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"Xenoverso", un disco oltre il disco: il capolavoro fantascientifico di Rancore - Recensione

“Xenoverso”, uscito lo scorso 15 aprile per Capitol/Universal, è il quinto album di Rancore. Anticipato dalla trilogia di brani “Lontano 2036”, “X Agosto 2048” e “Arakno 2100”, “Xenoverso” è il nuovo capolavoro del rapper romano che concepisce un viaggio fantascientifico tra le dimensioni, sfidando i concetti di spazio e tempo, realtà e finzione.


Ho pensato molto a come rendere giustizia a questo disco. Mi sono interrogata, più volte, sul mio essere autorizzata o meno a farlo. Rancore, nella sua unicità, è comunque un artista rap, e il rap non è propriamente il mio campo. Ma poi ho realizzato che scrivere di “Xenoverso” non è semplicemente scrivere di un album; è parlare di un mondo che va oltre il genere, oltre la musica, oltre lo stile – oltre tutto.


Quando si ascolta “Xenoverso” non si preme play; si sale a bordo. È un disco che rompe il concetto di disco. Ne infrange le regole per assemblarle a suo piacimento, come meglio crede, per cucirle perfettamente addosso a questa storia. È un lavoro curato nei minimi dettagli in cui Rancore, nome d’arte di Tarek Iurcich, crea un mondo tutto suo, fatto di personaggi, animali, piante, luoghi, suoni, guerre e rivolte. Di messaggeri, chiamati cronosurfisti, che a bordo delle loro navi hanno il compito di viaggiare oltre le realtà di confine per consegnare delle lettere. L’obiettivo di queste consegne? Ottenere la pace tra universo e xenoverso, attraverso le parole, i versi, la comunicazione, unico veicolo per fermare il conflitto.


Vi gira già la testa, vero? Lo sappiamo. Per riuscire a muoverci più agilmente tra i meandri di questo album, però, possiamo partire dalla fine. Da “Io non sono io”, la diciassettesima traccia, che inizia così:


“Avere un motivo per fare la musica che si fa, avere qualcosa da raccontare e non un motivo che sia fine a sé stesso ma un motivo che vada oltre sé stesso, è un po’ quella la mia luce. La musica che porto cerca di non limitarsi nella complessità” (da “Io non sono io”)

È l’ultimo pezzo del disco, ma ne è la chiave di lettura. O meglio, è quella lanterna che ci permette di illuminare il resto delle track, e di riuscire a farci strada fra di esse senza perderci o inciampare. Rancore è di certo andato oltre sé stesso e non ha posto alcun paletto alla complessità creando un prodotto del genere. Ma ha anche fatto e continua a fare di tutto per accompagnarci nella sua comprensione: visual art per ogni brano, foto e disegni creati ad hoc, addirittura un portale che spiega più nel dettaglio questo album-mondo le cui fattezze sono a metà tra un videogioco, Matrix, il desertico Mad Max e un cartone dei primi anni duemila, Il Pianeta del Tesoro. A rafforzare questa immagine sono le sonorità potentissime con effetto tra techno-tribale, una cifra stilistica che si ripete spesso negli universi distopici e che è stata ottenuta grazie alla produzione di Meiden, Jano, Michelangelo, Davide Simonetta, Dade e Dangelo.



Un altro modo per non perdersi troppo è mettere in fila le cose, perciò andiamo per ordine, pezzo per pezzo: partiamo da “Ombra”, dove ci viene presentato il primo personaggio dello xenoverso; un oscuro disegnatore che ci segue copiando continuamente la nostra sagoma. Poi c’è “Freccia”, che rappresenta la connessione con l’album precedente: le percussioni tribali accompagnate da arpeggi delicati vibrano per tutto il brano (da eugubina, poi, sono moralmente obbligata a fare uno shoutout al lupo di Gubbio). “I tuoi limiti uno per uno li infrangi tutti”, canta Rancore, e di certo lo fa, proprio come un dardo che senza resistenze trapassa un ostacolo dopo l’altro. L’arco è stato teso con “Musica per bambini” (2018), e la freccia scoccata in questo ultimo lavoro (più avanti vi svelo perché, tenete duro).


