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Giovanni Truppi ha pubblicato il disco più bello degli ultimi 20 anni - Recensione

L’ho sparata. L’ho sparata, ma fino a un certo punto, e cercherò di snocciolarla al meglio nella prossima manciata di migliaia di caratteri.


A Giovanni Truppi sono legato, lo ammetto, come a pochi. La sua poetica, le sue metriche impensabili e le sue scelte artistiche volte a stupire i fan lo rendono ai miei occhi un cantautore probabilmente unico nel suo genere, a maggior ragione nella sua generazione. Forse è per questo che mi sono arrabbiato così tanto quando, a Sanremo 2022, alla sua splendida “Tuo padre, mia madre, Lucia” non è stato destinato nemmeno un “misero” premio al miglior testo, motivo per il quale il buon Truppi, per il pubblico mainstream, resterà verosimilmente ricordato solo come quello-con-la-canottiera. Il premio, per la cronaca, è andato a Fabrizio Moro, non riporto alcuna citazione del suo testo perché è meglio così.



Un anno e due mesi dopo, Giovanni è tornato con “Infinite Possibilità per Esseri Finiti” (Virgin Music LAS/Universal Music Italia):


“Un’equazione (o un enigma) la cui soluzione è la parola vita”

Prima della musica, sono necessarie due parole sulla copertina: essa, infatti, è un’opera partecipativa concepita da Aldo Giannotti, artista visivo classe ‘77. Al MAMbo di Bologna, all’interno di un quadrato in uno spazio sul muro è stata lasciata al pubblico la possibilità per qualche giorno di rappresentare qualunque cosa preferisse: le “Infinite Possibilità”, appunto, che la fantasia, il pensiero, i sogni e le esperienze di ognuno possono generare.


Un totale di diciotto tracce, tra strumentali, intermezzi e anche una cover (ma a questo arriveremo dopo) che spaziano intorno al cantautorato, senza porsi alcun limite musicale, anzi: se provassi a definire i generi musicali di questo viaggio sparerei veramente a 360 gradi. Giovanni casca in piedi ovunque provi a muoversi, complici, innanzitutto, le sue doti di scrittura e di esecuzione, ma anche una manciata di musicisti davvero forti e due produttori degni di nota.


Alla produzione, infatti, troviamo Marco Buccelli e Niccolò Contessa. La mano di quest’ultimo, sempre più autorevole, ha dato una spinta all’album davvero clamorosa: il cantautore romano, (ex, anche se si spera di no) frontman e unico membro de I Cani, si rivela (non che avessimo eccessivo bisogno di altre dimostrazioni) un fuoriclasse assoluto. Agli esempi Calcutta, Coez e soprattutto l’ultimo Tutti Fenomeni, a questo punto, è assolutamente necessario aggiungere questo disco, masterclass totale di Niccolò, che dimostra una versatilità clamorosa nel valorizzare l’artista senza snaturarlo. Una bellissima collaborazione.



Il cantautore napoletano va ad affrontare con la consueta dose di ironia, cinismo, approccio umanistico ma anche meramente scientifico, che si vanno ad intersecare sempre di più col passare delle sue uscite discografiche, varie tematiche, tra cui troviamo il concetto di privilegio e quello di comunità, la precarietà economica e la gentrificazione, il ruolo delle reti sociali e quello delle città; il tutto partendo dall’introspezione per poi muoversi e guardare dall’esterno realtà di dimensioni più vaste, in uno spaccato ben preciso della nostra società degli ultimi anni e di tutti gli aspetti che essa porta con sé.


Direi che è il momento di partire col track by track, diciotto canzoni sono un tot, e mi sono già dilungato troppo fin qui.


Su il sipario, piano e voce, non ci saremmo aspettati altro. Si parte subito con lo spoken, che (spoiler!) sarà una delle colonne portanti di “Infinite Possibilità per Esseri Finiti”. “Intro”, partendo dal racconto un paio di situazioni comune ambientate in una piscina e nei suoi spogliatoi, si sposta su una riflessione sul privilegio nella società di oggi, così come in quella dei Greci e dei Romani, tipico esempio della linea narrativa dell’album.


