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Immagine del redattoreGiulia Gallo

Ballare sulle macerie: "La terza estate dell'amore" di Cosmo - Recensione

Nell'ambito della musica elettronica, non capita spesso di imbattersi in artisti come Cosmo, che da un po' di tempo (chi lo segue lo saprà) si espone parecchio riguardo questioni sociali di un certo rilievo. Come aveva fatto lo scorso luglio con un intervento di 10 minuti agli Stati Popolari di Roma, dove si era scagliato contro il sistema capitalistico e aveva caldeggiato una riconsiderazione del ruolo dell'arte, della musica e della festa come propulsori di quel senso di comunità che oggi, a causa di questa modernità malata e narcisista, si va inevitabilmente deteriorando.


Ed è quindi probabile che all'epoca avesse già in mente la tematica portante del suo nuovo disco, "La terza estate dell'amore", uscito il 21 maggio per 42 Records. Un album tra l'altro piombato un po' dal cielo, dal momento che le discoteche ancora non vedono prospettive concrete di riapertura. Probabilmente, però, Cosmo ha voluto dare un segnale di speranza: la traccia di apertura, "Dum Dum", si chiude infatti così:

E sventolano bandiere Sulle macerie Di quest'epoca stupida E io ci godo un po'

Il titolo del disco fa riferimento, come ha spiegato l’artista, alle Summer of Love degli anni '60 e ’80: la prima legata al movimento hippie, la seconda al movimento rave. Cosmo auspica che questa sia una stagione di rinascita dopo un lungo periodo di distanze e silenzi, dove la sua elettronica incalzante potrebbe essere un mezzo per riavvicinarci.

"La terza estate dell’amore" è un concept album lungo un’ora, pulsante, sperimentale, traboccante di sonorità variegate e diversamente colorate. Parla del bisogno di ballare standosi addosso, di godere senza remore, liberi da qualsiasi tara mentale che spesso la società capitalistica ci impone. Una musica che potremmo definire "elettronica edonistica".



Con le prime tre tracce, "Dum Dum", "Antipop" e "La musica illegale", Cosmo ci invita nella sua giungla, fatta di massicci suoni elettronici e casse dritte: la prima è una sorta di riassunto di quello che troveremo nel disco (la giungla, la festa, l'amore); la seconda invece si scaglia proprio contro le hit da classifica, a cui molti mirano nel mondo della musica, inseguendo il già menzionato sistema capitalistico; la terza, infine, è una critica e una sfida alle persone che ostacolano la realtà del clubbing, ovvero a chi non vede l'ora di chiamare la polizia al primo accenno di musica:

Chi si incazza per la musica là fuori Poi si spara tutti i giorni il rombo dei motori

Segue poi "Fresca", la prima canzone d’amore del disco: sonorità accattivanti si combinano con sezioni strumentali piuttosto spiazzanti, rendendola una delle tracce più belle e interessanti del disco. "Mango", che per il ritornello utilizza il campionamento della voce di uno dei figli dell'artista, ci porta ancora tra le profondità della giungla, da cui usciamo brevemente con "La cattedrale", più romantica ma con una cornice urbana, dove spunta inaspettatamente anche un assolo di chitarra classica. Veniamo scaraventati nuovamente nella vegetazione dalla particolarissima "Puccy Bom", che a tratti ci inquieta: sembra quasi che in questa foresta lussureggiante di suoni si annidino animali feroci, come pulsioni esondanti.


Non perdiamo il ritmo con "Fuori", che vede la collaborazione di Silvia Konstance: è forse la traccia più martellante e ripetitiva, a tratti un po' cacofonica; nonostante il tiro incalzante, è forse quella che convince meno.

Segue "Gundala", con cui ci sembra di trovare, in mezzo alla foresta, una radura con uno specchio d'acqua, per fermarsi e riprendere fiato. È probabilmente la più cantautorale del disco: una canzone d’amore sussurrata, intrisa di sottile malinconia, accompagnata da un pianoforte:

E dopo aver attraversato Mi sono guardato, ho alzato gli occhi Eccoti lì, eccoti lì E alla finestra su una strada deserta Il tuo sorriso, la tua mano che saluta

Torniamo in pista con "Io ballo", che, col suo ritmo trascinante e il suo testo eloquente, potrebbe tranquillamente essere il manifesto di questa nuova era:

Io ballo, ballo per distruggere chi sono Cancello la distanza nello spazio, tra i corpi Trasformo la geografia della città Io ballo, ridisegno la mappa La mappa di una nazione che scompare, puff


La chiusura del disco è sicuramente suggestiva: "Vele al vento" e "Noi" sono due pezzi che si riferiscono all’umanità intera, una riflessione su com’eravamo e dove andremo (la prima) e sul fatto che alla fine gli esseri umani sono tutti uguali, anche alla natura e all’universo (la seconda). Un po’ come se Cosmo, dopo essere evaso da questa crisi universale, avesse riflettuto su di essa proprio in quanto evento esperito da ogni singolo individuo nel mondo.


Se a tratti il disco suona un po’ ripetitivo e alcuni testi risultano deboli (stranamente in controtendenza rispetto al suo sopracitato impegno sociale), va detto che, rispetto a "Cosmotronic" (2018), dove c’erano brani più aderenti alla forma-canzone, i pezzi di “La terza estate dell’amore” sembrano più un continuum ed è probabile che suonino meglio sul dancefloor che in cuffia. Del resto, è perfettamente in linea con i suoi intenti programmatici: una musica per ballare e dimenticare insieme.



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