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"Arrogantissimo" è il debutto malinconico di Giovanni Toscano - Intervista

“Arrogantissimo” è l’album di debutto del cantautore, attore e scrittore Giovanni Toscano.

Con la sua voce graffiata l’artista nei suoi tredici brani ci mostra un momento particolare della sua vita “il momento di diventare grandi”. C’è malinconia, solitudine, amicizie, amori reali ed immaginari accompagnati da sonorità che riprendono il mondo del cantautorato italiano come Fossati e Dalla, ma anche sonorità provenienti della musica francese e sud americana.

Giovanni con “Arrogantissimo” si fa rappresentante di una generazione che vive nella malinconia ma che al tempo stesso ha una grande voglia di libertà.



Ciao Giovanni! Da poco è uscito il tuo album di debutto Arrogantissimo. Ascoltando i brani si può percepire delicatezza, ironia, amore ma dell’arroganza non c’è traccia. Come mai hai deciso di dargli questo nome?

Mi fa piacere che tu dica questa cosa. L’idea era di giocare con il contrasto. Arrogantissimo è l’ultimo brano che ho scritto e prodotto e mi piaceva che questo superlativo, un po’ bislacco, fosse la chiusura del progetto. L’arroganza penso che sia una delle caratteristiche peggiori dell’essere umano e quindi mi fa piacere che tu abbia notato un po’ di dolcezza e malinconia, che sono l’opposto dell’arroganza, e che hanno mosso la composizione di questo disco.



Io ti ho conosciuto come attore nel film di Virzì “Notte magiche”, quando hai capito che oltre alla recitazione la musica avrebbe avuto un ruolo importante nella tua vita?

La musica ha sempre fatto parte della mia vita ancora prima della recitazione. A partire da una rock band in fase adolescenziale, ai dischi di Battisti, Dalla, Fossati ascoltati in macchina con i miei. Però ho iniziato a pensare che avrei potuto fare qualcosa con la musica dopo l’accademia, facendo dei concertini un po’ per gioco, ho iniziato ad avere dei feedback positivi delle persone che mi stavano intorno. Sono stato incoraggiato.



Riesci ad esprimerti nello stesso modo sia nell’arte della recitazione che nel mondo della musica?

E’ molto diverso perché nella recitazione più che esprimere me stesso esprimo le parole di chi ha scritto la sceneggiatura, però cerco sempre di aggiungere piccoli movimenti, gesti o versi che io faccio nella quotidianità e che mi caratterizzano. Lo stesso provo a farlo con la musica. Cerco comunque una verità in quello che dico, che sia piccola come spesso sono i miei testi o un po’ più strutturata.



Il primo brano dell’album è “Che vita è”. È un omaggio a Vasco che celebra la brevità delle cose. Che rapporti hai con il passare del tempo? Ti spaventa o ti invoglia a goderti la vita?

Mi invoglia molto, non tornerei mai indietro. Più il tempo passa e più mi sembra che gli anni diventino bellissimi e sono veramente molto curioso di sapere cosa arriverà. Poi fortunatamente mi sembra che con il passare del tempo divento sempre meno malinconico. Però devo anche dire che la brevità delle cose mi spaventa e mi lascia sempre perplesso e amareggiato. Però sono molto contento di crescere. Alla fine quello che io cerco sono quelle sensazioni di sicurezza, pienezza e felicità totale che ho provato nella mia infanzia, ma non tornerei mai indietro.



Vasco oltre ad essere omaggiato in questa canzone, viene citato anche in "Congolè". Cosa trovi di affascinante nella musica di Vasco?

Non mi è mai piaciuto troppo Vasco Rossi, ma poi un paio di anni fa un mio amico mi ha fatto ascoltare attentamente i testi. Lì mi ha affascinato questa sua disperazione di sottofondo però legata a una consapevolezza, che poi è la sua visione della vita, non per forza condivisibile, ma una visione molto forte, molto chiara di disincanto, brevità delle cose, molto vicina anche a Califano e ad altri artisti. Poi i suo testi sono molto concisi, diretti. Questa sua semplicità, grandezza, solitudine e disperazione mi hanno molto colpito.



Oltre a Vasco il tuo album è pieno di riferimenti musicali. Si percepiscono riferimenti alla musica francese, alla musica latino americana per poi passare ai grandi cantautori come Tenco, Lauzi, Fossati, Dalla. Chi sono i tuoi punti di riferimento e quali sono le canzoni che ti hanno segnato profondamente negli anni?

Mi piace ascoltare molta musica, prendere in prestito le belle idee degli altri e carcarle di farle mie. Per esempio “A volte” è stata scritta pensando alle canzoni d’amore di Fossati, ma delle canzoni ben precise non mi vengono in mente in questo momento.



In “La nostra estate” si parla di un ritorno a casa. Pensi che tornare a casa possa essere un buon modo per capire a cosa si tiene veramente?

Tornare a casa è bello quando si fa ritorno nella propria città. Io mi sono rinnamorato di Pisa e dei miei amici, andandomene via. Però io soffro di una strana sindrome che mi manca la mia città quando sono lontano, ma quando ritorno, mi manca quello che avevo prima.


Che differenze hai trovato tra Roma e Pisa?

La qualità della vita a Pisa è incredibile rispetto a Roma. Roma è una città che se stai bene ti da tantissimo, è eccitante, divertente. Se non stai bene non ti aiuta per niente. Pisa Invece si perché banalmente, non rischi di morire andando in macchina per la città, sei un attimo al mare, in montagna. E’ una dimensione bella.


