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L'idea irrealizzabile di Nico Arezzo: l'album d'esordio "Non c'è mare" - Recensione

"Oggi, 29 maggio, […] mi è venuta un’idea irrealizzabile, sia per quanto riguarda il tempo, sia per quanto riguarda i costi": così si apre il primo episodio dell'"Album Vlog" con cui Nico Arezzo, ragusano classe ’98, ha voluto raccontare la lavorazione del suo primo disco. L’idea a cui fa riferimento è questa: prendersi un paio di settimane per ultimare i pezzi in studio, radunare una squadra di musicisti e videomaker e poi trovare "un posto bello, che non so quale sia" in Sicilia per registrare con la band e riprendere il tutto.



Finalmente, a un anno da quella data, si può dire che quell’idea all’apparenza irrealizzabile si sia concretizzata a pieno: lo scorso 17 maggio, infatti, ha visto la luce "Non c'è mare" (Artist First). "Dovessi scomparire, sono sicuro che chiunque riuscirebbe a conoscermi tramite questo album", ha raccontato Nico nell’affidare il suo lavoro d’esordio alle piattaforme e agli ascoltatori. E in effetti, ascoltando "Non c'è mare", la sensazione è quella di trovarsi di fronte a un lavoro sincero, coeso, testimonianza di una riuscita ricerca sonora e di una precisa consapevolezza artistica del suo autore; tutti elementi che, probabilmente, hanno contribuito a convincere il comitato artistico di Musicultura ad inserire il cantautore nella rosa dei 18 finalisti dell’edizione in corso.


Alla più classica (e fuori moda) delle domande "è più importante la musica o il testo?" verrebbe da rispondere, ascoltando i 13 brani che compongono la tracklist: la musica, è ovvio. E questo perché le tracce di "Non c’è mare" sono magnetiche e soleggiate come solo il funky sa essere, rese dense da un groove che fa muovere il collo e tinteggiate da ritornelli elegantemente catchy, non senza passare attraverso episodi più malinconici e amari ma ugualmente riusciti ("Vicoli di sale", "Non c’è mare"). Insomma, queste canzoni hanno tutte le carte in regola per rimanere fisse in testa già dopo pochi ascolti e per essere canticchiate ripetutamente e ad ogni ora del giorno.


Nico Arezzo

Eppure, se è vero che, almeno in buona parte dei pezzi, sono la musica e le ritmiche a farla da padrone e a distinguersi con maggiore slancio durante i primi ascolti, non meno interessanti sono la ricerca testuale e la spiccata personalità delle lyrics (“Le parole sono importanti”, avverte il cantautore nella prima strofa di "Goccia goccia"). La scrittura del musicista siciliano è estremamente contemporanea e schietta, e riesce ad essere incisiva senza lasciarsi impolverare da patine e ridondanze: pur spaziando tra sensazioni, atmosfere e ambientazioni diverse, la penna di Nico si rivela poco interessata a farsi portavoce ed interprete di grandi tematiche universali, e trova invece il suo luogo d’elezione tra i piccoli particolari, gli oggetti quotidiani e i gesti apparentemente più casuali.


Manifesto di questa propensione a scrivere canzoni come fossero lenti d’ingrandimento è "Spazzolino" – uno degli episodi più brillanti dell’album, grazie anche al prezioso contributo dato da Emma Nolde –, dove l’oggetto consueto e domestico del titolo diventa simbolo di uno spazio da conquistare nella vita dell’altro e di una progettualità condivisa da costruire.


"Ho comprato una cosa che Non avrei pensato mai di comprare Una cosa che a casa mia c'è Ma a casa tua no [...] Uno spazzolino Chissà cosa penserai Quando mi vedrai alla porta Ci fai entrare o no? Mi sorridi o no?"

Un percorso simile si ha in "Zigomi", dove un fermo-immagine preciso – lui, a letto, che cerca di avvicinarsi al corpo di lei e di comprenderne intenzioni e movimenti – è il pretesto per indagare, in una ben collaudata collaborazione con Davide Shorty, le prime fasi di una conoscenza e la scoperta dell’intimità con l’altro.


"Ritorno alle prime volte in cui a letto non ero più solo e guadagnavo spazio Passo dopo passo il lenzuolo si faceva più piccolo ed io più timido Deliziosamente ridicolo Pensiero fisso 'Nico stai esagerando' quando fisso lei non aspettava altro"

Se il progetto d’esordio del musicista ragusano è affollato di campi ravvicinati, dettagli visivi e sguardi che gradualmente allargano l’inquadratura, è però anche vero che alla ricchezza delle immagini corrisponde una varietà di ambientazioni e di luoghi entro cui l'"io" cantato nei pezzi continuamente si muove, interagisce e si trasforma. "Non c’è mare" inizia nella Bologna che ha accolto Nico nella sua vita da fuorisede, tra i tavolini di un bar e i gin tonic serali dei cui postumi si tiene traccia in "Teste di nicchia"; poi, come in cerca di un costante equilibrio tra le cose di tutti i giorni, i brani che seguono raccontano di un filo invisibile e resistente che tiene collegate Bologna e la Sicilia (la distanza dal mare e dalla città natale fa della title-track l’episodio più nostalgico dell’album), di un concetto di "casa" da ricostruire e in cui riconoscersi ("Casa nuova"), di scelte sbagliate e contrasti interiori (da cui scaturisce la "voglia di prendersi a cazzotti" di "Goccia goccia") e di rapporti tra cui districarsi ("Ti voglio bere").


"Ho cambiato forma come fossi acqua Sulla faccia neanche una goccia Ho cambiato forma come fossi sabbia Casa mia adesso è ovunque tu voglia che stia" (da "Ho cambiato forma")

Nico Arezzo

 

Come un cerchio che si chiude, il finale del disco ci riporta nella terra natale del cantautore, che in "Nicareddu", proposta in un’intensa versione dal vivo registrata a Cava Gonfalone (Ragusa), riabbraccia la dimensione acustica e regala una performance vocale di un pregio finora inedito nell’album. Niente a che vedere con quanto ascoltato fin qui: il brano conclusivo si discosta totalmente dalle tracce precedenti, e ciò è chiarissimo sin dai suoi primi secondi, dove un vocalizzo delicato e suggestivo (che sembra provenire da un altrove indefinito) cala repentinamente l’ascoltatore in una dimensione inaspettata e ammaliante.


Così, scegliendo di cantare in dialetto e giocando ad inventare una leggenda contemporanea che – a metà strada tra la tradizione e l’autobiografia – parla di partenze, di ritorni e del diventare grandi, Nico sembra ritrovare il suo legame con le origini e reclamare un senso di appartenenza per raccontarsi, ancora una volta, con sincerità.




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