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Germanò in “Piramidi” ha messo l’abito da sera (ma tenendo le camicie etniche) - Recensione

“È cresciuto con l’idea di vivere all’estero ma poi ha visto Il Sorpasso di Dino Risi.”

Di Germanò ho sempre adorato lo spirito a mezz’aria tra il terribilmente malinconico e lo spudoratamente spensierato, autore di canzoni da canticchiare sottovoce per paura di ammettere a noi stessi che in fondo stia parlando proprio di noi. Quell’impressione mi fu confermata anche da quel live cui assistetti due anni fa in Giardino Ventura a Milano in cui avevo avuto l’impressione che quella performance fosse fatta su misura per me per quanto fosse intima e riservata. È stata la prima ed unica volta in cui l’abbia sentito suonare live, per ora.


Avevo scoperto “Per cercare il ritmo” per caso in un periodo in cui l’inquietudine che accompagnava ogni traccia aveva prepotentemente scolpito a loro immagine anche il mio umore. Ora che Alex Germanò è finalmente tornato a raccontarci le sue storie ho scoperto che l’ascolto di “Piramidi” (pubblicato per Bomba Dischi) non ha sortito esattamente lo stesso effetto.


Nel titolo parlo di abito da sera per tentare di descrivere a parole la sinestetica impressione non ben definita di eleganza e raffinatezza che ho avuto ascoltandolo. Sarà che l’album è stato scritto e arrangiato completamente da Alex in persona perché sentiva “la necessità di avere il controllo su tutti gli aspetti della produzione e ho assecondato il mio bisogno di creare da solo”. Sarà forse l’importante presenza dell’elettronica orchestrata da Matteo Cantaluppi che, ad essere sincero, nel cantautorato in genere non vedo di buon occhio, ma che in chiave Germanò non solo mi ha convinto ma mi ha piacevolmente sorpreso – forse mi farei piacere pure il reggaeton se fosse in chiave Germanò. Restano poi la sua voce cotonata e rassicurante, quello stile prosastico da diario segreto di un eterno adolescente che si stupisce ogni giorno delle piccole cose del mondo. In sintesi: il Germanò che avevo imparato a conoscere ed apprezzare è più vivo che mai, solo è vestito diversamente.



Il perfezionamento stilistico è altrettanto vivo e apprezzabile: rispetto al disco d’esordio, in “Piramidi” ho notato una maggiore maturità nell’affrontare rapporti umani e abitudini potenzialmente distruttive. Meno rassegnazione e più fiducia condita della giusta dose di pazienza: “Questa vita è bellissima, sul viso lascia una lacrima, ma poi diventa una nuvola e in mano sembra una lucciola” (cit. "Gluten Free"). Il fil rouge che collega lacrime, lucciole e bellezza vitale intrinseca è proprio la consapevolezza di non essere né soli né i soli ad affrontare gli ostacoli del cuore e della quotidianità.


La solitudine che affliggeva l’animo musicale di Alex è stata quindi padroneggiata sapientemente, ci è sceso a patti ed ha imparato a domarla e prostrarla a comando. La conferma di questa visione è data anche nella splendida title track “Piramidi”, nella quale l’ingombrante smarrimento interiore, dalle sembianze di sfinge o piramide, si rapporta alla olistica ed eterea compagnia delle persone che in fondo ci vogliono bene e sono lì per noi quando servono. Nel brano si ripercorrono tappe della storia egiziana e mediorientale come a far da sfondo a quelle tappe di crescita personale che si affacciano in noi con il passare del tempo: “Ritornare pionieri di architetture e piramidi navigando sul petrolio del Mar Rosso“ (cit. "Piramidi") come immagine dell'attenzione da riporre nelle proprie ambizioni senza lasciarsi trascinare a fondo da paranoie e turbe mentali che in fondo fanno parte dell’indole umana de sempre e per sempre. La solitudine domata, direbbe Zeffirelli.


Tra le uscite che aspettavo impaziente quest’anno e su cui riponevo molte aspettative, Germanò figurava proprio tra i primi posti e sono felice di dire che la lunga gestazione è sicuramente valsa decisamente la pena. "Piramidi" è un disco equilibrato, che ha saputo correre rischi ben calcolati e che non delude i fan della prima ora (pericolo sempre presente nei cambi di rotta stilistica).



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