“Freccia” è seguita da “Federico”: una rilettura horror-splatter della storia e della filosofia, dove i più grandi pensatori, antichi e moderni, resuscitano in versione zombie. Tarek Iurcich è insieme a un suo amico – Federico, appunto, che alla fine del pezzo si scopre essere nient’altro che Friederich Nietzsche, e da compagno diventa la causa di questa invasione di morti-viventi. Armato di rabbia e martello, Rancore li fa fuori uno per uno, per fare tabula rasa e lasciare spazio a una nuova interpretazione della realtà libera da ogni vincolo obsoleto. Qui il sound è meno tribale e più bizzarro, inquietante e metallico, come di un vecchio clavicembalo.


“Guardie&Ladri” vede il featuring di Nayt, che arricchisce il pezzo con il suo modo di rappare con voce delicata, inconfondibile e un po’ bambina, nonostante dica cose tutt’altro che leggere. Se a un primo ascolto può sembrare che il brano esca dallo xenoverso per concentrarsi sul mondo reale del rap e della droga, in realtà c’è dentro fino al collo. Si parla di dipendenze, ma la metafora è comunque quella delle parole e della “Guerra dei Versi”:


“Siamo come spacciatori, pezzi di canzoni sillabe nel cellophane e nomi che indosso ci metto l’apostrofo ed uso l’inchiostro di taglio diverso da dettaglio ad ingrosso” (da “Guardie&Ladri”)

Il primo skit, “Cronosurfisti”, è la chiave di volta del disco, il suo ingresso effettivo e tangibile nello xenoverso, ed è uno dei tanti modi di Tarek Iurcich di darci una mano a capire. Ed ecco la spiegazione che ho promesso prima: lo skit inizia menzionando due lettere mancanti. Queste sono “Sangue di Drago” e “Quando piove”, entrambe contenute nel disco precedente, e che come ha confermato Rancore “arrivano dal futuro e sono state rubate e riportate nel passato” per esservi inserite. L'idea dello xenoverso, infatti, ha iniziato a germogliare già nel 2018, e lo testimoniano le due piccole pergamene disegnate accanto alle tracce cinque e nove, nella copia fisica di "Musica per bambini". Nonostante la distanza temporale, “Sangue di Drago” sembra per sonorità e temi strettamente connessa a “Freccia”; “Quando piove”, invece, è una chiara descrizione di come nascono le navi dei cronosurfisti (spoiler: annaffiandole come alberi). A questo punto, sinceramente, non mi stupirei se Rancore avesse davvero viaggiato nel tempo.


Nello skit conversa direttamente con la sua nave, chiamata 507, e introduce i tre brani che seguiranno, che corrispondono esattamente ai tre messaggi che dovrà consegnare: il primo è “Lontano 2036”, una lettera d’amore scritta da un soldato durante la “Guerra dei Versi”, dove si viaggia tra i piani e le dimensioni spazio-temporali, e dove la terza guerra mondiale viene paragonata a una guerra interiore.



La seconda lettera è “X Agosto 2048”, e siamo già nel dopoguerra: a scrivere è un padre, un “angelo netturbino” che è stato mandato nello spazio per raccogliere i pericolosi detriti disseminati post-conflitto. Nel messaggio, il padre cerca di spiegare al figlio che non lo ha abbandonato, e che è lassù per il bene di tutti. “Lacrime su lacrime”, ripete Rancore, e la lacrima è davvero assicurata. Perché in questo pezzo la poesia di Giovanni Pascoli – rappata per intero – assume un significato del tutto nuovo: l’abbiamo sentita centinaia di volte, magari recitata con un tono neutro. E magari, ascoltandola, abbiamo pure sbadigliato. Ma con la rabbia e il dolore infusi in questa versione ti spacca a metà e ti fa dire ah, ecco. Ecco che cosa significa davvero.


L’ultimo pezzo di questa trilogia è “Arakno 2100”: un brano potentissimo e trascinante, dalle sfumature metal, dove il bassista dà il meglio di sé. La storia è quella di AraknoBoy, un droid anarchico con le sembianze di un gigantesco ragno progettato da un gruppo di hacker. Il mittente di questa terza e ultima lettera è sconosciuto, ma spiega la rivolta del 2100: Arakno, costruito con i materiali forniti dai netturbini spaziali, aveva il compito di liberare il mondo dalla dittatura mentale della rete creata dal “Grande Telaio”, che teneva collegati e sotto scacco tutti gli esseri umani, controllandone ogni pensiero. La cosa particolare di questo inquietante essere è la sua anima: quella di un ragazzo umano, con sentimenti ed emozioni come tutti e, guarda caso, con cappello e cappuccio.


