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"Extended" dei Modeselektor: un estasiante giro a Berlino - Sunday Vision

di Titti Battista.


Questa domenica il nostro Sunday Vision vola a Berlino, per scoprire la musica elettronica del duo tedesco Modeselektor, che tornano a due anni di distanza dal loro ultimo lavoro con un album che rievoca tutte le sonorità della club culture underground berlinese.

Il clubbing, a dispetto di quanto ne dicano e pensano tanti, è una cultura, per molti un vero e proprio culto, sul quale si è sviluppata e continua sempre ad evolvere tutta la scena techno di Berlino, capitale europea per antonomasia dell’elettronica. Gernot Bronsert e Sebastian Szary creano e elaborano, durante il funesto periodo di clausura forzata che è stato quasi tutto il 2020, un album composto da 27 tracce, il quale suona come un vero e proprio dj set dal vivo: si può quasi sognare, chiudendo gli occhi e sentirlo echeggiare percorrendo il tunnel del Tresor…oppure tuonare attraverso le vetrate del Berghain, mentre sei in fila speranzoso di non essere rimbalzato per l’ennesima volta.


Il progetto vede le features di Paul St. Hilarie e di Jackson & His Computer Band, e si tratta di un’anticipazione, un assaggio dei futuri progetti del duo berlinese, tra i quali troviamo anche la realizzazione del lungometraggio Work e un nuovo Ep Mean Friend, uscito lo scorso venerdì 23, che prende spunto proprio dalla traccia Mean di Extended. L’album costituisce così un perfetto mixtape, nel quale i brani suonano per un totale di 64 minuti circa uno dietro l’altro, senza alcuna interruzione, senza che vi sia quasi mai uno stacco netto tra l’uno e l’altro, come un vero live set e spesso non ci si accorge neanche quando un pezzo termina ed inizia il successivo.



Si passa da un sound techno con sonorità quasi tribal del primo brano Minibus, che prosegue anche nei successivi due pezzi Dentist e Sekt um 12, ad una traccia che oserei definire folktronica quale Tacken, che rievoca a tratti lo stile di Kieran Hebden (aka Four Tet), per poi tornare alla grinta techno di Mean. Di nuovo si cambia e si passa ad un brano ambient, lento e quasi cupo: Movement. Lockdown è la penultima traccia, nonché la più lunga (6 min. e 39 sec.) di tutto l’album: si sente all’inizio del brano un cuore che batte, per poi proseguire per tutta la durata con suoni tetri e oscuri, che rendono perfettamente la sensazione di ansia vissuta l’anno scorso all’inizio dell’incubo chiamato covid.


Il disco si chiude infine con il brano Devotion is Such a Strong Word, che lascia invece una sensazione di speranza, di luce che si intravede in fondo al tunnel. Quest’album ci regala un continuo crescendo di emozioni e sonorità che dopo un anno di stasi, di immobilità, creano un turbinio diverso di sensazioni, sia positive che negative. Ascoltando il disco si avverte quella frenesia che comincia dal basso e ti pervade: vorresti ballare, saltare, agitarti insieme ad altri corpi palpitanti che si muovono con te, scambiandoti reciprocamente energie e vibrazioni. Poi ritorni all’amara realtà e pensi che purtroppo ancora non si ha la certezza di quando potremmo tornare a fare ciò che era, fino a poco più di un anno fa, una straordinaria normalità.



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