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La Rappresentante di Lista, My Mamma - Recensione

È stato celestiale. Ho pensato queste esatte parole la prima volta che assistei ad una performance dal vivo de La Rappresentante di Lista. Un tale avvilupparsi di note ed energie cosmiche così sferzante in un solo gruppo non l’avevo mai visto. Una presenza scenica dal vigore teatrale: non era un concerto, era un opera. Sentivo lì sotto il palco che la mia concezione di “live della madonna” aveva raggiunto un nuovo standard. Da quel momento in poi tutte le volte in cui ne ho riavuto occasione non mi sono mai tirato indietro dal rivederli: dal Serraglio a Milano al Color Fest di Lamezia.

Ho sempre avuto l’impressione che LRDL fosse una di quelle band nate per restare, per diventare un icona di qualità, un punto di riferimento. Fin dai loro primissimi lavori lo sentivi che erano qualcosa di più di una semplice band. Quando esordivano nel loro brano omonimo con “Quando passo in Via degli Uomini mi sento sempre la protagonista alle prossime elezioni sarò io la rappresentante di lista” o quando cantavano “Volerò come una bomba sulla casa che ho sognato, volerò come una rondine, dalle strade grideranno "primavera"” una parte di me sentiva il bisogno di fermarsi a riflettere, ad immaginare, a fare il punto, a sorridere e poi scuotere la testa. Mi dicevo: questi non fanno musica, questi fanno la storia.

A 10 anni dalla loro fondazione eccoci con “My mamma” (Woodworm / Numero uno), il loro quarto album in studio. Un album che è una costante sorpresa: non solo traccia dopo traccia ma anche strofa dopo strofa ci ritroviamo con risvolti inaspettati e che ci danno l’impressione di ascoltare tanti album, stili e vite diverse. Loro stessi raccontano che “Ci siamo fatti travolgere dalla voglia di tornare, abbiamo dato alla solitudine la forma di una strada e l'abbiamo percorsa fino in fondo. Abbiamo dato voce a tutti i momenti in cui eravamo rimasti in silenzio a guardare. Poi, dopo nove mesi, l'abbiamo chiamata per nome: MY MAMMA.“


L’album di una nuova rinascita, perché per LRDL ogni album è una tappa di vita e man mano che passano gli anni cresce anche la consapevolezza di quel che si fa, del per chi si fa. L’idea di chiamare l’album “My Mamma” passa proprio per questa voglia di lasciare una eredità tangibile al pianeta, e non potremmo che esserne più felici. Fossero tutte così le eredita! Quando ho potuto finalmente metter mano e cuffie alle tracce, sentivo che quello sarebbe stato un momento da gustare a pieno, perciò ho staccato telefono e pc da internet e ho messo in play.


Ci eravamo lasciati con “Woow” nel precedente “Go go diva”, il brano dell’incontro con l’altro, dello stupore, della meraviglia. Quell’altro che idealmente, secondo le intenzioni del gruppo, trova in “Religiosamente”, prima traccia di “My Mamma”, il suo seguito. In questo caso il primo incontro è con il mare. La traccia è stata scritta con Pacifico (Gino De Crescenzo) a Parigi e ci lancia immediatamente in un universo che ci era mancato tanto: la voce sferzante di Veronica, il suo stile inconfondibile e la sua penna delicata. Una traccia per commemorare una persona lontana e i suoi preziosi ricordi ancora vivi in memoria.


Arriviamo ad “Oh ma oh pa’ ”, un curioso inno d’amore e di benvenuto da una figlia appena nata nei confronti dei suoi genitori: “benvenuti sulla terra”, una nuova terra sulla quale da quel momento in poi camminerà anche una nuova vita. Un invito a riconsiderare le responsabilità che seguono la nascita di una nuova vita. “Io sono tutto e sono di più, sono io, una terra stanca, sono io, una notte bianca”: appena nati possiamo prenderci il lusso di essere tutto quello che vogliamo, per questo la nuova nata fa gli auguri ai suoi genitori, se ne scusa in anticipo per tutte i malintesi e le incomprensioni che faranno inevitabilmente tremare le loro vite e i loro rapporti. Una bambina che non crede più alle favole ci introduce ai temi che si svilupperanno più tardi nell’album: dolore, amore, esperienza.