“Anna” è un brano che parla di violenza. Una ragazza violentata che allo stesso tempo viene giudicata per i vestiti che indossava quella sera. Perché secondo te si colpevolizza ancora oggi la donna?

Questo pezzo nasce proprio da una discussione con i miei amici. La conclusione di questo discorso è che mai nessuno si può permettere di dire “Se l’è cercata”, è un’ulteriore violenza alla violenza. Non solo la ragazza ha subito la violenza, ma con quella frase la stai giudicando di imprudenza e stupidità e anche quella è una violenza. Colpevolizzare la vittima ha a che fare con l’ignoranza e con una questione di sessismo che pervade ancora pesantemente la nostra nazione e poi c’è una grande difficoltà ad affrontare il problema degli altri e si tende ad accusare. La canzona nasce proprio dall’idea di come parlare a una ragazza o un ragazzo che ha subito una violenza? Cosa dire? In realtà una risposta non ce l’ho.


In “A volte” c’è una frase che mi ha colpito: “Ci vuole fegato per potersi perdonare”. Secondo te perché facciamo così fatica a perdonarci? Hai avuto il coraggio di perdonarti?

Quando c’è di mezzo l’orgoglio, che è uno dei mali dell’età adulta, è più difficile perdonarsi. Si, ho perdonato, ma faccio fatica più a perdonare me stesso che gli altri. Con te stesso ci stai h24, con la persona che perdoni, dopo te ne puoi anche andare.



“Giornataccia” è il biglietto di visita di questo album tanto che è presente anche nella pubblicità di Fiorello in “Viva Rai 2”. È tra i brani più scanzonati di questo album, come è nato?

“Giornataccia” è nata in studio nella prima sessione con altri autori Davide Napoleone, Marco Maiole e Silvia Giannazzi. Loro in studio mi hanno fatto sentire dei giri d’accordi e ci ho sentito subito un pezzo che un po’ ricordasse Pino D’Angiò, il suo essere sexy e ironico. La prima frase che mi è venuta in mente è stata “Hey, fuori di qua, Non ho tempo di contrattare, Fuori godono il sesso spettacolare”, poi sotto suggerimento di Silvia abbiamo deciso di non metterla subito all’inizio ma al pre-ritornello e poi tutti insieme ci siamo immaginati questa litigata tra una ragazza e un ragazzo.



Preferisci scrivere da solo o con degli autori?

Io preferisco scrivere da solo perché banalmente quando vado a ricantarla so esattamente quello che sto dicendo. Però nel caso di “Giornataccia” ci siamo trovati benissimo e lo rifarò volontieri.



In “Stasera” canti: “Un po’ stonati i cantanti, ma siamo sempre tristi”. Pensi che la tristezza sia la condanna e allo stesso tempo la fortuna degli artisti?

Penso che il luogo comune che dalla tristezza e dal dolore nasca l’arte non sia del tutto vero. Alla fine si scrive quando si sta bene. La malinconia aiuta, perché inevitabilmente quando si scrive devi attingere da quello che vedi, ma quello che vedi poi è già passato in una frazione di secondo, e devi attingere dal passato. La felicità ti porta a non pensare al passato.



Ti definisci una persona triste o malinconica?

Mi definisco una persona malinconica con vette di grande felicità e di grande tristezza. Non contemplo molto la vita media, mi inizio ad annoiare e ad incupire quando le cose sono più piatte, ma è giusto farci i conti e la sto sempre più abbracciando crescendo.



“Bianca” è stata scritta insieme a Bianca Ceravolo e nasce dopo il film di Virzì, in uno anno di stop che automaticamente ti ha fatto pensare a cosa fare quando tutti vanno avanti e tu sei fermo lì non sapendo cosa fare. Secondo te quanto può influenzare la vita dell’artista questa precarietà che caratterizza il mondo dello spettacolo?

Penso sia molto importante, perché la precarietà ti porta poi a cercare qualcosa di nuovo. Partiamo dal presupposto che se hai qualcosa da fare, si sta meglio. Tipo nella recitazione più si recita e più si recita meglio, i periodi di fermo ti fanno arrivare solo più arrugginito. Però sicuramente nella scrittura, di un romanzo o di una canzone, il periodo di siccità ti porta a doverti scuotere e quello scossone che dai, ti porta cose inaspettate. Come nel caso di "Bianca" una giornata autunnale, passata insieme ad una banda di disoccupati come me che poi mi ha portato a scrivere questa canzone.


Hai deciso di chiudere l’album con un brano strumentale “Abbandonate luoghi in cui hai lasciato il cuore”. Come mai questa scelta?

Perché in realtà ho girato il mio primo corto da regista e ho fatto anche la colonna sonora e questo brano chiude il cortometraggio. Come l’album anche questo cortometraggio parla di solitudine, malinconia, incontri e passaggio alla vita adulta e essendo io un gran fan del cinema, mi piaceva l’idea di chiudere l’album come se fosse un film, con dei titoli di coda e una melodia che fosse giusta e che accompagnasse questa conclusione.



Ci saranno dei live in cui potremmo ascoltare “Arrogantissimo”?

Le stiamo preparando, ci sono delle date ma ancora non è stato annunciato niente, però a breve ci saranno.

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