Passiamo al secondo skit, “Guerra dei Versi”, in cui Rancore parla con un altro cronosurfista (la voce è di Claudio Conti) durante una pausa dal suo viaggio. È bellissima l’immagine del mondo a due dimensioni dove abitano le parole, che fanno di tutto per arrivare al proprio scrittore o scrittrice e prendere vita:


"Aspetta, guarda questa pagina, è un mondo a due dimensioni, no? Credi che le parole scritte su un foglio, ad esempio, non abbiano una vita, una società, dei sogni?" "Ma sta dicendo veramente?" "Certo, chiedi a qualunque scrittore del mondo se non ha mai avuto l'impressione che le parole si scrivessero da sole a volte. Ebbene, quello è il momento in cui le parole stesse stanno sognando di arrivare a lui" (da “Guerra dei Versi (Skit)”)

Un concetto approfondito in “Le Rime (Gara tra 507 parole)”, il brano che segue, dove le parole sono descritte come una vera società fatta di amori e di rotture. Inutile dire che il testo è composto precisamente da 507 parole (per chi non ci crede, abbiamo le prove).


In “Fantasia” c’è il germoglio di questo disco, la sua genesi prima della sua esistenza. Parla allo stesso tempo dello xenoverso e di come questa idea sia nata, intrecciando la vera storia di Rancore con quella da lui inventata.


Con “Ignoranze Funebri”, “Eden” (feat. Dardust, che nel 2020 è valsa a Rancore la vittoria del premio Sergio Bardotti per il miglior testo), ed “Equatore” torniamo in universo: il feat. con Margherita Vicario esce dalla comfort zone del rapper per spostarsi verso il pop; “Eden” è un misto di citazioni di quadri e mitologia; “Ignoranze Funebri”, invece, è una fotografia della nostra realtà attuale, e ci ricorda quanto non ci sia davvero bisogno di leggere un romanzo distopico per avere i brividi; basta guardarsi intorno.


“Xenoverso”, il quindicesimo brano, è un po’ il riassunto della storia e della "Guerra dei Versi", mescolato alla Divina Commedia. Rancore è il primo ad ammettere di non sapere esattamente che cosa sia questo xenoverso, di non saperlo completamente descrivere, essendo per definizione tutto ciò che non possiamo vedere. Si concentra anche sul cambiamento della società da comunitaria a singola, dai discorsi fatti davanti a un fuoco a quelli online, nello spazio di un tweet. Lo xenoverso e il concetto del “Grande Telaio”, infatti, sono distopici; ma ogni distopia ha uno stretto legame con la realtà, e l’immagine di una rete che ci tiene tutti connessi e controllati, alla fine, non è davvero un concetto così fantasioso.


Prima di tirare le somme di questo densissimo lavoro con “Io non sono io”, Rancore fa pace con sé stesso e con il mondo, xeno e non, attraverso “Questa cosa che io ho scritto mi piace”. Fa pace anche con il fatto che è un outsider; e qui lo xenoverso più che un’idea fantascientifica testimonia che, per il rapper, sia una realtà quotidiana. Un pezzo più rilassato rispetto agli altri, dove il rapper romano distende i muscoli, ci fa prendere fiato, e in qualche modo si complimenta con sé stesso, ammirando il lavoro che ha creato.



Concludo così: più questo disco si ascolta, più sbucano dettagli nuovi. Altri, invece, rimangono nascosti – forse fino al prossimo ascolto, forse solo ad alcuni, forse per sempre. Questo non è un male, anzi: è la cifra di questo lavoro artistico. Perché lo xenoverso rappresenta tutto ciò che è invisibile, che sussurra alla nostra percezione ma rifugge il nostro sguardo. A questa ineffabilità bisogna arrendersi, celebrarla. Le cose migliori sono quelle che non si possono mai del tutto svelare.


Magari, nello xenoverso, esistono delle xeno-recensioni che ne sanno più di questa. Chissà. In attesa di scoprirlo, noi a Rancore facciamo chapeau.



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