Con “Alieno” la già citata bambina è cresciuta, maturata e frammentata. Si sente a pezzi, arde di amore e di piacere. La narrazione musicale è fatta di distorsioni e casse dritte che scandiscono la crescente consapevolezza di sentirsi fuori posto, sbagliati e, in un certo senso, alieni. Dopotutto, a chi non capita di sentirsi fuori dal mondo, ultimamente? La lezione però è semplice: “Per tutti questi desideri non mi resta nulla, nulla a parte questo mondo”. Per quanto gli ostacoli proveranno a tirarti giù ti rialzerai, ce la farai, perché in fondo non hai scelta, non ti resta niente altro a parte questo mondo. Quindi reggiti forte e goditi il viaggio.


A dare voce a “Fragile” è Dario, una scelta simbolica per concedere alla fragilità sembianze maschili, in controtendenza ad ogni narrazione moderna che dipinge ingenuamente l’uomo sempre al centro di una stabilità emotiva che niente può scalfire. La sua voce è stata distorta, resa zoppicante, appunto fragile: si ribella a tutti gli stereotipi che circondano spesso il genere maschile e le sue presunte virtù strutturali: “Dimmi cosa sai di me, cose che non sai, cose che non vuoi sapere”. Synth e bassi decisi accompagnati da dolci archi e percussioni lontane rendono questo pezzo ancora più netto e incisivo di quanto il solo testo lascerebbe intendere.


Arrivati a metà album iniziano a crollare anche i pezzi di quelle certezze esterne a noi che avevamo lasciato intatte finora. "Sarà" è un brano ricco di immagini vivide e taglienti che costituiscono, come la definisce Veronica stessa in un intervista, “una filastrocca noir che parla dei veleni che stanno per strada”. Complice il tetro accompagnamento musicale, il decadente fiume di veleni che popola queste righe restituisce al mondo tutte le sue colpe più sottili e crudeli: l’avvelenamento della terra (“Sarà che la mia terra lentamente smette di respirare”), delle menti (“Sarà che la mia testa è appesa a un filo e io sto lì a tirare”) e delle emozioni (“Com'è triste soffrire senza stare male”). Un flusso di coscienza di impalpabile sarcasmo verso ogni spigolo che questa terra ha da offrire e ogni nuovo difetto che giorno dopo giorno si aggiunge alle nostre colpe di ospiti maleducati.



Giunge quindi il turno di “Amare”, che abbiamo appunto imparato ad amare e ballare sul palco più prestigioso d’Italia. Probabilmente tra i brani più energici portati sul palco, la voce vellutata e incisiva allo stesso tempo di Veronica racconta una storia di rinascita e conquiste. "Come un sole che non sorgerà, dal riflesso dei miei occhi stanchi, io corro e poi corro": le difficoltà che incontriamo nel nostro percorso contano poco se c'è voglia di fare e superarsi, di migliorare e spaccare tutto. Il gruppo è da sempre maestro in lezioni di vita (senza alcuna presunzione) e in questo nuovo album ci offrono un taglio decisamente più "familiare" alle loro riflessioni. "Amare" tuttavia non è una semplice canzone d'amore, sarebbe riduttivo definirla così, questa è una canzone di vita: ci sono debolezze, ostacoli, ripensamenti, gioie, "Urlare dopo aver pianto" per respirare "l'aria che non finirà ogni volta che stai male". Non si tratta di accontentarsi ma di reagire attivamente, qualsiasi cosa succeda. "Amare senza avere tanto", ovvero ribellarsi alle dinamiche del do ut des, fare propria la via che scegliamo di percorrere senza aspettarci nulla di diverso da ciò che noi decidiamo. Un brano incredibile, di un vigore musicale splendido.


Arriva poi il brano più brioso e vivace dell’album: “V.G.G.G. (Very Good Glenn Gould)”. Glenn Gould, un formidabile pianista e compositore canadese vissuto nella prima parte del diciannovesimo secolo, sembra aver preso il controllo della parte strumentale del brano che difatti vive una vita tutta sua. Tema del brano è l’indipendenza dalle fisime altrui e con esse ogni strascico di omologazione e banalità che prende il controllo di masse spaesate che nell’attesa di capire che fare della propria vita scelgono di metterla in pausa e viverne una altrui, con sogni e paure comprate all’ingrosso. Veronica si lancia in una serie di strofe che catturano immediatamente l’attenzione non solo perché sembrano perfette per stanare ogni riverbero di noioso appiattimento culturale ma anche per andare oltre, spazzando via la convinzione che ci sia un modo giusto di vivere: “E se davvero l'ultima parola non la devo dire io, non la devi dire tu, chi la dirà mai?”. Prima parlavo di lezioni che i LRDL ci danno senza volerlo, mi riferivo proprio a questo tipo di lezioni: non ci danno risposte, ci fanno semplicemente più domande di quante ce ne fossero in partenza. È questo che rende il gruppo così speciale, non c’è traccia di moralismo nei loro versi, è tutto così splendidamente e culturalmente anarchico.


