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Atterrare in una nuova vita dall'altra parte del mondo: ecco "Moonlanded" di Birthh - Intervista

Dalla toscana agli Stati Uniti, precisamente a New York, attraverso un viaggio fatto non solo di accettazione di se ma di superamento dei propri limiti, delle proprie paure: è questo (e molto altro) "Moonlanded" (Carosello Records), terzo album in studio di Birthh, eclettica cantautrice sempre alla ricerca di nuove forme di bellezza da imprimere nella propria musica.


«Avverto con grande intensità sia il trionfo del sentirmi viva che l’estenuante fatica del dover sopravvivere. Simultaneamente. Di riflesso, questo album contiene la forza di gravità che mi trattiene attaccata alla Terra, ma anche i sogni con cui evado da essa».

All'alba di un mattino a Brooklyn, le abbiamo chiesto di raccontarci cosa significa atterrare in una nuova vita dall'altra parte del mondo.



Ciao Alice, piacere ancora di conoscerti. Intanto auguri per il nuovo album, finalmente fuori. “Moonlanded”: volevo iniziare proprio da questo per chiederti un'esegesi di questo titolo: moonlanded come un atterraggio in una nuova vita?


Assolutamente sì, per me la luna è proprio l’essere venuta qua a New York, l'aver fatto scelte, passi importanti per la mia vita, costruire il mio studio qua, nel mio appartamento a Brooklyn che si chiama Moonbase e tutte queste scelte diciamo che poi stanno contraddistinguendo quando periodo della mia vita e questa mia metà dei 20 anni.


Un album questo che ti ha cambiato la vita. In che modo?


In tanti modi: è sia un album che mi ha cambiato la vita, sia un album che viene fuori dal cambio di vita. È stato un modo per me di processare le mie le mie emozioni, le mie sensazioni e il modo in cui l'ho fatto. È stato diverso rispetto a qualsiasi altra cosa che io avessi mai fatto a livello musicale, anche perché è stata una collaborazione importante quella che ho fatto con London O’Connor, che è un personaggio veramente unico che mi ha insegnato tanto sul tipo di rapporto che un cantautore può avere con la canzone e appunto, come dicevo prima, per me è stato è stato molto terapia, tutti i brani sono stati poi conversazioni che io ho avuto con me stessa e tramite appunto queste conversazioni sono riuscita a processare molte cose che stavano accadendo. Scegliere di trasferirmi qui in un periodo come il 2020, senza avere piani e stando lontana dalla famiglia e in un posto in cui comunque lo shock culturale è pazzesco. Questo album è stato molto centrale per me e mi ha anche dato degli strumenti emotivi necessari per poter affrontare queste cose più o meno con serenità o perlomeno con un certo tipo di sicurezza che qualsiasi cosa che io stessi provando andava bene perché potevo comunque tramutarlo in musica e tramutarlo in bellezza.


Al di là del cambio vita che c'è stato e ci sarebbe stato trasferendosi in qualsiasi altro posto, pensi che gli Stati Uniti ti abbiano in qualche modo aiutato a scrivere questo album o che magari siano stati addirittura l’esatto protagonista di questo album, che magari sarebbe stato molto diverso se non fossi poi approdata qui?


Assolutamente sì. penso poi che New York in particolare sia una città con un'energia molto precisa e un'energia che ha voglia di novità, ha voglia di sperimentare, di cose nuove. Si sente proprio qua in giro, c'è un certo tipo di spinta proprio nel provare ad andare oltre i confini creativi. Una città veramente matta e trasgressiva sotto tanti punti di vista. Senza dubbio mi sono sentita libera di poter fare dei salti molto importanti, sapendo che comunque la rete di New York c'era a sorreggermi ecco, e in più ovviamente New York è anche proprio parte integrante del disco, perché comunque siamo andati in giro, abbiamo preso dei sample dal treno, dalla strada, dalla città, dalle persone, abbiamo proprio fatto dei beat tramite questi sample qua, quindi c'è sia il spirito sia in modo pratico a livello sonoro.


Cosa c'è in “Moonlanded” che quando hai scritto “Woah” non immaginavi nemmeno ci potesse essere?