“Mentre camminavo mi sono detto: Lo vedi? anche se siamo a Centocelle Puoi riuscire a sentirti come gli antichi Greci Che si dedicavano alla cura del corpo E a quella della mente E questa palestra di Centocelle può non essere così diversa Da un ginnasio del quarto secolo”

Il piano di “Centocelle”, invece, è solo un’illusione di qualche secondo: basso (distorto) e batteria guidano un testo basato sull’anafora del “se…”. Un pezzo tirato, che mancava da qualche disco a Giovanni, personalmente sono molto contento di ritrovare queste sonorità.


“Un’ora dopo dei diritti dell’uomo Un’ora dopo di una grande illusione È solo un poco più fuori mano Ma trovi tutto a disposizione”

Il mood si fa più conforme agli ultimi lavori con “La Felicità”, secondo singolo estratto. Ritornello che ti si stampa in testa, una bella strofa e una metrica spettacolare sulla variazione: perché il pop non può essere semplicemente questo?


“Io la felicità me la immagino con le ali leggera come la primavera e piena di misericordia senza nessuno da battere e niente da dichiarare chiara, come l’arrivo dell’ora legale”

Dopo “Donut I”, primo intermezzo, è il turno di “Moondrone”, terzo e ultimo singolo. Il titolo di questa canzone, basata su un unico accordo (altro gioiello di Niccolò Contessa), pare derivare appunto dal nome del primo provino di base mandato da quest’ultimo a Giovanni. Il cantautore napoletano gioca in casa, dal ritornello lungo all’unica strofa, anche nella frase “A volte ho un’erezione quando al telefono ti dico ciao”. È esattamente come la “fica” citata da Bianconi in “Certi Uomini”: per chiunque altro, o quasi, sarebbe volgarità, in questi due esempi invece le parole sono trattate con grazia, dosate, in modo quasi intimo.


“Da quando ti conosco mi fanno venire le lacrime agli occhi canzoni così stupide che se tu non esistessi mi farebbero ridere”

“Burger King” si riallaccia ad “Intro”: su una base più chill, la più classica delle “riflessioni da semaforo”, in questo caso ambientata ai tavoli di un fast food nella periferia romana.


“Ed ho pensato che devo fregarmene di più di quello che pensano gli altri, e che devo guardare le cose in positivo”

Strappo secchissimo verso l’attacco di “Alcune Considerazioni”, primo singolo, uscito ormai quasi un anno fa, già ai tempi sufficiente a farci drizzare le antenne sul fatto che Giovanni fosse ispirato. Sulla base di una chitarra acustica a cui risponde un’elettrica fuzzata, il brano corre velocissimo con una metrica perfettamente incastrata.


“E ora capisco di più perché i grandi Sono così arrabbiati con i ragazzi Tanto che non gli dicono mai Com’è che va veramente”

“Amarsi come i Cani”, stupenda a partire dal titolo, descrive, con l’eleganza di cui sopra, un amore carnale ma allo stesso tempo sensuale, con tutte le sensazioni che porta con sé. Bellissima, emozionante, è esattamente quello che voglio sentire quando ascolto Truppi.


“E mi ricordo com’era Amarsi come i cani Ma non mi ricordo più Non capisco com’è Che poi torniamo umani”

Fin dal primo ascolto ho pensato ad “Infinite Possibilità per Esseri Finiti” come un album diviso in set: per questo motivo, senza dubbio, le prossime tre canzoni vanno a comporre il set più strano del disco.


Cassa dritta, sound elettronico e Giovanni che elenca, come da titolo, “Le Persone e le Cose”. Fiuto lo zampino di Niccolò Contessa anche qui, così come nelle prossime due tracce, mi ricorda molto le sonorità -che ho avuto modo di adorare- di qualche brano di “Privilegio Raro”, ultimo album di Tutti Fenomeni. “Donut VI”, secondo intermezzo, introduce “Amico”, che si apre con un altro minuto abbondante di ambient, per poi tornare alla cassa dritta di prima, questa volta con un suono più aperto e anche più rumoroso; due ritornelli con la ripetizione, quasi asfissiante di “Non ci sono soldi neanche per i saldi” e, nel mezzo, una valanga di parole.


