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Francesca Michielin, "FEAT (Stato di Natura)" - Com'è cadere da 2640 metri di quota? - Recensione


Ci aveva abituati fin troppo bene portandoci a 2640 metri più vicini alle stelle, e ora che siamo tornati sulla terraferma tutta la magia data dalla rarefazione dell’aria ad alta quota è svanita.


Pensato forse come un esperimento – un caso limite, direbbero i matematici – “FEAT(Stato di Natura)”, l’ultimo album di Francesca Michielin pubblicato per Sony Music, appare invece come un tentativo mal riuscito di sfatare il luogo comune che dipinge i featuring musicali come un alibi per abbassare tatticamente le aspettative in gioco e al contempo dare l’impressione di voler spaccare il doppio.


Succede infatti che i pezzi di questa raccolta compongano un puzzle tutto fuorché indimenticabile. Una scelta dei testi non molto originali e un’attenzione sproporzionata invece verso la costruzione di un’atmosfera musicale diversa di brano in brano fanno di questo album uno spreco di virtuosismi musicali.


Partiamo dall’intro, nel clima Caparezzoidiano di “STATO DI NATURA” (feat. Maneskin), un’accozzaglia di banalità da pubblicità progresso sulla Rai del calibro di “Non è nella mia natura farmi fischiare per strada come se fossi un cane” o di “Rivendichiamo per il corpo la libertà ma critichiamo una ragazza che si veste come le va” che nelle intenzioni (in qualità di intro) dovrebbe saper stupire e dare un chiaro messaggio dell’anima dell’album ma che riesce invece a farmi riconsiderare lo pseudo femminismo di Freeda.


Passiamo poi all’enorme ritornello Katyperriano che è in realtà “MONOLOCALE” (feat. Fabri Fibra), dove la solita solfa degli amori passati di cui siamo ormai stanchi e disillusi riesce ad ammorbidire anche la strofa di Fibra, più innocuo che mai; niente di diverso se non immerso in un clima funky è lo spirito della terza traccia, “SPOSERÒ UN ALBERO” (feat. Gemitaiz), a cui fanno da accessorio un altrettanto mite Gemitaiz e ampi ritornelli ottimi da canticchiare mentre ci si lava i denti.


Dall’anima funky a quella teen più sfrenata è votata “GANGE” (feat. Shiva), in cui a cliché amorosi presi in prestito dalla discografia di Carly Ray Jepsen si alternano quelli triti e ritriti della parte più inutile delle scene urban e TRAP: il cash, la strada, le macchine e gli orologi.

Alla quinta traccia ricomincio a trovare ragioni per continuare il mio cammino verso il minuto finale: compare un Elisa selvatica, per poco, fino a che non prende il sopravvento un autotune molto spinto e un mare di LA LA LA LA danzanti sulle riconoscibilissime note scolpite da Dardust.



Fanno poi la loro comparsa anche Fausto Lama & California in “RISERVA NATURALE” ma al di là di qualche rima ad effetto, tipica del sincretismo dei Coma_Cose, che si ritrova poi puntualmente a convergere verso un senso compiuto nelle ultime righe, non resta molto, se non il tocco cupo di Frenetik & Orang3.

Tra una quasi hit estiva dal sapore Verdoniano, “ACQUA E SAPONE” (feat. Fred De Palma) e un omaggio all’estetismo più armonioso dato dall’uso del francese in “LA VIE ENSEMBLE” con Max Gazzè, finiamo in “STAR TREK” nella rete di Carl Brave e della sua parlantina fracicata di slang romano che mi ritrovo colpevolmente a mimare già al primo ascolto. Ci son cascato di nuovo.


Quando ormai ogni speranza sembra persa mi imbatto in una coppia di brani in chiusura che mi fanno ritrovare due degli elementi che ho amato dei precedenti lavori della Michielin: la sua voce strabiliante e la sua poetica un po' affettata, ma che non manca mai di farti immedesimare nei suoi racconti e sentirli subito tuoi. Parlo del primo singolo estratto da "FEAT", “CHEYENNE”, che guarda caso, a conferma della mia teoria sui feat, è l’unico in cui canta da sola.

Chiude il cerchio un pezzo degno del titolo che porta, “LEONI”: non c’è niente da fare, qualsiasi cosa canti Giorgio Poi diventa poesia evanescente che muove i capelli e consola le spalle bruciate, impreziosita dai suoi virtuosismi in produzione e dal suono della chitarra elettrica.

Giunti alla fine di questo album è evidente come dai 2640 metri di quota del precedente album siamo scesi nel bagnasciuga delle hit estive, cinquanta sfumature di pop e sillabe ritmiche. Non è rimasto quasi nulla del precedente album: non il giusto spazio dato alla sua pregiata voce, non la magia intrinseca del racconto della sua quotidianità, non la sincerità e l’autoanalisi che la contraddistinguevano, non la sua storia personale, ricca di dubbi e incertezze tipiche dell'indole di ognuno di noi.


Farò finta che questo album non sia mai esistito, nell’attesa di ritrovare un giorno il vero spirito della Michielin impresso in MP3.

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