“Dongiovanni” è l’ep d’esordio del cantautore casertano Giovanni Ti Amo.
L’artista attraverso questo progetto vuole presentarsi, flirtare con il pubblico e lasciare un piccolo assaggio di quello che avverrà nel futuro. Il suo “Dongiovanni” oltre a presentare un lato specifico della sua personalità, fa riferimento ad alcuni ascolti del cantautore, come il “Don Giovanni” di Battisti e l’opera lirica di Mozart, mondo molto vicino all’artista essendo un violinista. I sei brani sono delle vere e proprie fotografie nate da esperienze, amori fugaci e conversazioni che cantate, a volte urlate in modo scanzonato, sono pronte a conquistare l'ascoltatore.
Ciao Giovanni! È da poco uscito il tuo primo Ep “Dongiovanni”. Come mai hai scelto questo titolo?
L’ho scelto per una serie di motivi. Innanzitutto per una questione caratteriale, io di base sono una persona molto espansiva che tende molto spesso a flirtare e a corteggiare. Infatti questo Ep lo interpreto un po’ come un modo di corteggiare un ipotetico pubblico. E’ il mio modo di presentarmi, perché corteggiare e flirtare sono un po’ le prime fasi di presentazione che hai con una persona. Questo titolo fa anche riferimento a degli ascolti che ho fatto, dongiovanni è anche un titolo di un disco di Battisti e anche di un’opera lirica di Mozart, sono un violinista quindi sento abbastanza mio anche quel mondo lì. Poi io comunque mi chiamo Giovanni quindi ci stava come cosa.
Cosa vorresti che la gente capisse di te dopo l’ascolto di questo ep?
Non lo so, probabilmente vorrei lasciare una buona impressione. Il motivo di corteggiare è sempre quello di andare ad una fase successiva, magari con questo lavoro intendo flirtare e poi far innamorare successivamente o comunque di presentarmi e sentirmi dire: “Okay, figo adesso voglio vedere cosa succede”. E’ un assaggio del futuro.
Hai iniziato all’età di 5 anni a suonare il violino per poi passare alla chitarra. Cosa ti ha portato a mettere da parte la musica classica?
In realtà non l’ho abbandonata perché poi mi sono diplomato al conservatorio con il violino. Soni stati due percorsi paralleli. Diciamo che il punto di svolta è stato quando mio padre mi ha fatto sentire i primi vinili dei Beatles, dei Queen e soprattutto con i Beatles e Deep Purple, ho iniziato a voler suonare la chitarra e sognare di essere Paul Mccartney, John Lennon. Da lì ho comprato una chitarra, poi chiaramente ho iniziato a creare dei miei ascolti, che poi mi sono portato avanti per tutto il liceo come gli Arctic Monkeys, Green Day, The Strokes. Poi ho iniziato a formare delle band per cantare le cover dei miei brani preferiti proprio perché volevo imitare i grandi ella musica che mi faceva sentire mio padre. Quindi ho deciso di prendere la chitarra e ho iniziato a suonarla da autodidatta, contro il volere dei miei genitori perché volevano che pensassi al violino, visto che è lo strumento più istituzionale, lo strumento in cui stavo investendo di più, andando al conservatorio. Al di là di quello volevo suonare, cantare, scrivere le canzoni e quindi da lì ho intrapreso quella strada. Poi sono rimasto da solo perché la mia band del liceo si è sfasciata, per motivi universitari e lavorativi, ho detto basta alle band e ho iniziato a scrivere le mie canzoni.
Hai mai pensato di unire la musica classica e il pop?
In realtà ci sto pensando proprio in questo periodo perché sono in fase di scrittura di nuove canzoni e sto cercando di incamerare quanta più roba possibile. Mi piacerebbe integrare al pop gli archi e il violino. Sto cercando di farlo nella maniera più originale possibile, infatti sto cercando di capire come far inquadrare le due cose. Però di base non l’ho fatto fino adesso perché il violino è una cosa che tengo molto per me, è un po’ un healty pleasure, non lo dico mai a nessuno che suono il violino, quasi voglio nasconderlo perché è una cosa che tengo molto per me in maniera un po’ gelosa.
Quando è stato il tuo primo approccio con la scrittura?
Ho iniziato abbastanza presto, avrò avuto 10 anni, non ricordo bene cosa scrivevo. Probabilmente scrivevo in inglese, visto che ascoltavo tutta quella musica anglosassone. Non c’è stato un momento in cui mi sono detto “Adesso devo iniziare a scrivere”. E’ successo tutto in un modo molto naturale. Per me le parole nella musica, hanno una funzione un po’ di contorno, cioè sillabe che stanno bene con la musica. Non ci do troppo peso. Poi chiaramente negli ultimi anni ho imparato tramite dei miei trick a dare un senso a quello che dicevo, in base alle cose che vivo. Però per me è sempre stata un po’ secondaria come cosa, non è la prima cosa che mi interessa quando scrivo una canzone. Preferisco partire dalla musica, perché per me ha un valore più importante, poi dopo le parole vengono in maniera molto spontanea, genuina, cerco di non forzare quasi mai. Se non mi sento di dire nulla, non dico nulla, se invece ho qualcosa da dire, allora lo dico nella maniera più naturale possibile.
