com’è iniziata la vostra collaborazione nella musica?
Il nostro incontro è stato abbastanza casuale, il progetto 43.Nove è partito come duo ed è stato inventato da Cristiano ed Elia. Io (Francesco) e Filippo avevamo dato inizio a un altro progetto. Ci siamo incontrati a suonare nello stesso locale a Viareggio una sera e da lì abbiamo deciso di unire le forze.
Come mai la scelta di questo nome d’arte?
Il nome fa riferimento alla coordinata di latitudine del posto in cui ci siamo incontrati.
Il 14 aprile 2023 è uscito il vostro primo album, “Ho perso di vista me”, da cosa nasce il nome?
Nasce da una canzone, non a caso la Title track dell'album, alla quale in un secondo momento abbiamo attribuito un significato importante per noi, quello di perdersi di vista: si fa riferimento al caos che si vive nei momenti di adolescenza in cui ci facciamo troppe domande e molto spesso non siamo in grado di trovare delle risposte.
Siete soddisfatti di questo progetto, o ci sono delle tracce che, se poteste tornare indietro, togliereste o inserireste?
Abbiamo lavorato all'album mentre stavamo cambiando noi come persone e pure i 43.Nove. Ovviamente ci sono cose che vorremmo cambiare ma considerando che è la nostra prima opera possiamo ritenerci soddisfatti di questi brani sinceri.
Il vostro stile è molto particolare, riuscite a fondere pop e hip hop in maniera naturale, e all’interno delle vostre produzioni sono presenti molti strumenti diversi, che rimandano ad un cantautorato anni ’90. Quali sono le influenze musicali che vi hanno portato a questo risultato?
Crediamo che sia troppo presto per essere categorizzati, sicuramente le influenze si percepiscono. L'hip pop si sente grazie alle collaborazioni con musicisti di zona mentre la parte pop è forse la parte che più ci appartiene. Non mancano spunti legati al funk e al blues, siamo ancora in cerca di un’ identità musicale ben definita.
Come gestite il processo di scrittura e di composizione dei brani? Chi si occupa di cosa?
Le bozze, soprattutto i testi li scrive Cristiano, poi ci rinchiudiamo in sala prove o in studio da Alessio Capaccioli o Bonnot per stendere la canzone.
Mi incuriosisce molto l’inserimento del pianoforte nei vostri brani, secondo me dà un tocco molto “solenne” all’album, ed è un complimento! Per esempio, ascoltando “Castello”, ho immaginato di essere a teatro, con voi che suonate il pianoforte vestiti in giacca e cravatta, che cantate. Come nasce questo brano, e a chi è dedicato?
Il brano nasce in soggiorno al pianoforte, utilizzato come un’astronave per scappare via dalla solitudine che gli esseri umani creano per nascondersi e soffrire.
Uno dei vostri brani più forti è sicuramente “America”, dove unite al meglio una parte cantautoriale ad una parte più urban, con un flow niente male, elemento che ritorna spesso nei vostri lavori. Com’è nato questo brano?
Abbiamo scritto prima il ritornello, sempre nello stesso salotto, sempre con lo stesso pianoforte per poi concluderlo in studio. Siamo molto orgogliosi di "America".
Un altro pezzo molto intenso è “Ho perso di vista me”, che dà il titolo all’album. Nel ritornello c’è la frase “E tu perditi, dove il punto di vista finisce”, che cosa vuol dire?
vuol dire che devi lasciarti andare. Vuol dire che è normale avere paura dell'ignoto ma abbiamo bisogno di accoglierlo e vivere tutte le esperienze della vita in tutte le forme che ci può offrire.
Nell’album sono presenti alcune collaborazioni, come sono nate?
Amicizia e stima reciproca, sono musicisti di Viareggio.
Prossime date live? Dove potremo venirvi ad ascoltare?
Ci troverete
- Sabato 3 giugno al chroma festival a Bastia Umbra
- Sabato 9 giugno all'ateneika di Cagliari
- Domenica 18 giugno al BAM a Milano
- Martedì 15 agosto allo Sziget festival a Budapest
Qual è l’artista di cui più preferireste aprire un concerto?
Paolo Nutini
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