“Anche se è logico che il tempo ci fa separare, ci fa trasformare Ci fa diventare tutti ogni momento un po’ diversi Finché poi non diventiamo vecchi e prima dello scheletro del corpo Affiora quello più impalpabile dell’anima Sparisce l’apparenza muscolare della corsa a realizzarsi Rimane solo pelle e si può vedere bene allora Cosa abbiamo fatto di noi stessi”

La (semi) title track, “Infinite Possibilità”, resta fedele alla precedente, quantomeno per la lunghezza del testo (che, soprattutto in un mondo di testi vuotissimi buttati lì tanto per fare, è un complimento, sia chiaro). Un’analisi lucida, pulita, con una conclusione (le ultime due frasi) che ti lascia spiazzato ed incredulo per la semplicità e allo stesso tempo per il modo in cui ti viene spiattellata in faccia. Passo alla prossima, ché di spoiler ne ho già fatto fin troppo.


“Perché fondamentalmente adesso è come se Durante un’invasione aliena o un incendio in città Io me ne stessi qua a pensare solo alla mia famiglia e alle mie canzoni Mentre sulla mia testa crollano i grattacieli”

“Temporale”, invece, è la classica ballad. Truppi gioca più che in casa, seppur sia una strada già percorsa a lungo nelle ultime uscite, non stanca, anzi, finisce quasi troppo presto.


“Amore che cammini dentro le mie vene Prendi il mio sangue, prendi tutto il mio bene”

L’armonia si fa decisamente più cupa, così come la base che, complice una linea incalzante e un testo a dir poco surreale. Forse è proprio “L’uomo buono muore” il brano più spiazzante di tutto il disco, a cominciare dal testo ("E guarda dove mi ha portato / Questa fiducia nell'allegria"), per continuare con delle soluzioni armoniche tutt'altro che banali.


“E guarda dove mi ha portato Questa fiducia nell’allegria”

L’ultimo intermezzo, “Donut XV”, lascia spazio alla “cover” di cui accennavo nell’intro. La musica di “Camminando un sabato sera per via Indipendenza ascoltando la nuova canzone dei fratelli Eno”, infatti, è una rivisitazione, autorizzata personalmente da Brian e Roger Eno, del loro brano strumentale “Blonde”, su cui Giovanni, ancora una volta, parte dalla descrizione di ciò che lo circonda per poi arrivare a sé stesso e ai suoi rapporti con le persone della sua vita.


“Anche i tossici e le vamp sono solo dei bambini Nessuno è cattivo, nemmeno i miei amici Siamo tutti fratelli”

A chiudere questo viaggio, anche nelle ambientazioni, tra Roma e Bologna, è “Fine”. Anche le tematiche, oltre allo stile spoken, si riavvicinano ad “Intro”, in una ricerca di ciclicità riuscitissima, che va a chiudersi in una serie di domande esistenziali lasciate lì, per l’ascoltatore, o forse per il Truppi del futuro, magari come punto di partenza per una nuova produzione.


“E poi: ha senso tutta questa moralità? Ha senso applicarla a questi problemi giganti che nessuno nella Storia ha mai saputo risolvere? Non sarebbe meglio smettere di pensare che il bene del Mondo e quello della mia famiglia siano in contraddizione? Non è che questa idea di salvare il mondo è solo narcisismo? Quali saranno la direzione e il ritmo delle trasformazioni che arriveranno? Smetteremo per sempre di aggregarci in piccoli gruppi molto coesi o di fare famiglie? Saremo sempre più connessi con sempre più persone e in modo sempre più superficiale? Ci disperderemo nello Spazio comunicando in un’unica lingua che parleremo anche senza parlare? Era questo l’unico destino possibile per l’umanità? Era questo il Regno dei Cieli che aspettavamo?”

Ho utilizzato (spero almeno un pochino bene) davvero tante parole per raccontare un album, a sua volta, pieno di parole, per questo motivo ne uso solo un altro paio come conclusione: grazie Giovanni!



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