Marco Anghileri

29 mar 2022

Le parole al centro: "Quando le canzoni finiscono" è il nuovo album di Carlo Corallo - Recensione

Ho realizzato da poco che negli ultimi anni sto dando un’importanza sempre più vincolante ai testi dei miei ascolti. Non è una cosa che faccio apposta, non è un voler scartare aprioristicamente e non è nemmeno volersi ergere in qualche modo su un gradino diverso. È solo che mi sono rotto le palle delle parole buttate lì a caso, e lo dico molto sinceramente. Al netto di un mio personalissimo distacco dal rap, forse inerente a quanto appena scritto, o forse no, non sono stati, neanche un po’, gli osannatissimi (magari anche un pochino troppo) dischi freschi d’uscita dei due (probabilmente) massimi esponenti del genere nel nostro paese a farmici riconciliare, bensì un album veramente veramente notevole. Mi scuso per il delitto di lesa maestà appena commesso, non me ne voglia, signor giudice.

Carlo Corallo, ragusano classe 1995, ha pubblicato per OSA Lab venerdì scorso il suo nuovo lavoro intitolato “Quando le canzoni finiscono”, gioiellino della musica nostrana, così come già il suo (unico) predecessore: ”Cant’Autorato”.

Iniziare con un pezzo che si chiama “Etimologia”, ecco, mi sembra il migliore dei modi di mettere le cose in chiaro.

“Ma ora, accolti questi baci apolidi
 
Il tatto è l'ultimo tratto prima di varie trasmigrazioni
 
Il contatto si fa simbiosi
 
Fa dubitare del fatto
 
Che noi siamo due corpi soli
 
E che siamo due corpi solidi”

Con a fianco i fedelissimi Funk Shui Project, il secondo brano è un singolo datato febbraio 2021: “Un Giardino”, ambientata a Milano, segna un piccolo passo verso il soul e non sarà nemmeno l’unica volta.

“Come fossi in ufficio, criticavi quel mio fare tardivo
 
Agli incontri non ero mai il primo, in modo infantile
 
E l'unica volta in cui sono venuto in anticipo
 
Tu hai dovuto continuare ad aspettare un bambino”

“Amore, violenza, amore”, con quel titolo che mi ricorda così tanto “L’Amore e la Violenza” e quel testo dolceamaro mi porta, inevitabilmente, alla mente i Baustelle. Sono convinto che a Bianconi and co. questo pezzo, giustamente, piacerebbe, e pure tanto.

“Nessun armistizio potrà calmare
 
Il nostro nudismo intellettuale
 
E ogni nuovo inizio è un segno alla fine
 
Nella lista delle cose da fare
 
Nessun altro vizio potrà colmare
 
Come l'agonismo consensuale
 
Dell'euforia di fare la guerra
 
E l'erotismo di fare pace“

Nel quarto brano, “Storia di Antonio”, in collaborazione con Murubutu, probabilmente massima penna del conscious rap italiano, è raccontata la vita del pittore Antonio Ligabue: una riflessione su come spesso gli artisti meritevoli (“che tanto ci fanno divertire”, per fare un throwback a un paio d’anni fa) non solo non vengano valorizzati, ma allo stesso tempo vengano abbandonati al loro destino, in solitudine. Antonio Ligabue è morto nel 1965, oggi, quasi 60 anni dopo, è cambiato davvero qualcosa?

“«Dam un bes» Toni avrebbe voluto una sposa
 
Più che la fama, che i soldi o altre mille certezze
 
E il bisogno d'amore che ne segnava la storia
 
Gli galleggiava piano negli occhi anche quando si spense per sempre“

Su un tappeto di pianoforte e synth, il testo di “Capofamiglia”, tanto malinconico quanto splendido, va ad infilarsi dritto dritto nella top 3 dell’album.

“Lui visualizza e non risponde
 
Come le donne delle mie zone
 
Prima della mia prima canzone
 
Ma fa una risata complice
 
Per chi non è dolce, la morte forse
 
È l’unica forma di educazione”

Di una freschezza clamorosa, l’interludio culinario “Izakaya Jazz Interlude”, spacca in due l'ascolto correndo veloce veloce su una base swingata e dura poco più di un minuto e mezzo prima di abbandonarci in fade out.

“E pensare che da piccoli a mare
 
Usavamo gli illici per calcolare la freddezza
 
Ora hanno assunto il senso contrapposto
 
Una carezza che scade
 
Quando il cameriere si avvicina al mio posto”

Tempo di un’altra collaborazione: l’ospite di “Elettrodomestici” è Anastasio. Le tematiche del brano vanno a riagganciarsi a quelle di “Storia di Antonio”, il tutto è riassumibile nella frase conclusiva:

“Se chi fa un'opera d'arte non lo chiami artista ma operaio
 
Tutto diventa più chiaro”

In “Barocco”, il racconto di una storia d’amore, il piano lascia, probabilmente per la prima volta nel disco, spazio ad una chitarra per arrivare ad un riuscitissimo ritornello cantato.

“Opera d'arte nuova
 
Non come quelle per cui una guida
 
Spesso si abitua a fare la coda
 
Ma lui la rifarebbe ancora per vederle fare la coda
 
Prima che prema sopra la sua Kodak analogica
 
Se è vero che ogni cosa ha la sua logica
 
Solo una scottatura porterà a trattarla come una scultura, Amarla senza toccarne la pelle nuda
 
Ma il sole non cala più
 
Ed è sopra un velluto blu che non fa paura”

L’atmosfera cambia drasticamente con “F.I.E.N.D.S.”: Carlo e Mattak parlano di amicizia, con tutte le situazioni ed i sentimenti che questa parola si porta con sé, su una fantastica base chill, forse la più bella dell’album.

“Ricordo degli obblighi al vento, «Salto i compiti e scendo
 
E passiamo ore con lo stesso gioco per Nintendo»
 
Io, con la versione Oro, tu versione Argento
 
Prima di ogni impressione, depressione
 
O altre persone al centro”

Le note di un pianoforte aprono e accompagnano la penultima traccia “Natura umana” che, come “Barocco”, ci presenta una storia d’amore, seppur diametralmente opposta. Diretta, tagliente, e non una parola fuori posto, come al solito.

“Ai tuoi «non usare la macchina e prova una dieta sana» Faccio una risata
 
Tu, sei un'attivista a tutela della natura?
 
Beh, io un attivista a tutela della natura umana”

Da un certo punto di vista direi che è raro trovare una title track come ultima traccia del disco, dall’altro con un titolo del genere non si poteva fare molto altro. Accompagnato da Roy Paci (che non si limita ad accompagnare nella strumentale, ma “ruba” una strofa al nostro e ne armonizza a voce il ritornello, piacevolissima sorpresa), inizia quasi in recitato e prende, col passare dei secondi, un bel tiro col beat.

“E lo penso anch'io
 
Che, come tanti, ti parlo da un impianto o da un vinile finissimo
 
Tutti ascoltano i cantanti quando cantano
 
Ma chi fa lo stesso, quando le canzoni finiscono?”

Rileggendo il tutto, mi rendo conto di aver lasciato tanto spazio ai testi e poco al resto. Credo che ogni ulteriore giro di parole per questo disco sarebbe superfluo: “Quando le canzoni finiscono” è una perla della letteratura musicale italiana e Carlo, giustamente conscio delle sue qualità di songwriter, ha scelto di non nascondere le sue parole dietro ad arrangiamenti mastodontici e presentarle, insieme a qualche featuring d’eccezione, nella loro semplicità. Un lavoro decisamente riuscito!