Delle calde note di pianoforte in un ampio e arioso accompagnamento strumentale ora ci accolgono invece in “Paesaggi stranieri”. Un pezzo dedicato al piacere di innamorarsi di qualcuno e alla bellezza che investe il mondo subito dopo. Avere qualcuno affianco comporta dei cambi di prospettiva nella propria quotidianità: sole e luna si confondono, giorno e notte si scambiano fluentemente piaceri e carezze, la solitudine di ieri diventa un viaggio in posti sperduti, paesaggi stranieri, da esplorare in due. Il valore che una buona compagnia può regalarci è incompatibile con qualsiasi altra forma di piacere. Un viaggio senza ritorno perché al ritorno, se mai ci fosse un ritorno, “non avremo più carezze per salvarci ancora”.


Eccoci a “Resistere”, senza dubbio la mia traccia preferita dell’album. Liberandoci per un secondo dalla sofisticata mediocrità commerciale che ha ormai circondato quella parola che ricorda “resistere” ma con tratti più radical chic (non fatemela scrivere, dai, sono sicuro che ci arrivate), credo dovremmo ridare la semplice dignità originale al termine resistenza. Il penultimo brano dell’album tesse intorno a questa parola un sogno molto interessante. Un sogno fatto di persone, errori, sconfitte e desideri. Un sogno dove i limiti e le paure di cadere vengono abbattuti da occhi pieni di meraviglia e stupore. Un sogno chiamato vita, durante il quale vivere è l’atto più rivoluzionario e normale che possiamo compiere, e dove “non mi importa di perdere, quello che mi serve adesso è vivere”. È un piacere indescrivibile scrivere la propria storia, resistere ad ogni perturbazione e guardare al domani con la stessa curiosità con cui la guarda un neonato, lo stesso neonato protagonista dell’inizio di questa storia, che attraversa tutte le fasi della vita fino a tornare a riprendersi gli occhi da bambino.


"Domani sarà un giorno da ricordare, non da dimenticare" (da “Resistere”)

“Mai mamma” ci conduce alla fine dell’album urlandoci in faccia una ballereccia resa dei conti con il nostro destino. Un ritmo ipnotico e martellante ci rivolge una serie di interrogativi su cosa resterà di noi dopo di noi. “Tutto quello che ho imparato a chi lo do? A chi l'ho dato?”. Ma soprattutto, accende una luce su cosa, effettivamente, vogliamo fare di noi. Ho letto il titolo come quell’espressione a cui da bambini ci aggrappiamo per non deludere le aspettative dei nostri creatori: mai toccherò l’alcol, mamma; mai mi farò del male, mamma; mai ti farò del male, mamma. E invece poi ci ritroviamo puntualmente a infrangere ogni promessa che ci eravamo fatti da bambini perché, semplicemente, cresciamo, scoprendo cosa sia davvero la vita giorno dopo giorno. Ecco a cosa servivano le scuse preventive della bambina a inizio album. Siamo tornati dove eravamo partiti, ovvero nel centro della stessa rigogliosa copertina.


Con questo album il duo palermitano ha portato l’asticella ancora più in alto, in ogni senso: se in "Go Go Diva" ci preoccupavamo dei piaceri della carne, in un certo senso, in questo album abbiamo invece passato in rassegna gli altrettanto più densi e fluttuanti piaceri della mente. Un capitolo prezioso che ci ha insegnato a godere anche di ogni angolo buio che le nostri menti ci presentano, anzi, di trasformare ogni caduta e ogni ferita in trofei, in opportunità, per resistere e non dirsi vinti né darsi per vinti. Un viaggio musicalmente più sperimentale e elettrizzante di quelli a cui ci avevano abituato e che ci coglie di sorpresa tra parentesi dolci e armoniose ed altre dure e spigolose. Insomma, se fino ad oggi pensavamo che quei due facessero "solo" musica (e che musica), con questo album siamo sempre più convinti che faranno la storia musicale.



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