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L'opera prima di Montag, artigiano della parola: "Dati" raccontata in video intervista

C'era una volta l'Ohibò, un posto magico a Milano dove la musica italiana e internazionale scorrevano incessantemente tenendo standard di qualità notevoli, sia tra le nuove scoperte che tra gli artisti già affermati passati da quel palco (da Calcutta a Julien Baker passando per Green Day e nothing,nowhere). Fu in quel contesto fertile e vivissimo che conobbi dal vivo Montag, che fino ad allora conoscevo solo per mezzo della sua pagina Spotify, avendo avidamente consumato ciascuna delle quattro tracce che componevano il suo omonimo EP d'esordio. Correva l'anno 2017.


Da allora molte cose sono cambiate, 5 anni sono passati e quel giovanotto che cantava di amori perduti tra iconiche piazze milanesi e drammi adolescenziali in questi giorni ha partorito la sua prima vera creatura, "Dati" (La Tempesta dischi). Un disco profondo, denso e con la testa fra le nuvole (pun intended). Un disco che tratta di incomunicabilità, amore, futuro e sogni infranti incastrato in una cornice quasi distopica in cui i dati sono causa e rimedio di tutti i problemi piccoli e grandi che attanagliano la nostra quotidianità.


Per questo la conversazione che segue (+ una versione speciale e acustica di "Beatrice") è tanto fondamentale per capire fino in fondo cosa si cela dietro l'opera prima di uno dei cantautori più autentici e distintivi di questa generazione, che fa della parola esattamente ciò che vuole, dandogli forma e significato con destrezza e precisione chirurgica.



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