Ci sono delle canzoni: ovviamente ce ne sono anche in “Woah”, ma era un disco un po' irrisolto di natura, perché io comunque ero molto irrisolta di natura in quel periodo lì: avevo molte domande che mi stavo facendo, molte domande su cosa volessi fare nella vita, come lo volessi fare. Ovviamente l'inizio dei vent'anni è un periodo molto particolare per gli esseri umani, almeno lo è stato per me è. In “Moonlanded” ci sono risposte, penso sia un album più completo e questa cosa, secondo me, si sente anche proprio nella forma canzone. Non pensavo che avrei mai fatto così tanti brani con strofa-ritornello-strofa-ritornello-bridge-ritornello perché non che sia mai stata contro quella struttura in generale, ma sono sempre stata diciamo restia nel seguire le strutture perché “è così che devi fare le cose”. E invece proprio anche tramite questo disco e il lavoro con London, che ha fatto la scuola di Clive Davis, quindi con uno stampo estremamente molto più teorico e classico di me che di fatto sono autodidatta su molte cose, ho iniziato veramente a apprezzare la struttura nei brani e il fatto che quando hai una struttura hai veramente la possibilità di poter raccontare una storia con un filo conduttore forte. E c'è un tipo di accessibilità diverso, un tipo di universalità diversa. È il motivo per cui poi molte canzoni POP seguono determinate strutture. Poi è ovvio che alcune sono fatte perché ancora si pensa che ci sia solo quel modo lì di fare le cose. Ho un nuovo rispetto per la musica pop e per la struttura tramite questo disco che non mi sarei mai aspettata.


Un'altra cosa che mi ha incuriosito: apri il disco auspicandoti che diventerai qualcuno e comprerai casa a tua mamma, un concetto che torna spesso in canzoni di vari generi musicali, di varie epoche. Trovi sia curioso come poi si ripeta questo topic della casa per la mamma come simbolo del successo, è questo che potrebbe rappresentare il successo, il “farcela”?


Sì, penso che sia un simbolo, non solo del potermi prendere cura di me stessa tramite la mia musica, ma il poter sostenere anche la mia famiglia, le persone a cui voglio bene, le persone che mi hanno sostenuta. Però se ci penso alla fine mia mamma, per esempio, non ha neanche avuto la possibilità di fare il liceo. Lei ha finito la scuola alle medie, poi è andata a lavorare subito e ci sono tante cose di cui si è dovuta privare. Tanti sacrifici che ha dovuto fare per potermi dare una vita che mi permettesse di seguire i miei sogni e devo molto ai suoi sacrifici e alla fin fine, per quanto cliché possa essere, spero veramente un giorno di poterla ripagare – anche se so che non ci sono aspettative – e di poterlo fare proprio appunto, come dicevo prima seguendo i miei sogni: quello è proprio una vincita pazzesca secondo me ed è per questo che è un è un'immagine così forte e così ripetuta, perché c'è un po’ l'idea che puoi fare qualsiasi cosa nella vita, però dall'altro lato siamo anche una generazione estremamente disillusa, il mondo è molto difficile, seguire i propri sogni molto spesso non porta a niente, no? È un po' lo scopo massimo della vita quello di poter essere te stesso, di poterlo fare in questa società capitalista.


Che emozioni vorresti che provasse un ascoltatore ascoltando il tuo album, vivendolo? Ti sei mai posta da questo punto di vista?


La cosa più importante per me, in generale, è che tramite l'arte vediamo i nostri sentimenti, brutti o belli che siano. L'arte crea bellezza e molto spesso secondo me non siamo educati all'accettare le cose che sentiamo. Quindi l'unica cosa che vorrei veramente, il mio grande scopo è che gli ascoltatori provassero accettazione dei propri sentimenti, non importa quali siano, sentissero che c'è spazio per tutti i sentimenti, che non c'è vergogna, non c'è un sentimento migliore o peggiore di un altro, che fanno tutti parte della vita. Infatti ci tenevo a fare un disco così variegato, perché la vita è estremamente complessa e variegata e non c'è un sentimento specifico che vorrei che le persone provassero se non quello di sentirsi accettati.


Per chiudere invece volevo chiederti: se dovessi scegliere tra smettere per sempre di fare musica o smettere di ascoltarla, cosa sceglieresti?


Non penso che sia possibile fare musica senza ascoltarla, quindi dovrei scegliere smettere di fare musica per sempre. Perché comunque quando faccio musica ci sono due parti no di me: quella della creatrice e quella dell'ascoltatrice, che è fondamentale perché filtra le idee, le seleziona e sceglie quali poi sono le cose, le melodie, gli accordi, le parole che poi finiscono nel final cut del brano. Purtroppo non sono Beethoven, non potrei mai smettere di ascoltare musica nella vita.





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