top of page

Parlaci d'amore, Amalfitano!: l'intervista sul nuovo album

Un viaggio sonoro sperimentale nei meandri del cantautorato italiano, lunghi anni di gavetta insieme ai Joe Victor, i ritocchi dei produttori Francesco Bianconi e Ivan A. Rossi danno vita a “Tienimi la mano, Diva!”, il secondo album di Amalfitano pubblicato il 22 marzo per Flamingo Management. In questo lavoro, i classicismi tematici, letterari e musicali vengono descritti in chiave originale e moderna.


Perfino un argomento sviscerato per secoli come l’amore, viene associato al concetto di bellezza e trattato da una prospettiva nuova. La parte oscura e travolgente al tempo stesso del sentimento più discusso del mondo dell’arte viene osservata da vicino, tanto da fondere soggettività e analisi. Un'idea coerente si associa spontaneamente ad una struttura preimpostata, ad un progetto schematizzato e poi sviluppato, ma "Tienimi la mano, Diva!" è tutt'altro: è un lavoro spontaneo e vissuto. Amalfitano ci descrive meglio il suo processo di scrittura:



Partiamo dal concept del disco: “è dedicato al lato demoniaco della bellezza e all'amore”; cos’hanno in comune questi due elementi?

Faccio un esempio: anticamente, la dea della bellezza e la dea dell’amore erano la stessa persona, tipo Afrodite. Da sempre si accomunano, i tratti dell’amore vengono descritti con i tratti della bellezza e la bellezza ci fa innamorare. Sono univoci in un certo senso. Il problema è che spesso hanno un lato negativo e non solo positivo. Non sempre l’amore che scandisce la bellezza è un amore vero, ma è un amore distruttivo, autodistruttivo, è quasi un incantesimo, una stregoneria.


Come mai hai scelto proprio il termine “diva” per il titolo?

È da un po’ di anni che mi piace tantissimo la letteratura antica. Gli antichi, le persone, una volta, prima di fare un componimento artistico, chiedevano aiuto alle muse o alle divinità. L’ho ripreso banalmente da: “Cantami, o diva, del Pelìde Achille l'ira funesta che infiniti addusse” dell’Iliade di Omero


Quanto è stato difficile trattare e approfondire un tema così sdoganato come l’amore?

Non ho fatto un pensiero precedente, uno non scrive le canzoni dicendo: “oddio, questo tema è stato trattato troppo quindi è meglio di no”. Semplicemente è il mio modo per spiegarlo. Poi, vedendo che lo raccontavo in questo senso, nel suo lato negativo (spesso se ne parla solo nel lato positivo), mi sono sentito ancora più tranquillo. Non si fanno le canzoni pre-pensate, insomma, magari ci pensi dopo.


"Un luogo simile a un insieme di emozioni fuori misura, dove tutto il resto sono solo scuse della gente.": in che cosa consistono le scuse della gente? Da cosa sono mosse?

Ci sono alcuni poeti, come per esempio Shakespeare…non voglio scomodare persone così grosse, però, in alcuni suoi testi, si vede molto bene quando la bellezza è talmente potente da creare invidia in qualcuno e quindi si creano delle scuse per tentare di reggere il confronto. Certe cose, anche intangibili, sono talmente reali e talmente vere che, per cercare di evitarle, uno crea delle scuse, un contesto: “Sì, quella cosa mi ha fatto del male, ma perché c’era quel contesto”. Sono tutte scuse: i contesti, quando vengono detti, quando vengono raccontati, sono solo scuse per non sentire questo peso. Alla fine, è come se fosse un potere.


In riferimento alla terza traccia del disco, cos’è per te la tenerezza? Come si lega a questo lato demoniaco dell’amore?

La tenerezza, praticamente, la trovo in questa situazione un po’ demoniaca, un po’ atroce. Se “sposti la telecamera in alto”, la nostra situazione è tenera. Nel ritornello dico: “questa stronza è una domanda che mi commuove perché è sincera…”, uso l’insulto per dire: “Mamma mia, questa stronza!”. “Lei” è una che mi commuove perché non riesco a capirla, è sincera e mi spezza il suo essere sincera, la sua bellezza, e tutta questa cosa, sanno di tenerezza. La tua condizione, da fuori, non è così brutta: diventa tenera.


Un disco dedicato all'apice dei vent'anni, all'invidia dei trenta, alla nausea dei quaranta.”: quanto cambia la prospettiva, da autore, sull’amore cambia nel corso della vita?

Non posso parlare per altri, dal mio punto di vista, ho cercato di avere una visione oggettiva di quello che ho vissuto, oggettiva per la mia soggettività. I vent’anni non li vivi, sono un proiettile. Invece, i tenta sono l’invidia di quel proiettile che sei stato e i quaranta sono la nausea. Non vorrei che fosse così la vita, la realtà. Però, percepisci questa invidia verso il passato e ti nausea il fatto di dover arrivare magari in un luogo dove ti dimentichi di quando ti sei riguardato indietro. Spero che non sia così, è una citazione "di sensibilità" più che filosofica.



Come mai hai scelto di pubblicare insieme “E…ancora tu” e “Quanto dolore ci servirà per smettere d’amare” insieme? Hanno un legame?

No, il disco non è un concept, non è stato pre-pensato. Le canzoni sono state scritte tutte in un unico anno e sono tutte legate da questo tema. Tranne “Fosforo”, ogni canzone poteva andare “a coppia”. Soprattutto “Tenerezza”, “E…ancora tu” e “Quanto dolore ci servirà per smettere d’amare hanno questo tema molto forte. In realtà, avrei dovuto fare una scelta, anche banale, per non fare uscire troppi singoli, quindi ne ho fatti uscire due. Secondo me, è bella anche l’idea del vecchio 45 giri, lato A lato B, sapendo bene che una avrà più risalto dell’altra. Non c’è un motivo prettamente artistico dietro questa scelta.


In “Lisbona” dici “te che non mi fai cantare mai”; questo verso è legato in qualche modo a “Maddalena”?

Sì, come dicevo, la bellezza ha un aspetto demoniaco che subiamo e che, magari, cerchiamo di ricreare. Mentre in “Maddalena” sono io lo stregone che crea la bellezza cantando, in questo disco sono totalmente preso, invaso, o almeno ho visto la situazione in quel modo mentre la vivevo. “Tu non mi fai cantare mai”: non mi fai ribattere, non riesco, mi hai vinto.


Ne “Il disco di Palermo” il bar ha assunto un ruolo rilevante; quale luogo assoceresti a “Tienimi la mano, Diva!”?

Il luogo di questo album è la parte clandestina del periodo della pandemia in cui i bar non c’erano, quindi non li potevo raccontare. Parecchie persone hanno vissuto situazioni clandestine in cui non si rispettava il coprifuoco e queste canzoni nascono proprio da queste situazioni che speriamo non si ripeteranno più. Magari era casa di uno, magari era un negozio che apriva e creava situazioni: non-luoghi in cui si cercava di vivere.



bottom of page