Ci sono delle canzoni che sono state fondamentali per la tua crescita artistica?
Una canzone che ritengo molto importante per me è presente nel mio ep “Un bacio in America”, è l’ultima che ho scritto e mi piace molto come suona e mi sembra che in un certo senso segni la strada che voglio percorrere in futuro. In più c’è una ricerca musicale un po’ più interessante, più approfondita. Però anche “Cloro” ha avuto un ruolo fondamentale. E’ la canzone che ha segnato l’inizio del mio percorso, è stata la prima canzone che è uscita appena mi sono trasferito a Milano. Ci sono molto affezionato, perché tutto è partito da lì.
In questo Ep si parla molto di amori fugaci, di flirt. Nella vita ti senti un vero Dongiovanni o è solo un tuo modo di fare?
In realtà è un mio modo di fare. Però non vuol dire che io sia superficiale. E’ un modo di fare che ho sempre avuto perché ho un po’ l’ansia di piacere a tutti. E’ il mio modo di farmi bello davanti agli altri.
Questa leggerezza che sentiamo nei primi cinque brani dell’Ep sparisce completamente con l’ultimo brano “Falene”. In questo brano manifesti il tuo sentirti inadeguato in certe situazioni della vita e ad un certo punto canti: “Vorrei sentirmi me stesso più spesso”. Quando ti senti pienamente te stesso?
Quando non sono inserito in dei contesti coercitivi. Io quello che dico in “Falene” è un po’ un sentirsi non compreso. Provare disagio in un contesto familiare, dove magari i genitori per il bene dei propri figli, cercano di indirizzarli attraverso le loro strade e le loro esperienze. Diciamo che i miei genitori non mi supportano così tanto da un punto di vista musicale, io per questo ci soffro, perché le mie intenzioni sono serie e vorrei che anche loro potessero comprendere tutto questo. Sentirmi me stesso è forse un luogo in cui ti vengono riconosciute le tue ambizioni.
Sempre in “Falene” canti: “Siamo le notti passate a sperare un futuro migliore, Caserta con il sole”. A cosa fa riferimento questa frase?
Questa frase fa riferimento anche alla mia città. Caserta è una città un po’ ferma che non lascia molti stimoli. Con “Futuro migliore” intendo proprio la possibilità di vivere in dei contesti più stimolanti. Ma è anche una riflessione sulla deriva del nostro mondo odierno, tutte quelle problematiche sociali ed economiche di cui facciamo esperienza tutti. Si parla di una vera e propria incertezza sul futuro. Le generazioni precedenti sono cresciute con delle certezze di un domani che li ospitava in maniera comoda. Invece io e miei coetanei sentiamo un’incertezza nei confronti di un futuro che “chissà come andrà”, per una serie di motivi legati alle numerose crisi come quella climatica, economica e sociale. C’è tutta questa riflessione su un futuro che non sarà roseo per noi. Ma questa canzone è anche figlia del covid, nata in momento di sconforto totale.
A Milano sei riuscito a trovare quegli stimoli che invece a Caserta venivano a mancare?
Si. Da un punto di vista lavorativo molto ma anche da un punto di vista di svago. Milano è una bellissima città che mi offre tantissimi spunti. Ci sono delle cose che Milano non ha rispetto a Caserta, come la tranquillità di poter scrivere in maniera disinteressata, ma anche l’approccio musicale è diverso. A Milano è tutto più veloce, a volte sei un po’ forzato a chiudere una canzone in pochissimo tempo. Invece io preferisco un approccio un po’ più lento, senza l’affanno di dover portare a termine qualcosa. Ci sono sicuramente dei pro e dei contro, però mi sento molto più stimolato a Milano per le situazioni e le esperienze che vivo ogni giorno, rispetto a Caserta.
Il 27 maggio ti sei esibito per la prima volta al Mi ami festival. Come è stato calcare un palco del genere?
Mi sono sentito una bomba, suonare dal vivo è la cosa che mi piace di più. E’ stato stupendo perché mi hanno dato la possibilità di stare su un palco. Mi sono sentito molto a mio agio, mi sono sentito a casa perché suonavo con degli amici di Caserta, è stato come suonare nella nostra sala prove, ma con delle persone davanti.
Ci saranno altri live per poter sentire “Dongiovanni”?
Sicuramente ci saranno altri live, stiamo lavorando alle altre date estive. E’ ancora tutto in fase di lavorazione, ci saranno delle sorprese divertenti durante i concerti. Per esempio io faccio sempre questa cover dello spot della cedrata Tassoni. E’ un pezzo bellissimo cantato da Mina. E’ un pezzo molto italiano e ha un sapore un po’ nostalgico. La canticchiavo da bambino quando la facevano prima dell’estrazione dell’Otto su Rai Due in estate e vedevo questa bibita gialla piena di bollicine, ho proprio un ricordo affettivo. La faccio alla mia maniera. E’ momento figo secondo me.
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